Sara Minciaroni e Davide Baccarini
Quello che emerge dalle parole dei giudici del Tribunale del Riesame è un Federico Bigotti la cui vita è costellata di “continui fallimenti”, dalla scuola, da cui è stato espulso perché “strafottente e maleducato nei confronti di insegnanti, compagni e dei più deboli”, al suo sogno di sfondare nello spettacolo.
Il suo “stile di vita parassitario”, scrivono i giudici Narducci, Verola e Semeraro, avrebbe spinto troppo spesso, e con fatica, la povera Anna Maria a preoccuparsi per il figlio. Le esortazioni della 55enne casalinga tifernate, però, erano vissute dal giovane come “vere e proprie ossessioni”, a cui Federico reagiva sempre con litigi e insulti, confermati più volte anche dai parenti più stretti. I vari tentativi della mamma, per Federico, non erano altro che uno “stare addosso”, termine, quest’ultimo, praticamente onnipresente in quasi tutti i racconti del padre Antonio, del fratello Christian e della cognata Jessica. Quest’ultimo punto dimostrerebbe, secondo i giudici, come la vittima non fosse affatto il soggetto più debole tra i due genitori ma anzi fosse quello “in grado di affrontare e rispondere ai comportamenti del figlio” per quella vita da “debosciato” che conduceva. Ma Annamaria Cenciarini, scrivono i giudici “non cede agli insulti e agli atteggiamenti vessatori, e cerca anche di aiutarlo”: come quando lui, convinto di essere vittima di “malocchio”, si era recato da un mago per farsi consegnare dei legnetti da bruciare e lei si era mostra ben disposta a farlo con lui.
“Ribelle” ed “egoista, spesso viziato” dal padre e dalla famiglia, “indebitatasi di 15.000 euro per assecondarlo nei suoi sogni di spettacolo, facendolo partecipare a provini per personaggi televisivi, scuole di dizione, e presentazione”, oppure, come a Natale del 2015 quando “Federico riceve 250 euro dai genitori – scrivono i giudici – per comprare un televisore per la sua stanza: invece di comprare il televisore nuovo, Federico ha preso quello della cucina, ha lasciato i genitori senza televisore e si è anche tenuto i 250 euro avuti in regalo”, Federico, per i giudici, avrebbe infatti direttamente “eliminato la fonte della sua oppressione”, lasciando sfociare quell’angoscia provocata dalla madre in “volontà omicida”.
Il Riesame ha poi motivato la seconda ordinanza di custodia cautelare in carcere, emessa poche ore dopo l’annullamento della precedente a causa di un vizio procedurale, affermando che “il pericolo che l’indagato commetta gravi delitti è di grado elevatissimo”. Nemmeno un forte rapporto affettivo come quello tra madre e figlio, infatti, “ha costituito per lui un freno inibitore” e le numerose coltellate inferte ad Anna Maria hanno in effetti dimostrato come Federico sia “aduso alla violenza e con un forte proposito criminoso”. La custodia cautelare in carcere si è resa perciò necessaria per la condotta da lui dimostrata, “in grado di eliminare qualunque ostacolo si frapponga sulla sua strada”. Tanto che i familiari che devono ospitarlo dopo la morte di Annamaria non nascondo la preoccupazione nel rimanere in casa con lui, è la cognata a decidere proprio di far sparire tutti i coltelli da casa.
I giudici del Riesame sono infatti convinti che “l’omicidio è stato commesso da chi in quel momento era presente nell’appartamento oltre la vittima”. A motivare i giudici e a convincerli della responsabilità di Federico sarebbero stati, inoltre, diversi elementi, dalla porta chiusa della cucina (usata come ingresso per l’abitazione stessa) che ha escluso di fatto ogni entrata di terzi, alla zona estremamente isolata dell’abitazione di Varesina, che persino l’ambulanza, la mattina del delitto, ha ritrovato solo grazie all’intervento diretto del fratello Christian. Ai familiari più stretti era parso strano persino il fatto che il Federico, abituato a dormire sempre fino alle 12.30/13, avesse chiamato il padre, per informarlo che la madre si stava “accoltellando da sola” (al momento unica versione fornita dall’indagato) alle 9.45, orario di poco successivo al delitto e per lui “inusuale”. Uno dei motivi scatenanti dei numerosi litigi madre-figlio, infatti, era proprio il “poltrire” a letto di quest’ultimo.
Francesco Areni e Vincenzo Bochicchio, i legali del ragazzo, in questi giorni stanno predisponendo la richiesta di incidente probatorio, nell’attesa che si possa arrivare a stabilire la capacità o meno, di intendere e di volere del loro assistito. Il gip Carla Maria Giangamboni, intanto, ha già deciso di trasferire il 22enne in un’altra struttura più idonea ad accertare le sue condizioni di salute mentale, sottoponendolo di fatto ad un’approfondita perizia psichiatrica per quel ragazzo che intercettato la sera dell’omicidio nella caserma di Città di Castello, diceva (spiegando la sua versione della morte della madre): “Tre volte ha provato ad ammazzamme…però io ho spinto che c’avevo sta mano qua fuori… questa è come se non ce l’avevo.. c’ho una ferita, c’ho un cerotto… l’arma dapprima me l’ha girata, la seconda me l’ha puntata e la terza m’ha dato un graffio con la mano sinistra.. Praticamente ho visto la mamma che si è ammazzata davanti ai miei occhi e tra un po’ ammazzava anche me”. Versione alla quale gli inquirenti prima e poi per tre volte i giudici non hanno creduto.