Coronavirus: le storie e i racconti dei malati, lo sfogo dei parenti

Coronavirus: le storie e i racconti dei malati, lo sfogo dei parenti

Massimo Sbardella

Coronavirus: le storie e i racconti dei malati, lo sfogo dei parenti

La dottoressa, il poliziotto, la commessa, l'avvocato: persone dietro i numeri del Covid-19
Sab, 21/03/2020 - 09:19

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Con l’aumentare dei casi di Coronavirus a Perugia emergono anche le storie di chi ha contratto il Covid-19 e dei loro parenti.

Persone che, in diversi casi, si sono infettate continuando a svolgere il loro lavoro. Alcune figure (pur ovviamente in modo anonimo) sono emerse subito, perché comunicate dalle autorità, visto il ruolo svolto. Come per i medici ospedalieri, a cui positività al tampone ha costretto alla quarantena colleghi e infermieri.

O come il dipendente della Provincia, la cui positività al Covid-19 ha fatto scattare la sanificazione di un piano e mezzo degli uffici di via Palermo e la quarantena per diversi colleghi che erano venuti a contatto con lui.

E poi c’è il poliziotto, la farmacista, la commessa del supermercato. Casi che hanno messo in allarme la cittadinanza, perché sulle chat di gruppo le notizie, specie quelle non verificate, si diffondono rapidamente. Come un virus, appunto. Il virus della paura, in questo caso.

E’ ancora, tra le storie emerse c’è quella del ferroviere. Positivo come altri colleghi, tanto che i vertici regionali di Trenitalia hanno comunicato alla Regione di essere stati costretti a ridurre i convogli.

I tamponi tardivi

Alcuni dei racconti sul Coronavirus sono di denuncia. Non dell’operato degli operatori sanitari, che di fronte a un caso diagnosticato tardivamente e senza far scattare il protocollo anti Coronvinarus rischiano al pari dei loro assistiti. Nel mirino finiscono le procedure, che spingono ad effettuare il tampone spesso quando ormai la malattia è in stato avanzato e il contagio si è esteso ad altre persone.

E’ questo il caso di un noto politico perugino, che racconta la storia di una sua parente stretta, oggi risultata positiva al tampone del Coronavirus. A casa dall’8 marzo con febbre alta (sopra 39), senza altri sintomi.

Nonostante le nostre pressioni – racconta – il medico di base le aveva sempre escluso il Coronavirus, dicendo che non avendo altri sintomi non poteva essere. Un paio di giorni fa è stata contattata, solo perché due persone della palestra in cui andava erano state trovate positive e lei c’era stata il 4 marzo. E solo a quel punto le è stato fatto il tampone che oggi appunto è risultato positivo“.

Un racconto fatto pubblicamente per aiutare a “capire le tempistiche e le modalità di intervento”. Perché nel frattempo, i familiari venuti a contatto con la donna, hanno rischiato di essere stati contagiati dal virus.

La caccia all’untore

Ma anche la delusione umana, e spesso la rabbia, dei familiari dei malati. Senza poter parlare con i loro cari in ospedale, in attesa di notizie e dell’esito del tampone fatto su di loro, mentre sono a casa in quarantena. A leggere sui social, spesso, commenti su presunte imprudenze. E la richieste continua rivolta ai giornalisti, sotto molti articoli postati, di fare addirittura i nomi delle persone contagiate.

Gli avvocati

Tra le persone che spesso hanno continuato ad assistere i loro clienti, anche dopo la sospensione delle udienze, ci sono gli avvocati. E quando uno di loro risulta positivo, come in un caso recentemente emerso, anche i colleghi che ne condividono lo studio e le segretarie sono costretti alla quarantena. Oltre, ovviamente, ai clienti incontrati, secondo la catena ricostruita dall’indagine epidemiologica della Usl.

“Il coraggio di quegli infermieri mascherati…”

Proprio da un’avvocatessa arriva un messaggio di speranza per tutti. Arriva da quel letto di ospedale che presto lascerà, perché sta per vincere la battaglia contro il Coronavirus.

E in questo momento di gioia per lei e per i suoi affetti, pensa a chi l’ha curata in questi giorni. “Non riesco a non pensare al coraggio di quegli infermieri mascherati di cui intravedevo solo gli occhi, al mio cuore impazzito che mi scoppiava nelle tempie, a quanto mi mancavano i miei genitori, al suono di quei macchinari, ai lamenti di notte, a chi improvvisamente non ce la faceva più“.

“A me hanno detto che sto guarendo…”

E naturalmente, parole per chi ancora sta lottando contro il Covid-19: “Penso a voi ricoverati accanto a me, non potevo vedervi ma sentivo ogni colpo di tosse, ogni vostra parola, imprigionati come me tra quelle vetrate, stanchissimi, terrorizzati e completamente soli. Proprio voi ora dovete tirare fuori tutta la FORZA che avete e CE LA FARETE, uscirete presto da lì e tornerete finalmente a casa. Fuori dall’ambulanza vedrete il sole, farete una stupenda doccia calda, riavrete le persone che vi vogliono bene, un sacco di cose buone e tutto quello che ora desiderate. A me hanno detto che sto guarendo… vorrei per tutti voi la mia stessa fortuna!”.

L’hashtag, per lei, diventa allora #ioTORNOacasa. Un incitamento a quanti stanno combattendo la battaglia contro il virus, in ospedale. Ma anche a chi, quella battaglia, per se stesso e per gli altri, deve combatterla da casa, appunto, evitando le possibili occasioni di contagio. 

“Auguro di guarire a chi mi ha contagiato”

Poi il pensiero, preoccupato, rivolto alla persona che l’ha contagiata, “che non conosco – scrive – ma che sento in qualche modo vicinissima nella sorte… Le auguro con tutto il cuore di guarire al più presto“.

Quindi, l’ultimo messaggio rivolto a quanti sono fuori dall’ospedale: “Cercate tutti di essere molto prudenti anche quando, per fortuna, non potete rendervi conto“.

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