Nel 2014 il Comune di Assisi impugnò le delibere di azienda ospedaliera e Usl con cui si disponeva la chiusura del punto nascita, ma se proprio avesse voluto avere una chance, la giunta all’epoca guidata da Claudio Ricci (che arrivò a protestare travestito da fantasma) e difesa dall’avvocato Delfo Berretti avrebbe dovuto ricorrere contro l’accordo Stato – Regione (che sanciva il criterio numerico dei 500 parti annui) e le successive delibere regionali che a quella decisione di Usl Umbria 1 e azienda ospedaliera di Perugia aveva portato. La chiusura del punto nascita di Assisi è dunque corretta, come ribadito da Asl 1 e Azienda ospedaliera di Perugia (rappresentate rispettivamente dai legali Mario Rampini e Luca Benci, e da Lietta Calzoni).
Assisi – considerando che era stato preso in considerazione il solo “numero dei nati”, ma non “la riduzione dei tagli cesarei, parametro in cui il punto nascita di Assisi eccelleva” – aveva fatto ricorso contro le delibere, che stabilivano (come deciso a livello nazionale) la chiusura di ogni punto nascita, fatte salve alcune eccezioni, delle 500 nascite. Che per Assisi, il cui reparto era stato in realtà lentamente depotenziato dall’inizio degli 2000, con tante partorienti che avevano preferito dare vita ai figli a Perugia, Foligno e persino Spoleto, era un dato irraggiungibile, visto che nel 2013 si era arrivati a 207 parti.
Secondo i giudici amministrativi “l’accordo siglato dalla Conferenza Unificata Stato – Regioni – autonomie locali” rimane valido nelle sue linee guida, non solo “per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell’appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo”, ma anche nella “razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno (o 500/anno in alcuni casi eccezionali)”.
Insomma, la giunta Ricci (rappresentata dall’avvocato Berretti avrebbe dovuto impegnare l’accordo Stato – Regioni e le successive delibere di giunta, non l’operato di Asl e azienda ospedaliera; ora l’Ente dovrà pagare le spese legali.