Bisognerà aspettare un mese per conoscere la sentenza del processo relativo al crollo della chiesa di San Giacomo, avvenuto il 23 novembre del 2010. Questa mattina davanti al giudice Delia Anibaldi si sono svolte le ultime arringhe difensive, dopo quelle dell’udienza di febbraio. A sottolineare l’estraneità ai fatti del proprio assistito sono stati i difensori di Paolo Castellana, all’epoca coordinatore per la sicurezza, gli avvocati Fabrizio Picchi e Carmelo Parente.
“Castellana – ha osservato l’avvocato Picchi – non è né progettista strutturale né geologo, se non sono stati fatti i saggi sulle colonne non è colpa sua: le scelte tecniche non le fa il coordinatore per la sicurezza”. Il difensore ha in parte scaricato le colpe anche sulla parrocchia, appaltatrice dei lavori, per quanto riguarda i puntellamenti, che “dovevano essere inseriti nel computo metrico, erano un costo aggiuntivo. Castellana era una figura per la tutela dei lavoratori, ed è su quello che risponde sia penalmente che civilmente, come si fa a chiedergli un risarcimento danni per la struttura?”. Il colpo di scena è però arrivato dall’avvocato Parente, che ha chiesto la nullità dell’accertamento tecnico irripetibile, la tanto contestata perizia dell’ingegner Augenti, nominato dalla Procura pochi giorni dopo il crollo per valutarne le cause. Il codifensore di Castellana ha infatti spiegato come l’avviso di garanzia all’imputato sia arrivato 7 mesi dopo, per la mancata nomina di un difensore d’ufficio. Da qui la richiesta di inutizzabilità della consulenza tecnica nei suoi confronti. Non solo, altre anomalie emergerebbero anche dai verbali delle operazioni peritali, dove Augenti si definisce più volte come “Ctu” (consulente tecnico d’ufficio), figura però tecnicamente ben diversa, soprattutto ai fini delle garanzie per gli imputati. Tanto che Parente ha anche ipotizzato il reato di “falsa perizia” nei confronti dello stesso perito della Procura. Questioni tecniche, a cui si è associata anche la richiesta, da parte di entrambi i legali, di derubricare il reato di disastro colposo in uno contravvenzionale (in un primissimo momento il reato che era stato ipotizzato era più lieve). Picchi e Parente hanno presentato a loro sostegno anche varie massime e sentenze della Cassazione.
A ribadire però le accuse, e la richiesta di condanna per alcuni degli imputati, sono stati sia il pubblico ministero Gennaro Iannarone che l’avvocato di parte civile Giuseppe La Spina. Il sostituto procuratore ha contestato l’eccezione di nullità, ritenendola sanata, spiegando che “i punti saldi del processo sono costituiti da un addebito generale di forma generica, dalle modalità di esecuzione dei lavori e dalla totalità delle modalità dei lavori che ha creato una situazione pericolosa. C’è stata – ha evidenziato il pm Iannarone – una gestione negligente dei lavori, insieme ai mancati controlli, e questo dato toglie rilevanza alle testi difensive”. A contestare una eventuale derubricazione del reato, così come l’inesistenza di una poca chiarezza sulla nomina del direttore dei lavori, è stato l’avvocato La Spina.
Si tornerà in aula il 16 maggio per le repliche delle difese dei 6 imputati e la sentenza di primo grado.