Test sierologici Covid-19, la Regione: scelta giusta in quel contesto

Test sierologici Covid-19, la Regione: “Ecco perché scelta giusta in quel contesto”

Massimo Sbardella

Test sierologici Covid-19, la Regione: “Ecco perché scelta giusta in quel contesto”

L'assessore Coletto: "I risultati ci danno ragione, pochi decessi e spente due zone rosse molto rapidamente"
Lun, 15/06/2020 - 16:35

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Test sierologici Covid-19, la Regione: ecco perché è stata la scelta giusta in quel contesto. Palazzo Donini e la struttura tecnica difendono le scelte fatte nella gestione dell’emergenza Coronavirus e in particolare l’acquisto dei test sierologici rapidi.

Una vicenda su cui la Corte dei Conti di Perugia ha chiesto chiarimenti e che è stata oggetto di servizi giornalistici anche di media nazionali (in particolare Il Fatto quotidiano e Report), oltre che di interrogazioni e richieste di accesso agli atti da parte di alcuni esponenti dell’opposizione.

La Regione rivendica l’efficacia della gestione dal punto di vista dei risultati sanitari e la correttezza amministrativa della procedura di approvvigionamento dei test sierologici.

Dario: test utilizzati in un contesto di strategia

A spiegare il contesto in cui si è scelto di acquistare quei test sierologici, la strategia di utilizzo e i risultati è il direttore della Sanità, Claudio Dario. Che parte dai numeri del Coronavirus in Umbria: 67 deceduti e 1.436 positivi, con l’indice di letalità di 5,36. “Il più basso d’Italia – sottolinea – grazie al bassissimo numero di decessi nelle strutture per anziani“.

Il contesto e la scelta

Dario sottolinea più volte il contesto di grande emergenza in cui venivano assunte le decisioni. Senza avere nel mondo studi controllati a disposizione, perché il virus era stato accertato in Italia e in Europa con il primo caso a gennaio ed il primo paziente umbro positivo al Coronavirus il 28 febbraio.

In quei giorni (tra il 19 e il 21 marzo) – ricorda Dario – sentivamo moltissimo l’esigenza di andare a una diagnostica molto rapida dei pazienti positivi. In quei giorni, e lo sottolineo. Perché parlare adesso è molto diverso che parlare in quei giorni“. Giorni in cui, ricordano Dario ed i rappresentanti della Giunta, esponenti dell’opposizione sollecitavano l’utilizzo dei test rapidi. Addirittura – sottolinea la presidente Tesei – suggerendo un’azienda italiana al costo di 18 euro (quindi più di quello praticato poi per il prodotto della Screen Italia tramite l’offerta della Vim).

Mascherine e dispositivi scortati

Dario sottolinea anche la difficoltà di avere gli approvvigionamenti di materiale sanitario in quei giorni. In particolare per effettuare tamponi e appunto test sierologici, ma anche mascherine e respiratori. In quelle settimane c’era il blocco delle frontiere, speculazioni, scarsa disponibilità di dispositivi da reperire.

In quei giorni – rivela – abbiamo più volte atteso 30mila mascherine da Roma, che al confine con l’Umbria sono state dirottate in un’altra regione. Ed abbiamo chiesto al prefetto la presenza delle forze dell’ordine per scortare una fornitura di mascherine sdoganata a Fiumicino“.

In quel periodo – aggiunge – avere a portata di mano qualcosa senza intermediario dalla Cina era una garanzia di avere qui quel materiale. Perché in tanti casi era bloccato alle dogane dei Paesi in cui veniva fatta la sosta“.

La relazione degli esperti

Dario ricorda che la disponibilità dei test da parte del fornitore umbro (la Vim di Città di Castello) sia stata sottoposta alla valutazione degli esperti, tra cui le professoresse Mencacci e Francisci. E a proposito della relazione della professoressa Mencacci, direttrice della Struttura complessa di Microbiologica dell’Azienda ospedaliera di Perugia, mostra la parte non comparsa nella trasmissione Report. Quella in cui, dopo aver fatto riferimento alla scarsa attendibilità del test provato su due pazienti, si evidenzia comunque il fabbisogno di 5-7mila test per i giorni successivi. “Io concordavo e concordo pienamente con quanto scritto in quel contesto” aggiunge Dario.

