Il segretario umbro del settore del credito della Uil parla della situazione locale di un settore segnato da profonde mutazioni
Concentrazioni bancarie e aumento dei servizi digitali stanno portando anche in Umbria a nuove chiusure di filiali. Le difficoltà in questo anno di pandemia, dove comunque i servizi bancari sono stati tra quelli considerati essenziali e quindi da garantire. Le recenti polemiche sulle categorie da vaccinare.
Non è un buon momento per gli operatori del sistema bancario. Che scontano anche una certa diffidenza nell’opinione pubblica verso questa categoria, legata ad alcune operazioni che, anche in Umbria, hanno portato negli ultimi anni alcuni risparmiatori a perdere somme ingenti. E il parafulmine diventa l’operatore che si trova allo sportello.
Il segretario regionale umbro della Uilca Uil, Luciano Marini, ospite della rubrica “Umbria 10 e lode”, parla del momento del sistema del credito, in particolare nella realtà umbra. Delle prospettive per i lavoratori del settore e delle conseguenze che interessano i risparmiatori.
“Per come è la situazione del settore bancario in questo momento – conferma Marini – il voto è basso dal punto di vista dei dipendenti. Un settore che sta attraversando una fase molto particolare, caratterizzata sostanzialmente da una forte processo di consolidamento del sistema. Ovviamente è un’operazione che viene da lontano, in corso a livello mondiale per certi versi, e sicuramente europea e italiana. Nel contesto italiano c’è la situazione dell’Umbria, che sta vivendo in termini estremamente pesanti, direi anche penalizzanti, questo processo. Un processo che in parte è inevitabile, finalizzato a una concentrazione più forte del sistema bancario, che vede ampiamente ridursi il numero di soggetti che operano”.
Le famose “razionalizzazioni” che poi, all’atto pratico, comportano per i clienti il non avere più magari lo sportello sotto casa, o se si vive in centri minori, addirittura dover uscire dal proprio comune per effettuare un’operazione in banca…
“Esatto. Operazioni che vengono chiamate di ‘efficientamento’. Un termine ovviamente brutto, che nasconde i prezzi da pagare sicuramente molto forti per le comunità e per i territori. E che comporta inevitabilmente un saldo occupazionale negativo per i dipendenti e per i lavoratori del settore”.
Diamo qualche numero per comprendere la dimensione del fenomeno in Umbria?
“L’Umbria era una regione che sino all’inizio della grande crisi finanziaria del 2008 aveva oltre 600 sportelli. Da quel momento si è innescato un processo molto rapido, che ha avuto anche un’ulteriore accentuazione nel corso degli ultimi degli ultimi anni. Ora siamo scesi sotto i 400 sportelli. E purtroppo, per effetto delle riorganizzazioni legate ai nuovi piani industriali varati dai principali gruppi bancari italiani, ci aspettano ulteriori chiusure di sportelli. Alcune sono già state annunciate, altre si profilano all’orizzonte a seguito delle operazioni di incorporazione che hanno riguardato alcuni grossi player nazionali”.
Un tema di stretta attualità. Proprio nei giorni scorsi i segretari sindacali umbri del settore del credito hanno firmato una dura nota contro la Regione, stigmatizzando l’incontro che la presidente Tesei, insieme al sindaco di Orvieto Tardani, ha avuti con i nuovi vertici della CariOrvieto targata Mediocredito Centrale. Voi avete definito quell’incontro “scorretto” sul piano formale e “intempestivo” visti i tempi. A vostro giudizio, i giochi sono fatti sull’attuazione del piano industriale?
