Apertura con Somi e il suo nuovo New African Jazz. A seguire la solidità dell'amico di sempre a UJ, Herbie Hancock
In un programma complesso come quello di Umbria Jazz occorre nel corso del suo svolgersi anche qualche concerto “solido”, di stazza robusta che permetta di avere un pubblico fidelizzato e convinto. E quando a Perugia arriva in tour Herbie Hancock la solidità diventa una cosa serissima.
Basterebbe l’elenco sterminato delle sue collaborazioni, una su tutte quella con l’inarrivabile Miles Davis.
Ma se ci fermassimo a questo faremmo torto al mitico Herbie, che invece di suo si è inventato un metodo efficacissimo per passare da uno stile all’altro e da un genere all’atro.
Talmente efficace da essere punto di riferimento anche per artisti hip hop e dance, portandolo inoltre a collaborare con Sting, Annie Lennox, John Mayer, Christina Aguilera, Paul Simon, Carlos Santana, Joss Stone e Damien Rice.
Quando c’è stato nella lunga storia del jazz qualche passaggio cruciale o epocale, state sicuri che Hancock c’era e continua ad esserci.
La sua passione per i giocattoloni elettronici è pari solo alla sua capacità evocativa quando si mette al piano solo tradizionale. Di lui ricordiamo concerti inenarrabili testa a testa con il compianto Chick Corea come nel 2015. Roba fina da intenditori.
Ovviamente una carriera oggetto di premi e riconoscimenti di ogni genere: un Oscar, quattordici Grammy, innumerevoli MTV Awards. Hancock è stato anche nominato UNESCO Goodwill Ambassador e insignito del prestigioso Kennedy Center Honor. La Francia lo ha nominato Commandeur des Arts et des Lettres. È membro della American Academy of Arts and Sciences. E molto altro. Per l’appunto, un’icona.
E la serata perugina, nella celebrazione del 50esimo di UJ, non riserva soprese e con grande solidità Herbie suona come si deve con un gruppo da paura: Lionel Loueke alla chitarra, Terence Blanchard alla tromba, James Genus al basso e Jaylen Petinaud alla batteria.
Pezzi non trovati a caso, come tra gli altri Overture, Watermelon man e Footprints. E il pubblico accorso numeroso si ricrea e fa il “pieno”.
Somi e il New African Jazz
La serata del 9 luglio era stata aperta da una nuova proposta che porta alla ribalta nuove sonorità che da qualche tempo sono già di casa negli USA. Somi rappresenta nella voce quello che qualche anno fa fu il dirompente arrivo sulla scena jazz di Kamasi Washington.
Vocalista, compositrice ma anche autrice teatrale, getta un ponte tra le radici africane e la scena jazz e soul americana. Per lei si è parlato di “New African Jazz”. Ed il New York Times ha scritto: “African grooves, supple jazz singing and compassionate social consciousness; She is both serious and seductive.” Sintesi perfetta.
Cresciuta tra illinois e Zambia, figlia di genitori originari di Uganda e Rwanda, studi in antropologia ed un master alla Tisch School of the Arts presso la New York University, Somi è stata vista come una Miriam Makeba dei nostri giorni. Non a caso: Somi ha composto il musical “Dreaming Zenzile”, dedicato alla grande cantante e attivista dei diritti civili sudafricana, ed ancora a lei rende omaggio il
suo ultimo disco, il quinto in studio (2022), “Zenzile: The Reimagination of Miriam Makeba”, per celebrare quello che sarebbe stato il novantesimo compleanno.
Il disco ha vinto il Jazz Music Award per la migliore performance vocale. In precedenza, il suo album live “Holy Room”, con la Frankfurt Radio Big Band, ha conquistato una Grammy Nomination come Best Jazz Vocal Album e ha vinto il NAACP Image Award come Outstanding Jazz Vocal Album. Nel 2017 era uscito un album importante, intitolato “Petite Afrique”, il cui tema è l’esperienza dell’immigrazione negli Stati Uniti.
Artisticamente Somi è stata accostata anche a Dianne Reeves, Nina Simone e Dee Dee Bridgewater.
E il “solido” pubblico dell’Arena la riconosce e la accompagna nell’ esecuzione. una giusta introduzione al divino Hancock.
E questa sera si torna al solido Pop di Mika.
Foto e video: Tuttoggi.info (Leopoldo Vantaggioli)