Una ricerca condotta da un team di studiosi italiani che, unendo tecnologia spaziale e scienza, punta a rivoluzionare la comprensione
Nel cuore del deserto egiziano, laddove l’archeologia ufficiale colloca i fasti dei faraoni e l’immaginario collettivo vede solo sabbia e mummie, qualcosa si muove. O meglio: qualcosa riemerge. È il Progetto Kefren, una ricerca condotta da un team di studiosi italiani che, unendo tecnologia spaziale e teoria scientifica, punta a rivoluzionare la nostra comprensione delle piramidi di Giza.
Protagonisti di questa indagine: Corrado Malanga, chimico e teorico della coscienza, Filippo Biondi, ingegnere delle telecomunicazioni, e Armando Mei, egittologo e ricercatore multidisciplinare. A intervistarli, sono stati Francesco Liberati, presidente dell’associazione culturale Visioni di Autore, e Elisabetta Severini, ideatrice del contenitore culturale Spoleto Olistica, che organizzeranno il prossimo evento pubblico “Giza, la punta dell’iceberg”, il 27 luglio a Spoleto.
Un’indagine dal cielo al sottosuolo
Tutto nasce da una domanda semplice: e se le piramidi non fossero quello che ci hanno sempre raccontato? Per rispondere, il team ha utilizzato una tecnologia altamente specializzata e sofisticata applicata alle necessità di “scandaglio” di questo progetto: radar satellitari di tipo (SAR) e cioè il radar ad apertura sintetica, capace di ottenere immagini del sottosuolo profondo con una precisione impensabile fino a poco tempo fa.
Nello specifico, il radar ad apertura sintetica normalmente emette fotoni per scandagliare e misurare il suolo terrestre ma grazie all’ingegner Biondi ed a speciali algoritmi da lui sviluppati l’emissione fotonica del radar, che non consente di penetrare la materia, viene “trasformata” in emissione fononica. Grazie a questi due concetti fondamentali della fisica quantistica si riesce a “leggere” la materia proporzionalmente alla sua densità e in questo caso ad ottenere risultati mai raggiunti.
Il gruppo ha impiegato tre diversi sistemi satellitari che utilizzano tecnologia SAR – Umbra Space, Capella Space e COSMO-SkyMed – per mappare la Piana di Giza dall’alto e dal profondo. Le immagini risultanti rivelano una realtà sconcertante: strutture sepolte regolari, simmetriche, di dimensioni enormi. “Sono assolutamente incompatibili con le tecnologie egizie note nella IV Dinastia – spiega Biondi –. E sono lì, confermate da dati incrociati”.
Ma la vera portata della scoperta sta nel cosa potrebbero essere quelle strutture.
Le Piramidi non come tombe, ma come tecnologie
Corrado Malanga, da anni impegnato nello studio della coscienza umana, va dritto al punto sostenendo che le piramidi non sono tombe:
“Abbiamo il tremendo sospetto che le piramidi fossero delle macchine costruite e ideate apposta da una civiltà che conoscesse bene come era fatto l’uomo, fatto di tre parti. […] queste tre parti – mente, spirito, anima ndr – venivano gestite, in qualche modo, dalla scienza dei fotoni, dalla scienza dei fononi, utilizzando […] i quattro elementi dell’alchimia antica.”
A confermarlo, secondo lo studioso, sono le evidenze archeologiche: nessun geroglifico, nessun corredo funerario, nessuna mummia. “Se fossero state delle tombe, avremmo trovato all’interno […] elementi che potessero essere testimonianza di una sepoltura, – aggiunge l’egittologo Armando Mei – così come le tante tombe che sono state trovate in Egitto, che sono famosissime proprio per la quantità e la qualità degli affreschi che sono stati trovati all’interno. Nelle piramidi di Giza non c’è un geroglifico. L’unico che è stato trovato è profondamente discutibile.”
Anche dal punto di vista ingegneristico, le anomalie abbondano: l’uso del granito, il trasporto di blocchi da 900 km di distanza, l’orientamento astronomico perfetto. Tutto fa pensare a una tecnologia superiore, che non poteva essere nelle mani della civiltà egizia dinastica.
