Rispetto dello standard internazionale Uni En 13432, è questa la necessità del “decreto Mezzogiorno” per adeguare il sistema italiano di smaltimento rifiuti.
Uno dei punti contenuti nella normativa è l’entrata in vigore, dal primo gennaio 2018, dell’obbligo di utilizzare gli shoppers biodegradabili per alimenti nella grande e piccola distribuzione. I nuovi sacchetti saranno venduti dagli esercenti che potranno imporre un costo da 1 a 5 centesimi con sanzioni che vanno da 2mila e 500 a 25mila euro fino a un massimo di 100mila euro (se la violazione del divieto riguarda ingenti quantitativi di borse di plastica oppure se il loro valore è superiore al 10% del fatturato del trasgressore) per i trasgressori. L’obbligo di pagare i sacchetti è accompagnato, attualmente, dal divieto di portare da casa le buste biodegradabili per ragioni igieniche,
Come sancito dall’articolo 9-bis della legge 123/2017:
“Le borse di plastica in materiale ultraleggero non possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di vendita per singola unità deve risultare dallo scontrino o fattura d’acquisto delle merci o dei prodotti imballati per il loro tramite”.
‘Bufale’ e innovazione
La ‘guerra’ politica che si è scatenata sul decreto sembra non centrare il vero problema. Prima di tutto bisogna precisare che non si tratta di una nuova ‘tassa’, ma il ‘ricavo’ addizionale andrà agli esercenti per coprire la maggiore spesa per acquistare shoppers biodegradabili che hanno ovviamente un costo maggiore rispetto a quelli tradizionali.
Lo stesso Ministero Dello Sviluppo Economico, tramite una nota, ha invitato i gestori a non applicare tariffe troppo gravose per “evitare far ricadere sul consumatore finale il costo derivante dall’introduzione e conseguente applicazione di una disposizione avente quale finalità la tutela ambientale”.
Assobioplastiche, riguardo la cifra gli italiani andranno a pagare in più in un anno, ridimensiona quelle ipotizzate da Codacons che stima la spesa in circa 50 euro; considerando un consumo medio annuo per famiglia intorno a 150 sacchetti e un costo unitario compreso tra 1 e 3 centesimi, si arriva ad un onere complessivo di 2-4,5 euro l’anno.
Secondo un’analisi GFK-Eurisko le famiglie italiane effettuano in media 139 spese in un anno. Ipotizzando che ogni spesa comporti l’utilizzo di tre sacchetti per frutta e verdura, il consumo annuo per famiglia dovrebbe attestarsi a 417 sacchetti, per un costo compreso tra 4,2 e 12,5 euro.
Siamo ancora lontani dalle stime di Codacons.
La questione ‘regalo del Governo’
Facciamo chiarezza anche su Novamont, che a Terni ha il sito della manifattura finale; la multinazionale non ha il monopolio della produzione dei sacchetti di plastica. Per avere ulteriori spiegazioni in merito abbiamo contattato direttamente l’azienda: “Novamont non ha il brevetto esclusivo del materiale che viene preparato e poi venduto alle aziende che producono sacchetti”. Prima informazione utile; l’azienda produce il materiale in bioplastica e non i sacchetti.
“A Terni – spiega ancora la Novamont – c’è un sito strategico perché lì viene rifinito il materiale, bioplastica per film, poi venduto ai nostri clienti.
Sicuramente Novamont è un’azienda leader del settore di mercato interessato e, negli ultimi mesi, anche a Terni, si è lavorato in modo continuativo. Dire ora se in futuro ci saranno ricadute importanti a livello occupazionale ed economico sul territorio è ancora presto – precisa l’azienda – ma sicuramente siamo un punto di riferimento per il mercato. La nostra azienda è in attività dal 1989 e non ha senso parlare di un ‘regalo’ del Governo. La nostra filosofia è quella di andare a cercare siti dismessi o in crisi e di ricreare lavoro per chi l’ha perso. Siamo sorpresi che nessuno sia andato a chiedere in giro ai nostri dipendenti come si lavori nei nostri stabilimenti”.
Secondo la legge, inoltre, ci sarebbe anche un fattore di incidenza positiva nel processo virtuoso del riciclo, visto che i sacchetti sono compostabili e quindi riutilizzabili per la raccolta dell’umido, evitando la spesa per sacchetti specifici.
Lo smaltimento nella differenziata
Qui si apre però un problema sullo smaltimento. Quando si prende un sacchetto per frutta o verdura si applica allo stesso la targhetta adesiva col prezzo del prodotto pesato della bilancia. Quella targhetta contiene colla e altri prodotti che potrebbero non facilitare lo smaltimento finale. Una volta svuotato della spesa e utilizzato come contenitore dell’umido, come si può smaltire il sacchetto con la targhetta adesiva? Deve essere tolta? Come si può togliere se il sacchetto si apre?
Per avere un chiarimento abbiamo provato a contattare l’Asm di Terni. Il primo tentativo non è stato del tutto chiarificatore, visto che il primo centralinista, dopo aver dato per scontato che non ci fosse alcun problema, ci ha detto poi di non saperne poi così tanto sull’argomento e di richiamare quando sarebbe entrato il collega ‘più informato’.
I dubbi erano del tutto legittimi, visto che alla seconda telefonata, un operatore più informato ha invece specificato che il sacchetto con l’etichetta non si può smaltire così come è, ma bisogna toglierla. Questo ‘imprevisto’ potrebbe limitare non di poco l’utilità del provvedimento poiché non è facile staccare la colla senza strappare il sacchetto stesso. Un piccolo suggerimento potrebbe essere quello di staccarla con un pò di acqua calda, certo un’operazione non troppo pratica per chi ha poco tempo da dedicare alla cura della casa, ma che potrebbe risolvere il disagio.