La verifica fatta in Umbria

In quella fase l’unico studio disponibile era quello redatto il 27 febbraio relativo a 397 pazienti cinesi. In Umbria si decide quindi di provare i test rapidi su 1180 pazienti umbri. La capacità predittiva negativa risulta del 97%. Cioè, se il risultato è negativo è corretto al 97%. Se il risultato era positivo, vista la minore attendibilità, deve essere confermato dal test molecolare. “Noi potevano fare in quel momento – spiega Dario – 200 test molecolari al giorno“.

Il contesto di strategia

Quei test sierologici vengono quindi utilizzati, tra marzo e aprile, in un contesto di strategia: “Eravamo molto preoccupati di un contagio all’interno degli ospedali. C’era una preoccupazione elevatissima. Per questo avevano chiesto i test rapidi. Poter discriminare subito in autoambulanza o al pronto soccorso se al 97% era negativa era importantissimo. Questi test in 15 minuti e senza personale addestrato danno il discrimine tra positivi e negativi. Ma c’è una strategia: non sono stati utilizzati da soli a fini diagnostici. Se erano positivi test molecolare per avere la conferma. Se era negativo sistema di messa insieme di più campioni in un unico test. Ce n’erano pochissimi in quel periodo – aggiunge -. Con tempi diagnostici variabili tra 12 e 24 ore“.

Una strategia, rivendica la Regione Umbria, che in molti aspetti è stata recepita anche in varie circolari del Ministero della salute.

Le zone rosse

Poi sono emerse le due zone rosse. Con la necessità di verificare tempestivamente l’eventuale positività al Coronavirus su centinaia di persone. “E anche in questo caso – prosegue Dario – i test sierologici si sono dimostrati utili ed efficaci“.

I test sierologici rimasti

La Regione contesta anche le accuse della minoranza (riprese anche da diverse testate) circa il mancato utilizzo di quei test. L’utilizzo non singolo, ma nel contesto di strategia scelto ha consentito di farne un largo utilizzo. Secondo quanto riportato da Dario ne sono stati utilizzati circa 14.980: “Li abbiamo utilizzati praticamente tutti. Solo qualche decina ne è stata trattenuta, per utilizzarli in situazione particolarmente critiche”.

Ricci: solo un piccolo ruolo di raccordo delle strutture, pronto a querelare

Il capo di gabinetto della presidente Tesei, Federico Ricci, chiamato in causa da report come “interlocutore” dell’acquisto, chiarisce invece il suo “piccolo ruolo di raccordo delle strutture” in questa vicenda.

Monetti (della Vim) lo ha conosciuto solo telefonicamente per rispondere a esigenze legate ad alcune richieste di donazioni per fornire materiale nella lotta al Covid. Ed in quell’occasione Monetti lo informa della possibile disponibilità di test rapidi e mascherine ffp2, che insieme ai ventilatori polmonari sono i materiali più richieste in quei giorni.

Ricci informa del contatto la protezione civile e la sanità regionale. E solo quando c’è la disponibilità effettiva di quei materiali mette in contatto Monetti con la professoressa Francisci. A quel punto, si fa inviare da Monetti la documentazione ed un preventivo. “Che ho girato – afferma – alle parti interessate. Avendo cura di inserire in copia tutti i soggetti coinvolti, per la massima trasparenza. E chiedendo il rispetto di tutte le procedure previste dalla legge“.

Ed a quel punto, tramite il funzionario Bartoletti, si è ritenuto opportuno, visto che i test erano ritenuti irreperibili e indispensabili, avviare la procedura di valutazione. Non per le mascherine, per le quali la Regione aveva optato per altri canali di approvvigionamento”.

Ricci annuncia di aver dato mandato ai propri legali di tutelare la propria persona di fronte a chi, “pur avendo avuto la documentazione a disposizione“, gli ha attribuito un ruolo diverso in questa vicenda.

La procedura di acquisto

Anche dal punto di vista amministrativo si rivendica la correttezza della procedura adottata per l’acquisto dei test sierologici. Il direttore Stefano Nodessi spiega che sono giunte in quei giorni offerte di altre 3 forniture simili. Alcune con la documentazione tecnica in cinese, o con tempi di consegna incompatibili, o con richiesta di anticipo di soldi. L’offerta ritenuta migliore, che consentiva di avere immediatamente a disposizione i test con marchiatura CE e realizzati in Italia (secondo la documentazione del Ministero della Salute) era quella di Vim per i test della Screen Italia.

