Rogo Umbria Olii, le vedove "I nostri mariti non ce li ridà nessuno" - Tuttoggi.info

Rogo Umbria Olii, le vedove “I nostri mariti non ce li ridà nessuno”

Sara Fratepietro

Rogo Umbria Olii, le vedove “I nostri mariti non ce li ridà nessuno”

Dopo l'arresto di Giorgio Del Papa condannato per la morte dei 4 lavoratori nel 2006, il commento dei familiari delle vittime e del superstite
Dom, 10/03/2019 - 10:58

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Morena, Fiorella, Anila, Catia. Sono le vedove di Maurizio, Giuseppe, Vladimir e Tullio, i lavoratori della ditta Manili Impianti saltati in aria quel sabato 25 novembre 2006, all’ora di pranzo, mentre stavano lavorando sui silos della Umbria Olii di Campello sul Clitunno. In questi quasi 13 anni, mentre la giustizia faceva il suo corso, fino all’esecuzione – avvenuta venerdì – della sentenza di condanna per omicidio colposo plurimo a carico di Giorgio Del Papa, allora legale rappresentante della raffineria campellina, la loro posizione è sempre stata univoca: “i nostri mariti non ce li ridà nessuno“.

Lo hanno pensato e detto mentre si susseguivano sentenze, ricorsi, iniziative giudiziarie discutibili (come la richiesta danni agli stessi familiari delle vittime per 35 milioni di euro che destò enorme clamore), lo continuano a pensare ora che Del Papa è finito in carcere, dove deve scontare una pena a 4 anni, 9 mesi e 15 giorni di reclusione. Questa, infatti, la condanna decisa dalla Corte d’appello di Firenze nel 2017, ora divenuta esecutiva dopo il tentativo di una nuova impugnazione in Cassazione da parte dei suoi legali. In primo grado,  nel 2011, l’imprenditore oleario era stato condannato a 7 anni e 6 mesi per omicidio colposo plurimo ed altri reati, pena poi ridotta in secondo grado, con la Corte d’appello di Perugia che aveva riconosciuto un terzo di colpa al titolare dell’impresa appaltatrice, morto nel rogo, Maurizio Manili. Quindi la prescrizione di alcuni reati ed infine la pena rideterminata due anni fa dai giudici fiorentini, ora definitiva.

Quel sabato di 12 anni e mezzo fa si salvò soltanto uno dei dipendenti della ditta Manili, Klaudio Demiri, in quel momento su una gru. In pochi istanti davanti ai suoi occhi si manifestò l’inferno. La difesa di Del Papa ad un certo punto della fase processuale incolpò addirittura lui – vivo per miracolo – dell’esplosione, come se potesse essere stata una piccola gru a creare un rogo simile e non invece, come indicato sin dai primi giorni dall’accusa, l’esano presente nei silos non svuotati dall’olio ed ‘attivato’ dalla saldatrice utilizzata dagli operai per montare delle passerelle per le ispezioni doganali. Le tesi difensive che si sono susseguite nel corso degli anni, cambiando ad un certo punto totalmente linea, non hanno però avuto riscontro (se non nel riconoscimento del parziale concorso di colpa dell’imprenditore narnese morto) nel processo e nella sentenza. Klaudio, alla notizia venerdì dell’arresto di Giorgio Del Papa, ha parlato di una “bella notizia finalmente“, aggiungendo che “è sempre troppo poco“.

La vedova Manili, Morena Sabatini, ha commentato invece all’agenzia Ansa: “Se Giorgio Del Papa ora va in galera a me non interessa, non cancella il dolore. Dopo tutti questi anni mio marito non me lo ridà nessuno, è morto a soli 45 anni e un uomo a 45 anni è quasi un ragazzo”. 

Tra i familiari delle 4 vittime che in questi anni hanno alzato di più la voce c’è Lorena Coletti, sorella di Giuseppe. “Ci sono voluti quasi 11 anni (nel 2017, ndr) per arrivare a una sentenza definitiva per la strage sul lavoro alla Umbria Olii di Campello sul Clitunno, dove il 25 Novembre 2006 morirono bruciati sul lavoro 4 operai, e oltre 12 anni e mezzo per dare esecuzione alla sentenza. Ma alla fine la giustizia ha trionfato” dice Lorena. “Abbiamo versato lacrime amare, ingoiato sassi, subito le peggiori umiliazioni, non abbiamo dormito la notte, ma alla fine chi ci fatto del male sta pagando con il carcere e mio fratello Giuseppe Coletti può riposare in pace. Vorrei ringraziare lo Stato Italiano che ha fatto chiarezza, e ha fatto si che la verità venisse a galla. Se non si fosse fatta giustizia, è come se mio fratello fosse morto una seconda volta. Anche se, purtroppo, con grande ritardo, ma come dice il proverbio: meglio tardi che mai”.

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