Coscienza, scienza e una nuova visione dell’essere umano
Il Progetto Kefren non si limita a scandagliare la terra. Punta a qualcosa di più profondo: scandagliare l’uomo.
Secondo Malanga, l’essere umano è composto da tre coscienze separate – animica, mentale e spirituale – che, nell’attuale stato evolutivo, vivono disgregate. “Queste tre parti venivano gestite, in qualche modo, dalla scienza dei fotoni, dalla scienza dei fononi, utilizzando non le macchine come le conosciamo noi, ma il vento, il granito, l’acqua, il fuoco, i quattro elementi dell’alchimia antica. ”
Un’affermazione forte, che trova sponde – secondo lo scienziato – nella precisione matematica delle costruzioni egizie. il senso è: senza il teorema di Pitagora non si costruisce una piramide. Ma Pitagora lo ha appreso proprio durante la sua permanenza in Egitto. Chi lo ha insegnato a lui?
Un progetto nato in garage, diretto allo spazio
“Abbiamo iniziato tutto nel mio garage” – racconta Filippo Biondi – “tra damigiane di vino e prototipi. Oggi lavoriamo con dati satellitari da 600 km di altitudine.”
La tecnologia SAR usata dal team è all’avanguardia, in particolare nella modalità Spotlight, che consente risoluzioni altissime. Il progetto ha attirato l’interesse di università prestigiose (tra cui La Sapienza e Stanford) e aziende internazionali, ma il gruppo ha scelto finora di non accettare finanziamenti, per mantenere libertà e neutralità.
Biondi spiega anche che il radar potrebbe trovare applicazioni mediche, come tecnica diagnostica non invasiva. È una frontiera ancora da esplorare, ma la possibilità esiste.
Le pressioni e il “muro”
Non tutti però vedono di buon occhio queste scoperte. Malanga richiama il caso dello scienziato Jacques Benveniste. “Quando scopri qualcosa che mina gli interessi, vieni ostacolato. […] Le bugie hanno le gambe corte.” dice citando il caso dello scienziato ostracizzato per aver proposto la teoria della memoria dell’acqua.
“Dimostrare agli egiziani che loro non sono una grande civiltà perché non hanno costruito le piramidi è erode, in qualche modo. E quindi faranno di tutto per evitare che noi si possa andare ad avere i permessi per scavare e per dimostrare…” continua.
Chi le ha costruite?
Alla domanda cruciale – chi ha costruito tutto questo? – nessuno si lancia in risposte definitive. Ma Mei azzarda un’ipotesi che può essere così riassunta:
“Nessuna delle civiltà note aveva le competenze tecniche per realizzare le strutture che abbiamo trovato. Questo ci costringe a ipotizzare l’esistenza di una civiltà precedente, forse sopravvissuta a eventi catastrofici globali come l’eruzione del supervulcano Toba, tra il 75.000 e il 70.000 a.C. Nei miti c’è scritto molto, se sappiamo leggerli con attenzione scientifica.”
Il futuro? Cina, Bucegi, Etna
Conclusa la fase su Giza, il radar punterà altrove. Biondi guarda all’Etna per un’indagine a fini umanitari. Mei vuole esplorare le Sfingi di Bucegi e Balochistan, in Romania e Pakistan. Malanga propone le piramidi cinesi, “perché troppo simili a quelle egizie per non essere collegate da una civiltà madre comune”.
Una civiltà dimenticata, forse. Ma – concludono – non per sempre.
Il 27 luglio a Spoleto: il “volo” dentro Giza
Il prossimo appuntamento con il Progetto Kefren sarà il 27 luglio 2025 a Spoleto, durante l’evento pubblico Giza, la punta dell’iceberg organizzato da Visioni di Autore e ospitato da Spoleto Olistica. In un teatro ottocentesco ormai quasi sold out, verrà presentata una ricostruzione tridimensionale dell’intera Piana di Giza: non solo le piramidi, ma anche le strutture sotterranee mappate con i radar SAR.
Il pubblico potrà compiere un volo virtuale sopra e sotto le piramidi, osservando ciò che fino a poco tempo fa era nascosto. “Alcuni elementi sono dati certi – precisa Malanga – altri sono ipotesi. Ma la scienza si muove sulle ipotesi, non sull’immobilismo.”