Non bastasse prendere atto che non conti una cippa lippa, fa tanto ridere tutto il contorno di chi si è messo ad alzare il ditino sdegnoso su un rimbrotto
Sappiamo bene di scrivere la nostra “condanna a morte” (si fa per dire eh), mettendo nero su bianco alcune riflessioni non allineate su tutto lo strombazzamento degli ultimi giorni seguito alla pubblicazione del breve articolo firmato su un quotidiano locale, dal Prof. Roberto Segatori, sociologo, attaccando la spoletitudine
Ma da tempo ci siamo abituati a non fermarci alle apparenze e men che meno a nuotare secondo corrente. La curiosità è sempre più forte di ogni altra concausa e ci guida nella ricerca di quei perché su cui nessuno ha voglia o tempo di riflettere.
Sulla faccenda se ne sono lette di tutti i colori e per tutti i gusti. Il Prof. Segatori, stimatissimo accademico ma anche vecchia volpe (occhio che prima o poi si “finisce in pellicceria”, Andreotti dixit) della politica regionale (PCI-PDS-Ds-Pd), forse ispirato da terzi?… o forse anche stufo di un certo “strillizio” (come lo definiva mia nonna Gertrude, detta Gilda) sulla questione del furto di ospedale e lesa maestà nei confronti degli amministratori comunali, quelli del “nessuno ce lo ha detto”, ha preso carta e penna è si è messo a sottolineare miseria e nobiltà dello spoletino urlans.
Ora, già sarebbe interessante discutere nel merito di una classe politica amministrativa locale, ma in generale anche di opposizione, che scopre la sera per la mattina che la Regione sta per decidere qualcosa di importante sulla sorte dell’Ospedale della sua città e loro non ne sanno niente.
Ma se non bastasse prendere atto che non conti una cippa lippa, fa tanto ridere tutto il contorno di chi si è messo ad alzare il ditino sdegnoso su un rimbrotto che dovrebbe essere criticato invece per tutt’altro merito.
Lo stimato accademico (e non è una battuta, ma un riconoscimento sincero da ex-studente), ha torto marcio a prendere di petto gli spoletini tout court, sopratutto perchè a molta parte degli autoctoni non gliene frega proprio nulla di ciò che dicono i politici, ma sono abituati da tempo, secoli, a usare il potente di turno come un veicolo per il trasporto (“Uso i partiti come un taxi” Enrico Mattei).
Sappiamo tutti, Segatori incluso, che gli umbri non si fidano nemmeno di mamma e papà, figuriamoci di chi strillicchia a casaccio, per non parlare poi nel caso specifico, di coloro che sono spoletini acquisiti.
Per chi ancora non lo avesse capito, ma Segatori lo sa bene, Spoleto è costruita sulla famosa legge del Prius, quella del Conte Tacchia per capirci, dove la nobiltà plebea non ha nulla a che fare con l’aristocrazia di origine: “sono 70-80 generazioni che io li conosco, mi conosco!”.
Insomma quelli che vengono prima delle antiche pietre della città, mentre a Foligno ancora zompettavano per campi e marane con la pelle di pecora indossata come gilet.
E quando il Prof. si mette a disquisire di miseria e nobiltà è bene che specifichi a quale nobiltà decaduta vuole parlare. Quella del Prius o quella mainstream?
Ahinoi a Spoleto, e questo è un fatto inequivocabile, c’è anche la nobiltà terziara, quella che tocca in sorte a tutti gli italiani in genere, che abbozzano. Quella che nostro malgrado spesso parla come gli capita e detta la linea.
Tant’è che se una cosa del Segatori è sacrosanta, nel suo elzeviro, è proprio la lista delle occasioni mancate del territorio. Ecco lì forse è il caso che i piccoli urlatori locali abbassino il volume perché il Prof. li inchioda su fattispecie concrete, non travisabili, e soprattutto sotto gli occhi di tutti.
Non che non sia accaduto lo stesso anche in altri territori regionali, la lista potrebbe essere imbarazzante per tutti, Segatori compreso, ma se gli Spoletini si sdegnano per il fatto che qualcuno glielo fa notare, beh…come si dice dalle nostre parti “pia su e porta a casa!”.
La reazione scomposta di molti anti-segatoriani, dà la percezione netta di cosa sia il mainstream cantante locale.
Un gruppo di pensosi pensatori alla Archimede Pitagorico, che si mettono a raccontare le gesta degli eroi e del territorio, e del perché dunque ci si deve portare rispetto per diritto di nascita, dando l ‘impressione netta di non aver letto bene, riga per riga, l’articoletto in questione, peraltro poco sociologico (Professore che ci combina eh…) e molto diretto a un paio di obiettivi specifici: il sindaco (pericoloso per le amicizie romane? Mah…), il vescovo (reo come presidente della Conferenza Episcopale Umbra di un ridisegno delle archidiocesi inclusa quella di Foligno?…Ah, saperlo!). E infine, ma solo come pretesto per l’intemerata, la faccenda ospedale, che se non lo metti a disposizione, significa che non fai qualcosa per la comunità umbra. Come se a Pantalla, Narni, e tutti gli altri presidi regionali interessati dai provvedimenti di urgenza, non ci sia stata una certa reazione di fastidio, chiamiamola così.
