Jacopo Brugalossi
Truffa aggravata e falso materiale. Sono questi i pesanti capi d’accusa formulati dal Gip di Spoleto che ha rinviato a giudizio un imprenditore edile di origini campane, il quale avrebbe intascato la bellezza di 4 milioni e 110 mila euro di contributi pubblici grazie alla realizzazione di ben 19 Durc falsi, attestanti la presunta regolarità contributiva dell’impresa di cui lui era titolare mentre questa era impegnata nella ricostruzione post-sismica di un edificio situato in piazza Fontana a Spoleto e di altri nella prima periferia della città.
Firme contraffatte – I Documenti Unici di Regolarità Contributiva (Durc, appunto) erano stati apparentemente emessi dallo sportello unico Inps-Inail-Cassa Edile della Provincia di Perugia dall’ottobre del 2004 al marzo del 2007, e recavano la firma, poi risultata contraffatta, del responsabile dell’ufficio. Grazie alle false dichiarazioni, l’uomo avrebbe tratto in inganno sia il Comune di Spoleto che la Regione Umbria, che proprio in seguito alla presentazione dei Durc contraffatti versarono a più riprese nelle casse dell’impresa – anch’essa finita sotto processo – i già citati contributi economici.
L’operazione della Finanza – Fu il Comando Provinciale di Perugia della Guardia di Finanza, oltre un anno fa, a smascherare la truffa messa in atto dall’impresa. Per il conseguimento dei contributi c'era la necessità di presentare dei Durc che attestassero che tutte le persone che lavoravano nel cantiere fossero in regola. Nel caso dell'azienda in questione, i controlli avrebbero dimostrato al contrario che così non era. Non solo i Durc avrebbero riportato un numero di protocollo che non aveva nulla a che fare con i lavori di ricostruzione post-sisma, ma i contributi ai lavoratori non sarebbero mai stati versati. A fronte di ciò la ditta non poteva beneficiare dei finanziamenti.
Risultava nullatenente – Ad aggravare la posizione del titolare – difeso nel processo dall’avvocato Silvio Pepe del foro di Avellino – il tentativo di nascondere i soldi per sottrarli alle attenzioni di qualsiasi controllo. Il soggetto, infatti, al fine di evitare che fosse messo in pericolo il suo patrimonio, avrebbe intestato tutti i beni al padre, risultando quindi nullatenente al fisco. Nonostante questo tentativo, la Finanza riuscì ugualmente a recuperare 3,2 milioni sui 4,1 erogati alla ditta. Il processo, che avrebbe dovuto aprirsi oggi di fronte al giudice Roberto Laudenzi e al pubblico ministero Roberta Maio, è stato rinviato al prossimo 23 aprile.
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