Un universo incantato che si rivela attraverso una selezione di capolavori provenienti da musei, fondazioni, istituzioni bancarie e collezioni private per riportare all’attenzione del pubblico una delle correnti più poetiche e suggestive dell’arte del Novecento, il Realismo Magico. All’interno di tale movimento trova la sua dimensione più autentica l’opera di Riccardo Francalancia, artista nato in Umbria, ad Assisi.
Proprio ad Assisi, nel centralissimo Palazzo Bonacquisti, dal 18 maggio si può visitare la mostra “Una profondissima quiete. Francalancia e il ritorno alla figura tra de Chirico e Donghi”, voluta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia e organizzata dalla Fondazione CariPerugiaArte.
All’inaugurazione, che si è tenuta ieri pomeriggio, 17 maggio, sono interventi il Presidente della Fondazione Cassa di Risparmio di Perugia, Giampiero Bianconi, il Presidente della Fondazione CariPerugia Arte, Giuseppe Depretis, il Sindaco di Assisi Stefania Proietti e alcuni nipoti di Riccardo Francalancia, che hanno dato un importante contributo alla realizzazione della mostra concedendo in prestito molte opere dello zio, alcune delle quali mai esposte prima.
Presenti anche il critico d’arte Vittorio Sgarbi e il professor Michele Dantini, che insieme a Beatrice Avanzi hanno curato un percorso espositivo che porta per la prima volta in Umbria un progetto articolato che si sofferma sulle tappe artistiche, ma anche umane, degli autori che hanno caratterizzato la pittura italiana degli anni Venti e Trenta e che va, appunto, sotto il nome di “Realismo Magico” – così come venne definito dallo scrittore Massimo Bontempelli in Italia e dal critico Franz Roh in Germania –, con uno sguardo interessante sulla pittura del ritorno all’ordine e alla figura.
E’ il periodo in cui, dopo il dinamismo futurista e delle avanguardie, emerge l’esigenza del ritorno all’ordine che ha attraversato l’Europa dopo gli anni delle Prima guerra mondiale e, parallelamente, si sente il bisogno di soffermarsi sulle nuove istanze metafisiche e sul valore mitico con cui si guardava alla realtà. A Roma artisti e intellettuali si riuniscono nella “terza saletta” del Caffè Aragno, dove Mario Broglio aveva stabilito la redazione della sua rivista “Valori Plastici” fondata con un chiaro programma di riabilitazione dei valori del passato e della tradizione figurativa italiana, sostenendo la metafisica e pubblicando gli studi di Carrà su Giotto e di Roberto Longhi su Piero della Francesca.
Ad Assisi questo mondo si riaccende attraverso oltre 130 opere, tra pitture e sculture. Si tratta di una produzione artistica più complessa di quella che appare, dove alla forte componente lirica si aggiunge quella socio-teologico-politica per cui la campagna, e non la città, è il riferimento principale. Ne sono una testimonianza le tante vedute di borghi e campagne che si possono ammirare in mostra, alla cui origine sta, non c’è dubbio, una particolare scoperta o “riscoperta” del paesaggio italiano che ha luogo negli anni della guerra.
Non poteva mancare Giorgio De Chirico, “grande metafisico” che ha introdotto valori come quello del ritorno agli antichi maestri e alla figurazione, innestando un profondo senso di magia di cui una delle opere in mostra,Cavalli in riva al mare,è una significativa espressione. Tale sentimento è presente anche in Felice Casorati, ricercatore del valore lirico delle “cose immobili”, tra cui il soggetto prediletto sono le nature morte con uova che dipinge lungo tutto l’arco della sua carriera. Ecco poi Cagnaccio di San Pietro con i suoi personaggi assorti e le sue Madonne addolorate, Antonio Donghi con il suo accento del tutto originale nell’interpretazione – ricca di incanto e magia – di situazioni quotidiane, ambienti popolari, vedute cittadine.
Ritroviamo poi, artisti quali Francesco Trombadori, Mario ed Edita Broglio e il giovane Mario Mafai, tutti in mostra insieme ad altri autori come Scipione, con i suoi disegni e con i suoi verdi scoscesi massicci appenninici,Corrado Cagli,Mario Tozzi, Gisberto Ceracchini, Filippo De Pisis, Ottone Rosai, Renato Paresce, Fausto Pirandello, Giuseppe Capogrossi, Gianfilippo Usellini e, tra molti altri ancora, l’artista umbro Riccardo Francalancia, a cui è dedicata una ampia sezione della mostra.
Francalancia da Assisi giunse a Roma nel 1913, portando con sé i silenzi e le suggestioni della natura umbra nel momento in cui la poetica del Realismo Magico è in pieno sviluppo. Fa subito sua questa lezione per tradurla in un’opera personalissima, spesso solitaria ma non isolata perché comunica con il resto dell’ambiente romano. Nelle sue opere ritroviamo tutto l’incanto e la magia che attraversa l’arte italiana in quel periodo. Li ritroviamo nelle nature morte, semplici vasi o ciotole che, secondo la lezione di Morandi, sembrano fissate in un tempo senza limiti; li ritroviamo nei tanti ritratti, come quelli del figlio Gustavo, di Andreina, di Sergiacomi, che richiamano la fissità, ad esempio, dei ritratti di Donghi.
E li ritroviamo nei paesaggi che richiamano alla dimensione domestica, dove la precisione topografica è accompagnata sempre dalla poesia di uno sguardo incantato che sottrae ogni cosa allo spazio e al tempo reali. Anche quando si volge alla natura, la pittura di Francalancia è pittura da camera, da interni. Gli utili confronti con gli artisti del suo tempo ci confermano questa condizione: nessun pittore ha una concezione così densa di pensiero come Francalancia. Lo si intende bene davanti all’Interno melanconico, La stanza dei giochi.
Usando le parole di Vittorio Sgarbi “Francalancia, umbro nato ad Assisi, riproduce nei paesaggi ciò che ha sentito negli affreschi di Giotto, è un Beato Angelico che torna a guardare un paesaggio in cui c’è il sentimento di Dio con una figurazione essenziale e una forza formidabile”.