“Il nostro giudizio espresso in quel comunicato stampa nasce dal fatto che in tempi veramente lontani (parliamo di circa un anno fa) avevamo chiesto con insistenza alla Regione, alla presidente e agli assessorati competenti per materia, di essere ricevuti come segreterie regionali di credito, perché già in quel momento si stavano delineando alcuni trend che poi puntualmente hanno trovato una loro concreta realizzazione. Quindi noi avevamo chiesto un incontro proprio per ragionare su possibili soluzioni finalizzate a coinvolgere tutti gli attori che possono avere un ruolo sulla questione del credito della nostra regione. Parliamo ovviamente delle Istituzioni, in generale della politica quella con la ‘P’ maiuscola. Parliamo del contributo importante che riteniamo possiamo dare sicuramente come parti sociali, quindi come rappresentanti proprio i lavoratori di questo settore oggi più che mai cruciale, in un momento in cui c’è da sostenere con forza le istanze ed esigenze della ripresa economica. E ci saranno da gestire ingentissimi risorse finanziarie che arriveranno dai programmi di aiuto europei stanziati a seguito della pandemia. Ci dispiace che la presidente abbia scelto di bypassare di fatto il sindacato e di intavolare una discussione, per quanto tardiva, con uno dei gruppi bancari oggetto di riorganizzazione all’interno della nostra regione”.
Però la governatrice si è fatta portavoce di una delle vostre preoccupazioni, quella relativa ad ulteriori chiusure di sportelli. Preoccupazione manifestata anche da sindaci di comuni più piccoli.
“C’è un problema di desertificazione del territorio relativo alla presenza degli intermediari bancari. Problema particolarmente avvertito in quei territori diciamo più marginali, che ora rischiano di vedersi chiudere le porte dell’unico sportello bancario presente. Teniamo presente che dei 92 comuni umbri ce ne sono attualmente 75 comuni dotati di almeno uno sportello. Ma il numero di comuni privi di sportelli bancari è purtroppo destinato ad aumentare. Quindi stiamo raccogliendo anche il grido d’allarme che viene lanciato da alcune amministrazioni comunali. Pur nella consapevolezza che, come dicevo in premessa, questo settore è comunque destinato a una rivoluzione. Tuttavia non possiamo accettare il fatto che questi territori, già con molte problematiche, magari ubicati in contesti anche geografici ed economici particolari, debbano ulteriormente pagare un prezzo più alto in una fase già così complicata del sistema economico”.
Con l’ulteriore rischio che ci si rivolga a soggetti “non autorizzati” a prestare denaro…
“Ovviamente c’è il rischio dell’usura e di fenomeni che stanno anche facendo cambiare le esigenze, spostando il fulcro intorno al settore bancario”.
L’utilizzo delle strumentazioni digitali in questo anno di pandemia ha stravolto un po’ il lavoro a tanti. Non solo agli studenti umbri, ai primi posti in Italia tra quelli che hanno fatto ricorso alla Dad. Il digitale è per forza un nemico del dipendente di banca?
“Assolutamente no. Può essere viceversa anche un volano di sviluppo, sia pure ovviamente costruito su basi molto diverse dal passato. E’ chiaro che la vicenda della pandemia abbia rappresentato una straordinaria occasione per favorire l’utilizzo di questi strumenti. Che infatti hanno visto sicuramente una maggior diffusione nel corso degli ultimi mesi. Ciò non toglie che, tuttavia, esiste una stretta una porzione della popolazione, soprattutto quella anziana, che ha problemi maggiori dal punto di vista dell’utilizzo delle nuove tecnologie. E che rischia appunto di essere pesantemente penalizzata. Quindi un processo inevitabile ineluttabile, ma che deve essere meglio governato nel settore bancario. Tra gli stessi dipendenti abbiamo avuto un fortissimo sviluppo dello smart working. Una parte importante, ancorché percentualmente minoritaria rispetto alla platea complessiva dei lavoratori. Con benefici anche dal punto di vista della mobilità, dei costi e di conciliazione dei tempi di lavoro e di vita”.
Sperando che di questi minori costi a carico delle banche possano beneficiare anche i clienti…
“Sì, io sono convinto che le aziende hanno intravisto nella possibilità dello smart working uno strumento per poter ovviamente risparmiare sui costi. Noi organizzazioni sindacali vorremmo mettere l’accento su altri aspetti che siano diversi rispetto a quella della riduzione dei costi. Altro discorso poi, è capire quanto questi risparmi possa effettivamente andare a riduzione dei costi del servizio per il cliente”.
