di Don Gianfranco Formenton
Oggi (ieri per chi legge ndr.) a Genova don Andrea Gallo ha ricevuto il saluto del composito “popolo della strada” che tra un “Salve Regina” e un “Bella ciao” ha reso omaggio ad un grande prete.
Oggi a Palermo don Pino Puglisi è stato proclamato beato davanti a centomila persone che hanno pregato per il primo “martire di mafia” della storia.
E’ straordinario che la morte dell’uno e dell’altro abbia saputo raccontare di una Chiesa diversa dalla catena di scandali degli ultimi tempi. In tanti non speravamo più di sentire parole e suoni così popolari, così evangelici accompagnati dal sorriso di un Francesco papa nel quale abbiamo rivisto i tratti di Giovanni XXIII e risentito raccontare i sogni del Concilio Vaticano II. Ci eravamo oramai rassegnati ad un clima globale di tristezza e di resa incondizionata ai sistemi bancari, alle logiche del potere inossidabile dei furbi e degli scaltri, ai muri di incenso ecclesiali e alla riduzione dei grandi racconti conciliari a contenitori verbali di ovvietà e a celebrazioni circolari.
E noi, piccoli preti delle periferie del mondo mediatico, a guidare processioni e mandare alla prima comunione e alla cresima battaglioni di piccoli figli di questa società opulenta e decadente, a redigere certificati per improbabili padrini di battesimi e cresime, ad assistere agli spettacoli etruschi delle pompe funebri e agli allestimenti barocchi dei gestori degli eventi matrimoniali, a benedire case, macchine, cani e gatti e cavalli e medagliette miracolose…
Ecco. C’è un eroismo quotidiano nella Chiesa e nel mondo, ci raccontano don Andrea e don Pino, che consiste nel rifiutarsi di servire logiche mafiose consolidate. C’è un sistema mafioso nascosto dietro apparenti e consolidate parvenze religiose.
In questi giorni c’è una operazione di polizia a Napoli che consiste nella demolizione di edicole votive, di statue di padre Pio e di Madonne di tutti i tipi che hanno tutte delle caratteristiche interessanti. Tutte abusive, tutti ex voto per ringraziare di agguati sfuggiti, di sparatorie dalle quali sono usciti indenni boss camorristici e famigliari, tutte testimonianze di potere con il mantello della religione e, immagino, tutte benedette.
In una di queste edicole, in un eccesso di entusiasmo mistico, un qualche boss ha voluto accanto a padre Pio anche Biancaneve e i sette nani a rappresentare insieme al santo che, secondo lui gli aveva dato la fortuna, anche la sostanza di quella fortuna: Biancaneve (la coca) e i sette nani (gli spacciatori). Si è realizzato così questo singolare santuario della camorra non molto dissimile da tante oscene rappresentazioni mortuarie presenti nei cimiteri di tutta Italia dove le madonne si confondono con gli angioletti Thun e le fate di un noto cartoon.
Don Andrea e don Pino hanno tolto il mantello della religione ai santuari della mafia e del potere e hanno restituito all’Evangelo la forza della Parola. Quando sento nella vita di don Pino benedette le parole di Peppino Impastato “la mafia è una montagna di merda” sento che un prete ha ridato dignità alla lotta di tanti e verità alle parole vere. Quando sento don Andrea rievocare la Sierra Maestra, Stalingrado, la Sierra Lacandona e le montagne di “Bella ciao”, sento che la dignità (“a testa alta!”) della lotta è benedetta dall’alto e che essere “partigiano” è l’essenza dell’impegno del cristiano che deve “essere di parte” e che, cincischiare con le parole è peccato più grave di tutti i peccati normalmente assegnati all’orizzonte cristiano.
Questi preti sono la “ecclesia” cattolica (“che tutti accoglie”) testimoniata dal martirio di mafia o dell’età di entrambi e questi sono i preti che ci aiutano a continuare a credere che “ciò che è fatto su una zolla di terra è fatto su tutta la terra”, i preti che ci aiutano a continuare il nostro umile impegno in tutte le parrocchie del mondo sapendo che prima o poi “tanto si fa chiaro” nelle azioni che richiedono il coraggio di ogni giorno, la lucidità di riconoscere i meccanismi perversi dell’assuefazione, dell’omologazione, della resa di fronte alla fatica di lottare là dove Dio ci ha posto a fare “resistenza”.
Infine. Ho osservato il cardinale Bagnasco nella sua scomodissima posizione oggi a Genova. E’ stato un grande. Ha ascoltato tutti, ha detto le parole della fede, ha incassato i fischi, ha dato la comunione a tutti… Era il vescovo di don Andrea e ogni prete sa, e ogni vescovo sa, che al di là di tutto, non conta il proprio sedere, ma la sedia che ci è affidata e un prete, e un vescovo, è un grande se siede su quella sedia con questa consapevolezza.