Cinque milioni di euro. E’ questo il totale delle richieste che la parte civile ha espresso questa mattina in aula, come risarcimento che gli imputati Valerio e Riccardo Menenti, se considerati colpevoli dell’omicidio di Alessandro Polizzi, dovranno pagare a Julia Tosti e ai suoi familiari (padre, madre e fratello) e ai genitori e al fratello del 23enne ucciso nell’appartamento di via Ettore Ricci la notte del 26 marzo del 2013.
Le richieste delle parti civili. Ottocentomila euro per Julia con una provvisionale di 150 mila euro. Ottantamila euro a testa per i genitori e quarantamila per il fratello della ragazza superstite, queste le richieste degli avvocati Luca Maori e Donatella Donati. Per Francesco, fratello della vittima, l’avvocato Giovanni Rondini ha chiesto un risarcimento non inferiore ad un milione di euro e con provvisionale di 500 mila euro, mentre il legale Nadia Trappoli per Giovanni Polizzi e Ricci Daniela ha richiesto una somma non inferiore ad euro un milione e 500mila euro ciascuno.
Il dolore dei familiari. Oggi è stato il giorno delle parti civili, il momento in cui tutto il dolore, tutte le sofferenze di chi ha perso Alessandro per sempre sono tornati fuori e viene ripercorsa la mattina in cui hanno saputo nell’azienda di famiglia a Ponte San Giovanni che il ragazzo era morto.“Per primo lo saprà il padre Giovanni – spiega l’avvocato Trappolini – lo saprà in un modo crudo. Verrà avvicinato da un cronista” e poi le parole del padre riportate così come le disse in aula “Non ricordo più che è successo dopo, ho gridato, ho chiamato mia moglie e Francesco a scuola”. “La mia vita non è solo cambiata, è finita”, saranno queste infatti le parole di una madre in un’aula di tribunale dove le lacrime cadono ormai senza un grido, per dignità e sfinimento.
Gli imputati pensavano ad un libro da scrivere. E mentre i genitori di Alessandro non avevano più lacrime da versare, mentre Julia vedeva impossibile cercare di riprendersi dal trauma pazzesco della notte in cui le hanno ammazzato il fidanzato e le hanno sparato mentre dormiva. Mentre i frammenti di quella notte tornavano prepotenti e i sensi di colpa la dilaniavano tanto da farla pensare al suicidio, tanto da farle assumere farmaci anche solo per affrontare le giornate. Mentre tutto questo avveniva, dopo la notte del 26 marzo 2013 in cui un 23enne è stato ucciso (secondo l’accusa e le parti civili con premeditazione, con crudeltà e per futili motivi), con un colpo di pistola e poi con colpi alla cieca branditi alla testa e al corpo con un arnese di ferro anche quando era già morto, i due accusati dell’omicidio Riccardo e Valerio Menenti, “parlano in carcere – spiega l’avvocato di parte civile Nadia Trappolini – di scrivere un libro su questa esperienza, parlano delle conferenze stampa, dei giornalisti della copertina del libro che la madre sta abbozzando e Valerio disegna”. E sicuramente in un ipotetico capitolo potrebbero trattare di Julia, la ragazza che gli imputati descrivono come “un’anima nera”, colei a causa della quale tutto sarebbe successo.
Ancora intercettazioni. “Valerio c’hanno incastrato quei due minuti che tu sei sceso per parla’, quello c’ha incastrato”, l’avvocato Trappolini non ha dubbi, per lei questa frase pronunciata in carcere da Riccardo che parla con Valerio dimostra il fatto che loro sapessero benissimo i significato di quell’incontro in ospedale, quello in cui secondo l’ufficio del Procuratore Valerio avrebbe passato al padre le chiavi di casa di Julia consentendogli di entrare nell’appartamento solo un calcio e senza troppe difficoltà. E sempre l’avvocato Trappolini spiega come quelle parole siano state formulate “in un contesto in cui (padre e figlio, ndr) cercano di accordarsi sulle circostanze e sminuire le dichiarazioni di Julia e procurarsi delle spiegazioni plausibili che poi plausibili non sono”.
“Niente rimorso nemmeno un benché minimo rigurgito di coscienza nei due imputati,una crudeltà spietata”, secondo il legale dopo aver commesso “un’azione efferata rivelatrice di un’indole malvagia priva di ogni senso di umana pietà. Hanno appagato la propria sete di vendetta, la propria volontà di arrecare dolore alla vittima, anche quando Alessandro era già morto”.
I discorsi sulla pistola. E’ l’avvocato Donati a sottolineare diversi aspetti sull’arma del delitto: “Riccardo quindi afferma che Julia avrebbe ripulito l’arma e che quindi è per questo che le impronte di Polizzi non ci sono. Ma lui in quel momento non lo può sapere che non ci sono perchè le analisi dattiloscopiche arriveranno dopo queste intecettazioni. La relazione viene trasmessa alla Procura solo il 3 luglio 2013 e gli imputati ne verranno a conoscenza con la notifica del 415 bis. Ciò dimostra – secondo l’avvocato di parte civile – che la pistola l’aveva lui. Per Riccardo il discorso della pistola è importantissimo perchè se si dimostra che non era la sua il discorso cambia e lo dice lui stesso”. E la Donati cita questa intercettazione:
Riccardo: secondo lui.. secondo lui se non vie… se non viene dimostrato che la… che la pistola stava li, cioè che è la mia, dovrei parti’ da quattordici anni…
Valerio: che la pistola?
Riccardo: ….primo grado..
Valerio: che la pistola non era la tua?
Riccardo: che era la mia… no, che era la mia, perché ci sta un terzo.. un terzo per rito abbreviato, poi ce sta un altro terzo per una altra cosa, insomma se parte da questo, e poi ce so’ le attenuanti. Se invece se riesce a dimostra’ che la pistola non era la mia, allora è una altra storia…. è proprio una altra storia, preterintenzionale però ce so’ le attenuanti… che non è stato fatto per futili motivi, poi secondo lui la premeditazione non… non parte proprio, decade subito, perché la premeditazione significa che tu hai fatto tutta una organizzazione, già quella… già quella non c’è. Comunque purtroppo quando vengono gli avvocati uno se mette in ansia, però non te la prende male perché…
Valerio: e poi che ti ha detto?
Riccardo: che poi me diceva pure una altra cosa, che qualora se… se dimostri che quello che io ho detto è riscontrabile, perchè mo’ ci sta tutto il discorso che deve essere riscontrabile, deve essere possibile che è successa una cosa del genere e così via…, allora conviene fa’ il rito ordinario perché facendo l’ordinario vai a guarda proprio al pelo nell’uovo, capito… e quindi li la storia… comunque mo’ la cosa importante, importantissima, no importante, importantissima è che tu, da adesso in poi, questo già pure da prima, devi intanto stare il più possibile tranquillo perché… questa cosa, quindi devi anda’ là proprio nel pieno delle tue facoltà mentali, al massimo della forma.
Tanto è che secondo l’avvocato Donati la scelta di un giudizio alternativo abbreviato dipende anche da questo, “evidente – spiega – che dopo le analisi della pistola decidono di andare a dibattimento perché superficialmente verificano che su quell’arma c’è DNA di Polizzi. Ma attenzione questo è per loro un falso risultato favorevole. Perché ciò che conta è quello che non c’è. Impronte, DNA sul caricatore e sui proiettili”.
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