Dopo che fratello vento si è scatenato nella serata del tre ottobre, sulle celebrazioni di San Francesco 2019 splende il sole. La piazza è lontana dai circa diecimila pellegrini del 2018, quando protagonista era la Regione Campania, ma i Toscani non mancano di far sentire il loro calore. Ospite d’onore il presidente Giuseppe Conte, undicesimo presidente del Consiglio ad arrivare ad Assisi dopo Amintore Fanfani nel 1962, Giulio Andreotti (1977), Bettino Craxi (1987), Romano Prodi (’97, ’98 e 2007), Massimo D’Alema (1999), Silvio Berlusconi (2002), Mario Monti (2012), Enrico Letta (2013), Matteo Renzi (2014), Paolo Gentiloni (2017).
Alle celebrazioni – apertesi ieri a Santa Maria degli Angeli, con il Transito – partecipano il presidente del consiglio, Giuseppe Conte, il ministro degli esteri, Luigi Di Maio (arriverà nel pomeriggio per i vespri finali), il legato pontificio per le Basiliche Papali di Assisi, cardinale Agostino Vallini, il governatore della Toscana, Enrico Rossi, cinquanta sindaci capitanati dal primo cittadino di Firenze, Dario Nardella, e quattromila pellegrini.
La festa celebra non solo gli ottanta anni dell’elevazione del Santo a Patrono d’Italia insieme a Santa Caterina da Siena, ma anche il dialogo tra culture e fedi diverse, la difesa del clima (se il Papa a Roma pianterà un un leccio di Assisi, “come gesto visibile di un’ecologia integrale”, ad Assisi il custode del Sacro Convento, Padre Mauro Gambetti, metterà a dimora una pianta, forse nel bosco di San Francesco, aderendo all’invito di Slow Food; Padre Fortunato ha reso noto che ognuno dei frati della Comunità, una settantina, pianterà un albero) e il rispetto tra gli uomini.
Alle 10 l’arrivo del presidente del consiglio, Giuseppe Conte, accolto dal Custode, padre Mauro Gambetti. Dopo l’arrivo del corteo civile (con i gonfaloni delle Regioni e dei comuni umbri e toscani), la messa solenne presieduta dall’arcivescovo metropolita di Firenze e presidente della Conferenza Episcopale Toscana, monsignor Giuseppe Betori, durante la quale il sindaco di Firenze riaccende la lampada, un gesto che si rinnova dal 1939 e vede alternarsi, anno dopo anno, ogni regione d’ Italia.
La Regione Toscana offre prodotti tipici toscani e un’offerta per i poveri, il Comune di Firenze dona un’anfora di terracotta prodotta a mano, la Città di Assisi un paramento liturgico in onore di Francesco. Durante l’offertorio, tre pellegrini rappresentanti le diocesi toscane portano la patena, il calice e la pisside, Nardella l’anfora per l’olio, il presidente della Regione Toscana un cesto con i prodotti tipici della Regione.
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Gambetti, nel suo discorso iniziale, rende omaggio alla Regione Toscana, una terra dalla storia “antichissima e mirabile, un popolo che ha offerto un apporto enorme allo sviluppo umano nelle arti, come dimostra la stessa Basilica dove risplendono le testimonianze di Cimabue, Giotto, Simone Martini e Pietro Lorenzetti. “In Toscana – il saluto di Gambetti – è nato il primo Comune d’Italia, sono nate le prime forme di democrazia partecipativa, costituite le prime associazioni di arti e mestieri”.
Il Custode ha ricordato tra l’altro Giorgio La Pira, il cui messaggio sul compito politico è “attuale e semplice: ‘Condurre la barca italiana che, nonostante anse terribili come quella della violenza e dell’aborto, deve nuovamente arrivare al porto della fraternità e della pace per la difesa delle nuove generazioni’. In Italia e in Europa abbiamo nostalgia della cultura politica. Ma oggi non si può delegare il compito politico solo a qualcuno, per quanto possa essere illuminato. Ogni uomo – secondo Gambetti – è ‘politico’ ed è chiamato all’impegno politico”.
Durante la messa, Betori ha ricordato come “La sfida che ci attende, come Chiesa e come Paese, è fare dei poveri e della loro cura la misura dell’umano. E questo senza porre barriere,perché il problema non è chi sia il mio prossimo, perché io possa o debba curarmi di lui, ma di come io debba farmi prossimo a tutti, fino al più lontano, al nemico”. Per il presule fiorentino bisogna “ripartire dagli ultimi, perché solo lo sguardo degli ultimi, in cui si rivela il volto di Cristo”, ma il legame comunitario “necessità che nessuno pretenda di asservire a sé il fratello, ma lo accolga con amore. Qui si innesta il richiamo alla minorità, al farsi piccolo, che Francesco ci insegna. Piccoli e minori, tutto il contrario delle pretese dell’uomo di oggi, che si vorrebbe adulto, autonomo, autosufficiente, uscito per l’appunto dalla minorità”. Una pretesa di autonomia che ha condotto agli “abissi della massificazione totalitaria, e alle secche della frantumazione sociale, fino alla contraddizione di uno sviluppo economico che è diventato crisi economica”.
Betori ha anche ricordato l’anniversario degli ottocento anni dell’incontro tra Francesco e il Sultano: “La gioia del Vangelo è così prepotente in Francesco che vuole sia comunicata a tutti, che raggiunga anche i più lontani, come al tempo apparivano i saraceni”, un esempio che “nell’odierno contesto multi-religioso e di pluralismo culturale” deve oggi “connotare il servizio dell’evangelizzazione”, non un “venir meno della presenza della chiesa”, ma una “presenza più efficace. Mitezza e quindi dolcezza chiediamo per ciascuno di noi – la conclusione dell’omelia di Betori – e per tutti nel nostro Paese, invocando la protezione di San Francesco”.
A seguire, ci saranno i discorsi dalla Loggia, mentre dopo l’agape fraterna, alle 16 i vespri pontificali nella Basilica Inferiore di San Francesco presieduti da Mons. Augusto Paolo Lojudice, arcivescovo di Siena-Colle di Val D’Elsa-Montalcino. Ad essi, alla processione e alla benedizione finale all’Italia e al mondo, con la Chartula dal Torrino della Basilica Superiore, parteciperà il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio.