Sanitopoli, una delibera “misteriosa” dell’Azienda ospedaliera di Perugia mette in fibrillazione, per le possibili reazioni a catena, indagati, ambienti sanitari e politica umbra. La delibera in questione – oggetto da giorni di chiacchiericcio che dai corridoi dell’ospedale è arrivato fino a piazza Italia – è la n. 873/2020, con cui si stabilisce la sospensione di 6 mesi dal lavoro per un/a dirigente indagato/a nell’inchiesta Sanitopoli. “Misteriosa” perché piena di omissis, nella versione pubblicata.
Nella motivazione dell’Ufficio provvedimenti disciplinari, accolta dai vertici aziendali ospedalieri, sembra che l’entità della sanzione sia stata decisa derubricando in via amministrativa alcuni dei comportamenti contestati dai pm Formisano e Abbritti. Titolari dell’indagine che un anno fa ha portato alla caduta della Giunta Marini e ad elezioni anticipate, poi vinte dal centrodestra, in Umbria.
Eppure nei casi più gravi le persone indagate (molte delle quali, tra cui quello/a oggetto del provvedimento, attualmente sospese dall’incarico) in caso di condanna o eventuale patteggiamento, sarebbero state licenziate in tronco. E i politici coinvolti, in caso di condanna pesante, rischiano anche di perdere le indennità per le cariche pubbliche svolte.
Ecco perché, comprensibilmente, la notizia della sospensione di 6 mesi concessa al/alla dirigente in questione ha creato un caso. Tant’è che sembra che all’Azienda ospedaliera sia pervenuta un’ulteriore richiesta, da parte del legale di un altro indagato dell’inchiesta Sanitopoli, per avere uguale trattamento.
Con diversi avvocati che difendono le 45 persone indagate a vario titolo nell’inchiesta Sanitopoli interessati all’iter che ha portato alla delibera in questione. Perché il provvedimento disciplinare è stato deciso appena dopo la comunicazione della conclusione delle indagini della Procura, prima dell’udienza preliminare e dell’eventuale processo. E nonostante il procedimento disciplinare fosse stato aperto e contemporaneamente sospeso in attesa della definizione del processo penale, come solitamente avviene.
Tra l’altro, anche la Procura, dove nelle settimane precedenti sono transitati i vertici amministrativi dell’Azienda ospedaliera, sembra guardare con attenzione a questa vicenda. Con il “precedente” del licenziamento evitato, vi sarebbe una grande convenienza a patteggiare per alcuni degli attuali indagati. Con possibili condanne, si ipotizza negli ambienti legali, intorno a un anno e mezzo con sospensione della pena.
Un’eventuale patteggiamento nelle prime fasi processuali porterebbe gli imputati “fuori” dal processo. Facendone quindi dei possibili testimoni da portare in dibattimento per ricostruire la presunta catena del sistema di raccomandazioni ipotizzato dai pm sulla base delle intercettazioni.
Perché la vera battaglia processuale, oltre che sull’ammissibilità delle intercettazioni raccolte in gran parte con il trojan installato nei cellulari, sarà quella di dimostrare l’esistenza di un “sistema” che gestiva i concorsi nella sanità umbra. Quel sistema ipotizzato dai pm, che a 9 indagati (tra cui i nomi eccellenti della politica) contestano il reato dell’associazione per delinquere. Accusa che i diretti interessati hanno sempre respinto e che gli avvocati difensori contano di smontare in aula.
Per questo, in fondo, il fatto che il/la dirigente in questione abbia scongiurato il licenziamento potrebbe essere guardato con interesse dagli ambienti della Procura. Che si troverebbero ulteriori testimoni oggi ancora indagati e per questo inaspettati. Tanto più se il meccanismo venisse applicato anche ad altri indagati, dall’Azienda ospedaliera o dalla Asl 1.
E al caso guarda anche la politica, per altre ragioni. Il capogruppo della Lega, Pastorelli, ha presentato un’interrogazione all’assessore alla Sanità Coletto, per conoscere gli esatti contenuti della delibera 873 e le procedure che hanno portato alla sua adozione. Precedendo, pare, alcuni colleghi del Pd che avevano “puntato” la materia. Insomma, il segreto di Pulcinella, dato che in tanti sembrano sapere dell’esistenza della delibera in questione.
La Lega, probabilmente, teme l’accusa politica di utilizzare gli stessi metodi dei predecessori. E per questo intende mandare all’opinione pubblica il messaggio che sulla gestione della sanità si cambia passo rispetto a quanto avvenuto in passato. Un po’ come accaduto a seguito della famosa delibera “di Capodanno” che spalancava le porte ad alcune stabilizzazioni dirigenziali nella Asl 2.
D’altro canto il Pd, pur difendendo la qualità della sanità pubblica targata centrosinistra, vuole segnare una discontinuità rispetto al passato. Mostrando però al tempo stesso che in fondo anche la maggioranza di centrodestra, una volta nella stanza dei bottoni, non ha una gestione così trasparente della delicata (e ricca) partita della sanità. E per questo il capogruppo dem Bori sta soffiando sul fuoco dei tre fascicoli, aperti dalla Procura della Corte dei Conti, sulla gestione dell’emergenza Coronavirus.
Ora la delibera n. 873/2020 può essere la miccia di una nuova bomba sul caso Sanitopoli. Approdato proprio in questi giorni nelle aule di Tribunale dopo diversi rinvii (mercoledì si è aperta l’udienza preliminare per gli ex manager ospedalieri Emilio Duca e Maurizio Valorosi). Un processo nel quale, tra gli altri, anche Regione Umbria, Asl 1 e Azienda ospedaliera di Perugia chiedono di entrare come parti civili.
E allora, chi storce la bocca di fronte alla delibera 837/2020 (dentro l’ospedale così come nei Palazzi della politica) si chiede che convenienza avrebbe l’Azienda ospedaliera a sospendere preventivamente dipendenti con accuse molto pesanti, invece di erogare la sanzione prevista in caso di condanna, cioè il licenziamento. E perché costituirsi parte civile nel processo nei confronti di alcuni e prevedere sanzioni più lievi nei confronti di altri. Anche perché, terminata la sospensione, molti saranno nuovamente ai loro posti.
Si attende il Consiglio regionale dove l’assessore Coletto, in risposta all’interrogazione presentata, mostrerà a tutti la famosa delibera 873/2020. Stavolta senza omissis, che l’Azienda ospedaliera sarà obbligata ad inviargli.