La reazione è umana, anche umorale, ci può stare, ma non va spacciata strumentalmente per assenza di solidarietà. Se si conosce bene la propria gente, si deve prima comprendere, per comandare. Non basta una elezione con le preferenze. Soprattutto in Umbria.
Se ci fosse stato un generale, al comando della città di Spoleto, tipo Sun Tzu (quello de L’Arte della Guerra), questo certamente non avrebbe portato le sue truppe a combattere sul terreno del suo nemico, ma avrebbe speso un po’ più di tempo prima di ordinare una reazione uguale e contraria, ad osservare le condizioni del terreno di scontro, la freschezza delle truppe, la loro soddisfazione, la regolarità dei rifornimenti ed infine anche il tempo meteorologico.
Come si dice a Spoleto “se da qualche parte trona allora vordì che piove…”.
Ordinare un contrattacco alla Regione ingrata usando la stessa musica che si suona a Perugia, e perché no, anche a Foligno, è tipico della nobiltà cantante mainstream spoletina, quella con le pezze sulla terga dei pantaloni.
In tempi di Google e di informazione diffusa, andiamoci a riguardare chi erano i protagonisti degli ultimi 40 anni della politica locale e di come si sono sviluppate le cose intorno all’ospedale e non solo. Lo dovremmo fare perché se è vero che qualcuno ci comanda a suon di slogan e di gridi di battaglia, è anche vero che una truppa valorosa (se tale vuole essere) ha il dovere di sapere per chi combatte, a costo anche di dolorose perdite.
Per quanto riguarda poi la vulgata popolare, tutta frutto della nobiltà terziaria e forse oggetto dell’ attacco del Prof. Segatori, secondo la quale siamo stati saccheggiati nel tempo e contro cui, come per la Beata Quartina, “non ce poi fa gnente…”, sarebbe invece interessante ricostruire (quelli della nobiltà del Prius la faccenda la conoscono bene) la storia di chi, localmente, ha chiuso gli occhi in cambio di prebende materiali, posti di lavoro, promozioni, scambi economici non “mintuabili”, poltrone politiche di piccolo cabotaggio e strapuntini retribuiti benino in enti di secondo livello.
Chi scrive si ricorda in prima persona molti di questi fatti, come (citando random) la famosa questione della linea rossa che delimitava le aree terremotate dopo il sisma del ’97, che si fermava a San Giacomo (più o meno) e questo perché a Spoleto, diceva il vertice politico di allora, “non siamo sciacalli”. Nemmeno fessi verrebbe da ridire, ma tant’è!
Ma anche il patto tacito tra attori politici e imprenditoria locale (tra cui una banca a caso) con cui ci si divideva i compiti: tu ti occupi della politica e io mi occupo degli affari. Motivo per cui per decenni non si eleggeva nessuno in consiglio regionale e men che meno gli si affidava il prestigio di un assessorato.
Patto talmente collaudato nel tempo, che negli anni ’80 in occasione della costruzione di un quartiere residenziale alle porte di Spoleto (decine e decine di appartamenti in una delle più belle aree a ridosso del centro) il sindaco di allora, scomodò il potentissimo direttore generale di Confindustria a intervenire in un consiglio comunale in cui si discuteva del progetto. Il potente boiardo degli industriali ci venne a dire in quel caso che se non davamo l’assenso alla edificazione avremmo avuto sulla coscienza decine e decine di licenziamenti della impresa di costruzione di un noto spoletino mainstream.
Noi c’eravamo in quel consiglio e ci ricordiamo anche le braccia alzate del sindaco “Ponzio Pilato” che davanti alla prospettiva dei licenziamenti si vedeva costretto dal destino cinico e baro a concedere l’autorizzazione. Amen.
Non ci rimane che compiangere gli spoletini del Prius, quelli che si conoscono da generazioni e che davvero hanno costruito qualcosa per la città.
Non possiamo certo congratularci con coloro invece che scatenano le reazioni come quella del Prof. Segatori (genuina o richiesta, lo ribadiamo per dovere di cronaca) e quando poi gliela scrivono nero su bianco, nemmanco la capiscono fino in fondo, perché di memoria corta. Una generazione politica e sociale che andrebbe rieducata, prima ancora che rifondata.
E dunque, giunti al fine della licenza, prendiamo atto, malgré tout, che il Prof. Roberto Segatori un po’ di ragione ce l’ha.
(modificato alle 17,26)