E’ aumentato il ricorso al digitale, ma voi bancari, nei mesi del lockdown, avete lamentato un’eccessiva presenza di clienti agli sportelli. Anche per operazioni non urgenti. Cosa è accaduto in quei giorni?
“Effettivamente accadeva che in una situazione di disorientamento in un certo senso generale di sorpresa per l’arrivo del Covid e l’introduzione di misure restrittive mai assunte priva, capitassero in banca persone a fare operazioni le più strane o anche illogiche. Anche pagamenti anticipati di tasse e bollette”.
Nonostante i pagamenti fossero stati anche sospesi… Magari era una scusa per uscire di casa.
“Probabilmente c’era anche questa componente”.
La situazione è migliorata?
“Da allora in poi i passi avanti sono stati fatti. Intanto, sono arrivate le dotazioni di strumenti di protezione individuale. Anche se abbiamo avuto differenziazioni tra banche più pronte ed altre che hanno ritardato un po’ nel fare gli interventi. Però oggi esiste ovviamente una base diciamo di sicurezza importante a tutela della salute di chi lavora in banca e della clientela, che ha tutte le sacrosante ragioni per potersi recare a fare in tutta sicurezza le proprie operazioni all’interno degli sportelli bancari senza rischiare di contrarre il virus”.
Le banche in Umbria sono luoghi sicuri, per quello che ha modo di vedere?
“Sì, lo sono diventati. Ovviamente compatibilmente con il pericolo che questo virus rappresenta. E lo testimonia il numero, diciamo relativamente basso, dei colleghi che sono stati contagiati dal virus. Segno che l’azione dei protocolli di settore, in parte anche rafforzati con accordi a livello di singoli gruppi, ha consentito di creare le condizioni per una salvaguardia complessiva della salute nei luoghi di lavoro. Crediamo che sia stato fatto sicuramente un buon lavoro, anche grazie al pressing delle organizzazioni sindacali”.
Un’ultima domanda sul tema vaccini. C’è stato un momento in cui siete un po’ finiti anche voi nell’occhio del ciclone, tra le categorie professionali che in qualche modo sembravano voler chiedere una priorità nelle vaccinazioni. Qual era la vostra proposta?
“La richiesta delle organizzazioni sindacali, anche regionali, nasceva dal fatto che in una prima fase di distribuzione dei vaccini si era partiti da una valutazione dei rischi delle categorie professionali. Noi chiedevamo non di scavalcare altri, ma di tenere in considerazione almeno quella porzione di lavoratori che sono a diretto contatto con il pubblico. Poi a livello politico è stato scelto un criterio diverso nell’individuazione delle priorità, che reputiamo comunque assolutamente corretto, dando la precedenza ai soggetti fragili e a quelli più avanti con gli anni”.
Cosa che ha evitato anche una guerra tra categorie di lavoratori, anche all’interno del sindacato. Perché ad esempio la commessa di un supermercato incontra tanti clienti quanto un dipendente allo sportello di banca.
“Piena solidarietà al personale che opera all’interno delle catene della grande distribuzione. Noi chiedevamo, ripeto, che la giusta attenzione avvenisse riservata, parimenti alle altre categorie, tra le quali ci sono ovviamente anche i dipendenti delle banche. Lavoratori che sono comunque a contatto con il pubblico. Non era nostra intenzione alimentare alcun tipo di contrapposizioni fra categorie”.
Sperando che i vaccini ci siano, per tutti, il prima possibile…
“Come organizzazioni sindacali abbiamo voluto anche definire una sorta di possibile protocollo con l’Associazione bancaria italiana, per agevolare eventualmente anche la vaccinazione sui luoghi di lavoro laddove ci siano le condizioni, i medici competenti, gli spazi idonei. Auspico che ci si possa vaccinare anche in qualche grande banca”.
Anche in Umbria?
Pensiamo a grandi plessi, non tanto in Umbria. Magari nelle sedi bancarie delle grandi città. Da noi non ci sono le grandi sedi. Le grandi direzioni generali ovviamente non sono in Umbria. Vediamo. L’importante è comunque fare bene e fare in fretta”.