Aborto, pillola "avvelenata" nella politica perugina

Aborto, pillola “avvelenata” nella politica perugina

Redazione

Aborto, pillola “avvelenata” nella politica perugina

Le opposizioni: si rende più difficile la vita alle donne | La Lega: aborto facile, una favola
Sab, 13/06/2020 - 15:18

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Aborto, pillola “avvelenata” nella politica perugina. Lo stop all’aborto farmacologico, con la delibera della Giunta regionale che prevede l’ospedalizzazione, dopo la mobilitazione umbra fa litigare anche maggioranza e opposizione a Perugia. Dove non si era sopita la polemica per la mancata disponibilità della pillola RU486, nonostante il provvedimento della Giunta Marini.

Il centrosinistra all’attacco

Così la nota congiunta dei consiglieri di centrosinistra a Palazzo dei Priori: “A pochi giorni dalla discussione – e dalla bocciatura- del nostro ordine del giorno su “Interventi urgenti per la piena attuazione della Legge 194/78 durante l’emergenza sanitaria COVID-19”, un atto che metteva a fuoco un problema che la città di Perugia si porta dietro da anni, e cioè che nel capoluogo umbro non è possibile ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, ovvero tramite l’assunzione della pillola RU486, assai meno invasiva per la donna, ma solo chirurgica, siamo costretti a tornare sul tema. E a farlo stigmatizzando e condannando il grave passo indietro fatto dalla Giunta Tesei sull’interruzione volontaria di gravidanza, il cui accesso viene ora complicato in modo strumentale e colpevole”.

L’obbligo dell’ospedalizzazioni di almeno tre giorni, previsto a seguito della nuova delibera della Giunta Tesei, per le opposizioni rende volutamente ad ostacoli il percorso per ottenere l’opzione farmacologica, aumentando le spese del sistema sanitario regionale e, in epoca Covid, allungando paradossalmente le degenze.

I reparti di interruzione volontaria di gravidanza che chiuderanno

Ciò significa che da ora in poi, i reparti autorizzati a mettere in atto la procedura di IVG farmacologica, quelli di Pantalla e poi, dopo il Covid, quello di Umbertide, oltre che di Orvieto e Narni, chiuderanno a breve, allungando ulteriormente i tempi per le IVG chirurgiche, che già adesso fanno registrare oltre tre settimane di attesa.

“Così si rende più difficile la vita delle donne”

Accusano ancora le opposizioni: “Un’azione grave, strumentale e colpevole che renderà ancor più difficile la vita delle donne, la loro libertà, la loro autodeterminazione, attraverso la privazione del diritto a scegliere il metodo meno invasivo di interrompere una gravidanza. Un chiaro segnale di brutale inversione di tendenza rispetto alla cultura dei diritti delle donne, sanciti, in questo senso, molti anni fa, da una Legge, la 194/78, che ha depenalizzato e disciplinato le modalità di accesso alla pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza, fino a quel momento fuori legge, e dunque appannaggio di mammane e cucchiai d’oro, oppure di impropri e pericolosi rimedi casalinghi. Legge dello Stato – sottolinea l’opposizione – che non impone, ma che offre la possibilità di scegliere, che non rende una scelta obbligatoria, ma che ci obbliga a mettere le donne nelle condizioni di decidere, autonomamente e consapevolmente”.

A fianco dei movimenti femministi e contro Pillon

Riteniamo pertanto doveroso – chiosano i consiglieri – stare al fianco di chi si vorrà impegnare, fin da adesso, e a tutti i livelli, affinché si possa riaffermare questa libera scelta attraverso un potenziamento dei consultori e ripristinando la gratuità dei percorsi di contraccezioni. Nessun tema, soprattutto quando si parla di diritti di civiltà, può essere ostaggio di pregiudizi ideologici, posizioni antidiluviane che ci riportano indietro di secoli e decenni. E di esponenti di spicco di partiti politici – il senatore della Lega Simone Pillon – desiderosi di fare i conti con un universo femminile per i loro gusti fin troppo emancipato, quando invece è ancora, sempre troppo, oggetto di schernimento e violenza”.

La Lega: aborto facile, una favola

Ma le consigliere della Lega perugina, Roberta Ricci e Daniela Casacci, parlano di banalizzazione dell’aborto a domicilio: “Banalizzare l’aborto propinando la favola dell’aborto facile, consentendo alla donna il percorso farmacologico casalingo fino alla nona settimana, togliendo il problema agli ospedali, rischia di lasciare la donna abbandonata a sé stessa, a gestire possibili gravi conseguenze per la salute e priva del necessario supporto psicologico“.

Bene ha fatto dunque la Regione Umbria, secondo le esponenti leghiste, a prevedere tale pratica solo mediante il ricovero ospedaliero.

Sostegno ai centri di aiuto alla vita

Riproporre battaglie ideologiche – aggiungono Ricci e Casacci – in un momento così delicato per il paese, nascondendole dietro un ipotetico rischio contagio, è irrispettoso nei confronti delle donne che andrebbero assistite in maniera più completa, dando piena attuazione alla legge 194 del 1978, attraverso misure anche economiche a tutela della maternità, mediante azioni di sostegno e informazione nei consultori anche per le gravidanze indesiderate e sostenendo i centri di aiuto alla vita“.

Dai Radicali appello ai parlamentari umbri

Fuori dal Consiglio comunale, anche i Radicali di Perugia intervengono al dibattito, con il segretario Michele Guaitini e il tesoriere Andrea Maori: “Coerente con una interpretazione restrittiva delle linee guida nazionale, la giunta Tesei a guida Pillon, ha cancellato con un colpo di spugna la possibilità pur minima di utilizzare una metodica alternativa alla pratica chirurgica”.

Una scelta considerata “un passo indietro molto grave che renderà ancora più difficile la pratica dell’interruzione volontaria di gravidanza, perché costringerà le donne al solito iter burocratico umiliante tra obiettori di coscienza e difficoltà di ogni genere“.

I Radicali a Perugia ricordano che fin dagli anni Ottanta hanno periodicamente organizzato iniziative per introdurre queste nuove metodiche, approfondendo la questione con convegni e iniziative politiche.

Ma ora spostano l’attenzione verso le linee guida nazionali. “Che pur lasciando margine di autonomia alle Regioni – evidenziano – è comunque fortemente restrittiva, perché costringe comunque la donna ad un’ospedalizzazione. Infatti il farmaco è stato introdotto in Italia con il limite di utilizzo delle 7 settimane e con l’assurda imposizione del ricovero ospedaliero dal momento della somministrazione del farmaco fino all’espulsione della gravidanza, cioè con un ricovero della durata di almeno 3 giorni“.

Per questo Guaitini e Maori chiedono a tutti i parlamentari umbri di farsi promotori di iniziative per la modifica e l’aggiornamento delle linee guida emanate dal Ministero della Salute.

(Aggiornamento ore 16.15)

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