Sanitopoli, atto secondo. Dopo la sentenza di primo grado arrivata il 18 novembre del 2014 che ha visto condannata l’ex governatrice dell’Umbria Maria Rita Lorenzetti a otto mesi di reclusione (con pena sospesa) e l’ex assessore alla Sanità Maurizio Rosi e l’allora direttore della direzione regionale dell’Umbria alla Sanità, Paolo Di Loreto ad otto mesi e quindici giorni, mentre tutti gli altri imputati sono stati assolti, il procuratore Giuliano Mignini ha chiesto ieri alla Corte d’Assise d’Appello, non solo di rinnovare quelle condanne ma di inasprirle, oltre alla richiesta di condanna per tutti gli altri imputati assolti in primo grado. Condanne che vanno dai nove ai venti mesi di reclusione, quelle chieste dalla pubblica accusa anche per gli altri sette del processo.
I tre erano stati condannati in primo grado a otto mesi, perché, secondo il collegio erano responsabili di aver “falsificato” due delibere della giunta regionale. Ma per la procura, l’affaire Sanitopoli è molto più ampio. L’inchiesta era partita dai posti di lavoro promessi nelle telefonate intercettate e andando a scavare nei documenti di Asl 3, Comune di Foligno, negli archivi di alcune aziende partecipate, gli inquirenti erano arrivati a due delibere della giunta regionale. Delibere ritenute “sospette” perché, secondo l’accusa, completate con modalità anomale con cancellature e aggiunte a penna e trasformate da tre a quattro, questo secondo l’accusa frutto di accordi e aggiustamenti poco trasparenti.
Scale che si inseguono tra loro senza comprendere dove sia l’inizio o la fine di un percorso. Le due mani che si disegnano a vicenda senza che l’origine del moto sia identificababile. Un nastro di Möbius di Escheriana memoria. Queste le metafore usate nel corso del processo di primo grado dal pm Massimo Casucci per convincere il tribunale che le delibere di giunta regionale dell’inchiesta Sanitopoli erano “forme geometriche assurde”, dove “si insegue un contenuto che non c’è, né prima né dopo”.
Era stato il pm Mario Formisano a parlare di delibere “guscio vuoto”: “Non si può emanare un provvedimento e poi, solo in seguito, emanare l’istruttoria che dovrebbe averlo prodotto”. Questo è quello che l’accusa voleva provare, cioè che le delibere “urgenti” incriminate, in particolare la 1402 dell’ottobre 2009 (che secondo l’accusa sarebbe valsa all’ex capo di gabinetto della presidente Lorenzetti, Sandra Santoni, un posto alla Asl 3 di Foligno) e la delibera numero 46 del gennaio 2009 (delibera che ha per oggetto “l’autorizzazione alle aziende sanitarie e ospedaliere ad assumere personale”) sono state autorizzate prima ancora di ricevere le richieste di personale dalle Asl e prima ancora che venisse redatta un’istruttoria. “Insomma – spiega l’accusa – la prassi non viene rispettata, tutto avviene al contrario, prima si prendono le decisioni e poi si istruiscono le pratiche”.
E allora dopo la sentenza considerata “troppo blanda” l’accusa torna alla carica perchè secondo il pg Mignigni quanto ricostruito non può essere circoscritto a quello specifico reato e a quelle tre persone. E così ieri mattina, ha spiegato che “l’inesistenza delle proposte di deliberazione” da parte dell’assessore alla Sanità, dimostra che quelle delibere erano “ideologicamente falsi”, perché “aventi ad oggetto un atto – la proposta dell’assessore – inesistente”.
“Non ci sono elementi neppure indiziari – ha spiegato l’avvocato Luciano Ghirga legale di Lorenzetti – contro la mia assistita, per la cosiddetta condotta successiva alla delibera. Il suo comportamento è stato del tutto lecito sia nella fase di adozione della delibera, che nel momento dell’approvazione della stessa”.
Lorenzo Tizi, che difende Di Loreto ha definito il suo assistito la “vittima sacrificale” perché “condannato alla pena più alta in primo grado”, quando invece aveva “un ruolo marginale”.
Si torna in aula il 15 per le ultime arringhe e poi per la sentenza, che potrebbe anche essere rinviata dopo un’eventuale riapertura parziale del dibattimento per riammettere le intercettazioni, come chiesto dalla procura.