Corte di Cassazione condanna TIM al pagamento dei contributi previdenziali e assistenziali per i lavoratori della Key for up di Terni
TIM condannata a risarcire i contributi dei lavoratori Key for up pagati dall’INPS dopo il fallimento dell’azienda di Terni, per un importo di oltre 920mila euro.
La Suprema Corte di Cassazione ha infatti rigettato il ricorso di TIM contro l’INPS per i contributi previdenziali e assistenziali non corrisposti dalla appaltatrice Key for up srl, società di Terni che, nel 2015, era stata interessata da uno sciopero dei lavoratori e una convocazione dal Prefetto.
La Key for up è un’azienda nata a Terni nel 2006 e fallita a marzo del 2017 per le numerose istanze presentate da alcuni creditori nei confronti dei quali la K4up era risultata insolvente. Un fallimento che era arrivato dopo che un gruppo di circa 70 lavoratori, assistiti dal compianto avvocato Massimo Proietti, aveva formalizzato una querela depositata in Procura per sollecitarne l’atto. Un call center che in circa dieci anni ha visto impiegate migliaia di persone, non solo ternani, e che era attivo principalmente nell’erogazione di serviti per conto dell’allora Telecom (oggi TIM).
Ingiunzione del Tribunale di Terni a TIM nel 2017
Dopo il fallimento di K4Up, era stata l’INPS a pagare i contributi non pagati ai lavoratori, facendo poi rivalsa su TIM, in quanto committente dell’azienda fallita. Ed a ripercorrere il contenzioso legale è la sentenza della Cassazione depositata nei giorni scorsi che ha dato ragione all’istituto di previdenza.
Con decreto ingiuntivo n. 217/17, emesso su ricorso dell’INPS, il Tribunale di Terni ha ingiunto alla TIM spa (già Telecom Italia spa) di pagare la somma di euro 1.108.739,00 quale committente obbligata solidale, ai sensi dell’art. 29, d.lgs. n. 276 del 2003, per i contributi previdenziali e assistenziali non corrisposti dalla appaltatrice Key for up srl. A seguito di opposizione proposta dalla TIM spa, il Tribunale ha revocato il decreto ingiuntivo e dichiarato che nulla era dovuto dalla opponente all’INPS poiché era maturata la decadenza di cui all’art. 29 cit. in quanto l’azione era stata proposta oltre il biennio dalla cessazione dell’appalto.
La sentenza della Corte di Appello di Perugia e l’opposizione di TIM
La Corte d’Appello di Perugia ha escluso che il citato termine di decadenza fosse applicabile alle pretese dell’Istituto ed ha anche escluso che fosse maturata la prescrizione; in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha revocato il decreto ingiuntivo e rideterminato in euro 692.837,00 l’importo dovuto dalla TIM spa, a titolo di contributi, quale obbligata solidale della società appaltatrice. Contro tale sentenza la TIM spa ha proposto ricorso per Cassazione affidato ad un unico motivo (violazione e/o falsa applicazione dell’art. 29, comma, d.lgs. n. 276 del 2003, nonché degli artt. 12 e 14 delle Preleggi, per avere la Corte di merito escluso l’applicazione all’INPS del termine di decadenza previsto dall’art. 29 cit). L’INPS ha resistito con controricorso e i giudici della Cassazione hanno ritenuto questo motivo “infondato”.
La sentenza contro il ricorso TIM
La Corte di Cassazione ha dunque rigettato il ricorso. Nella sentenza inoltre si “condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida in € 8.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori come per legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto”.