Il prezzo

Il funzionario Bartoletti è riuscito ad ottenere le migliori condizioni” afferma Nodessi. Che informa che non c’è stata alcuna deroga al Codice degli appalti. “Chi fa forniture dirette – spiega – firma un contratto che sottopone il pagamento alla verifica che il soggetto possa trattare con la PA (art. 80). Il successivo 50% del prezzo viene pagato una volta che Anac ne avrà determinato la congruità”.

Il 9 aprile il contratto di acquisto dei test è stato inviato all’Anac. Dopo 60 giorni la congruità sarebbe acquisita, ma la Regione non ha ancora pagato nulla. “Non provvederemo a nessun pagamento – assicura Nodessi – fino al via libera dell’Anac. Dov’è il danno erariale?“.

Materiale che è stato inviato alla Corte dei Conti (che al momento non ha fatto altre richieste di documentazione) ed ha chi ha fatto richiesta di accesso agli atti.

Sul prezzo, poi, Nodessi assicura che altri ospedali italiani hanno acquistato quei test. Ad un prezzo anche superiore a quello pagato dall’Umbria. Quanto al confronto con l’ospedale Cutugno di Napoli, fatto da Report, Nodessi commenta: “Il 2 marzo mi chiedo quali test abbiano acquistato”.

Coletto: i risultati ci danno ragione

In quel momento bisognava essere rapidi” conferma l’assessore Luca Coletto. Che sull’esito della strategia adottata, anche in base all’uso della proprietà predittiva dei test, dice: “Siamo stati criticati, ma i risultati e soprattutto il bassissimo numero di decessi in Umbria ci danno ragione“.

Coletto afferma che l’uso dei test ha determinato risparmi “importanti” per la Regione, “perché – spiega – abbiamo limitato l’uso diagnostico dei tamponi“.

E aggiunge: “Ci ha permesso di spegnere due zone rosse molto rapidamente“.

Tesei: pronta a querelare chi ha fatto dietrologie

Amareggiata la governatrice Donatella Tesei. Che nel servizio di Report, pur indirettamente, è stata chiamata in causa nella vicenda. Sottolineando il presunto ruolo del suo capo di gabinetto (da questi poi smentito documentazione alla mano). Ma soprattutto, mostrando la fotografia che la ritrae in una cena elettorale con Monetti.

La foto con Monetti

In campagna elettorale – ribatte Tesei – ho incontrato migliaia di persone e fatto migliaia di foto con loro. Questo signor Monetti non lo conoscevo prima di quella foto, né dopo. E quella foto non può essere argomento che può ingenerare chissà cosa. Fortunatamente nel mio ruolo istituzionale ho avuto moltissimi contatti con l’economia di questa regione. Interlocuzioni strette con tutto il mondo economico, anche per affrontare ora la Fase 2 e tutelare la nostra regione dal mondo economico“.

Il problema – aggiunge – nasce quando qualcuno adombra cose strane. Respingo al mittente queste dietrologie. Farò tutti i miei approfondimenti e non mi sottrarrò dal denunciare. Per tutelare la mia persona e quello che rappresento: questa Regione e questa amministrazione“.

Le spese per la campagna elettorale

Tesei informa che le opposizioni hanno fatto una interrogazione per sapere se Monetti ha finanziato la sua campagna elettorale. E risponde subito: “Ve lo dico io: non ha sostenuto né la mia campagna elettorale, né quella della mia lista Tesei presidente. Tutto è regolarmente depositato presso la Corte di Appello di Perugia“.

“Scelte necessarie, ma nel rispetto delle regole”

Anche Tesei rivendica il lavoro fatto in questi mesi da tutti coloro chiamati a far fronte in Umbria all’emergenza Coronavirus. “Giorni in cui lavoravano h24. Abbiamo cercato in tutti i modi di gestire l’emergenza negli ospedali, nelle Rsa, nelle domiciliazioni, dove c’era un numero importante di persone osservate e curate e casa“.

Ci siamo assunti la responsabilità – rivendicala governatrice – delle scelte che erano necessarie. Ma sempre nel rispetto delle regole. E da quando si è parlato dell’Umbria come modello – accusa – sono uscite certe interpretazioni...”.

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