I loro compensi (tranne i casi di pochi eletti) sono stabilmente sotto i mille euro mensili. Appena qualche centinaia di euro, in certi casi. Soprattutto quando il budget a disposizione del politico di turno lo devono suddividere con altri portaborse. Un bottino magro, per chi può vantare una laurea “pesante” e molta esperienza nella pubblica amministrazione o anche nel settore professionale e dell’impresa privata. O per chi, comunque, ci mette tanto impegno. Per altri, meno titolati e soprattutto qualificati, quella mancetta, diciamocelo, è comunque una manna dal cielo. Da far durare il più possibile. Accendendo un cero al santo di turno prima di ogni elezione e, nel caso si sia nell’ufficio di un amministratore, pregando che il rimpasto non mandi tutti a casa. Perché in quel caso, se non spunta fuori un altro posto da un politico amico di quello caduto in disgrazia, c’è da andarsi a trovare un lavoro fuori dal Palazzo. E lì, le cose si fanno più dure.
Tante vittime e qualche sanguisuga, che del resto non mancano in ogni ambiente. I portaborse sono spesso le fiches (e non quelle con tanti zeri sopra) al tavolo da gioco della politica. Rosso o nero, pari o dispari. Sempre a guardare, con ansia e speranza, dove vada a finire la pallina lanciata da altri.Che poi, ma i casi sono pochi, c’è stato anche chi ha azzeccato il numero vincente: assunzione a tempo indeterminato, per poi scalare la macchina burocratica fino ad accaparrarsi l’ufficio (e lo stipendio) da dirigente. O comunque ha raggiunto l’ambita stabilizzazione, dopo anni da precario, E poco importa se quel precario era entrato in un ente pubblico senza concorso. Ma queste, sono altre storie.
Tra blocco delle assunzioni negli enti pubblici e le casse dei partiti politici mezze vuote, il gioco dei portaborse si è fatto più povero. Ma proprio perché, là fuori, nel mondo reale, di lavoro ce n’è spesso ancora meno (specie per chi non possiede particolari talenti) il gioco si è fatto più agguerrito. Come dimostra l’ultima baruffa a Palazzo dei Priori, dove l’uscita di Prisco dalla Giunta, che ha lasciato un posto (non proprio il suo posto, con la delega all’Urbanistica andata a Fioroni) a Massimo Perari, rischia di lasciare a piedi due assistenti in quota Fratelli d’Italia. Parliamo di “ore da portaborse”, che però l’azzurro Perari vorrebbe assegnare a qualcuno di sua fiducia, da portare con sé a Palazzo. Gli alleati di Fratelli d’Italia non la vedono così, tant’è che all’ultimo consiglio comunale hanno fatto mancare il numero legale, facendo saltare l’approvazione del nuovo regolamento contro il gioco d’azzardo. Più importante il gioco dei portaborse. Che con il cambio della maggioranza dopo anni di dominio del centrosinistra, nelle sue varie definizioni e articolazioni, ha portato, oltre a nuovi politici nella stanza dei bottoni, anche nuovi assistenti. In altri tempi, per risolvere una così grave “crisi politica”, sarebbe bastata una telefonata a un senatore di uno dei due partiti per sapere dove collocare il portaborse in esubero. Ma ora il gioco è cambiato.
FdI gioca (d’azzardo) a Palazzo dei Priori
A Perugia quello dei portaborse resta comunque uno dei giochi preferiti. Perché oltre al Municipio, ci sono tanti altri Palazzi: la Giunta e il Consiglio regionale, la Provincia congli uffici sparsi qua e là, le sedi delle varie società partecipate e degli organismi pubblici sovracomunali. E mettiamoci anche, le due Università (anche se lì, il gioco è un po’ diverso). Una volta c’erano anche sindacati e associazioni di categoria dove far transitare giovani che stavano a cuore a questo o a quel politico. Ma col tempo, in questi organismi, privati e sempre meno rassomiglianti al pubblico, la telefonatina ha sortito minori effetti. Anche perché la politica ha avuto sempre meno da elargire in cambio. La crisi, poi, con la necessità di far tornare i conti anche tra chi lavora con imprese, lavoratori e pensionati, ha assestato un duro colpo – magari non definitivo – alla pratica dell’imboscamento.
No, gli aspiranti portaborse il posto lo devono cercare nei Palazzi. Prospettando al politico scelto (ma che può cambiare, saltando anche in aree molto distanti alla bisogna) servigi giornalistici -o com’è più in voga oggi, da comunicatore – efficienza e discrezione per una funzionale segreteria, abilità alla guida, capacità di tener su il morale, doti da prete mancato nel caso serva un confessore che sappia custodire i segreti più inconfessabili. E soprattutto, la regola vale per tutti, occhi che sanno chiudersi, quando serve.
Se tra le tante doti mostrate nel curriculum ci sono quelle che convincono l’amministratore o il politico di turno, non resta che sperare che gli altri invitati a corte non siano troppi. Perché altrimenti, nello spezzatino cucinato per accontentare tutti, si finisce per lasciare a ciascuno solo briciole. E ci si ritrova a litigare per delle ore in più o in meno, come a Palazzo dei Priori, appunto.