L’emergenza Coronavirus potrebbe far perdere all’Umbria oltre un miliardo di euro. Questa la valutazione fatta dagli analisti Elisabetta Tondini e Mauro Casavecchia dell’Aur (Agenzia Umbria Ricerche) sull’impatto del Covid-19 sull’economia della regione.
“Parlare, oggi, delle ricadute economiche che ne conseguiranno – è la loro premessa – non significa voler mettere in secondo piano l’urgenza sanitaria, ma vuole contribuire a far riflettere sulle pesantissime implicazioni che ne deriveranno dal punto di vista dello stato di salute della nostra economia e, dunque, anche della sua capacità di provvedere al benessere collettivo“.
Le inevitabili conseguenze sulla produzione del reddito a causa delle forti contrazioni sia della domanda che dell’offerta sono ancora difficili da stimare, perché la durata e l’intensità delle ripercussioni ma anche le capacità di recupero del nostro sistema produttivo saranno determinate dall’evoluzione temporale e geografica dell’epidemia.
Il rallentamento generalizzato dell’attività economica, che in alcuni casi significa vero e proprio arresto, e il calo della domanda stanno incidendo pesantemente sulla complessiva capacità di produrre reddito, pur con effetti differenziati tra un settore e l’altro. Tenendo conto dell’esito di queste prime valutazioni e delle peculiarità produttive della nostra regione, abbiamo così cercato di stilare una graduatoria dei settori a seconda delle potenziali ricadute sulla generazione di valore aggiunto in Umbria.
Ma la crisi non avrà lo stesso impatto su tutti i settori.
Settori a impatto molto negativo
Effetti più immediati si riversano in molti settori del terziario, quali il commercio, il turismo, i trasporti e la logistica, conseguenti alla limitazione dei movimenti delle persone e del blocco imposto agli esercizi. L’annullamento degli eventi e delle attività sportive si sta ripercuotendo pesantemente altresì sul settore della cultura e dell’intrattenimento. Inoltre, l’aggravamento dello stato di emergenza sta colpendo più direttamente alcune branche manifatturiere, penalizzate dal calo generalizzato della domanda e dall’interruzione delle catene di fornitura globali e nazionali, in primis l’automotive, la meccanica, l’elettronica, il tessile-abbigliamento.
Settori a impatto negativo
L’agricoltura, la cui fragilità è accentuata dall’elevata deperibilità delle produzioni, soffrirà per il calo della domanda collegata al blocco della ristorazione e anche per la probabile difficoltà a reperire manodopera per la raccolta stagionale. L’industria alimentare, oltre alla drastica riduzione dei consumi del canale del food service e al rischio di interruzione delle catene di approvvigionamento, risente fortemente del crollo dell’export, in parte controbilanciato dall’aumento dei consumi delle famiglie.
L’industria metallurgica, che avrebbe potuto approfittare del calo della produzione dei concorrenti asiatici, in realtà risentirà del calo della domanda globale e delle strozzature dei canali di fornitura, al pari di altri settori manifatturieri.
Naturalmente la contrazione delle attività produttive impatterà anche sul fabbisogno energetico. Per le costruzioni e per le attività immobiliari si prospetta una ulteriore contrazione in un mercato già stagnante. Effetti negativi si prevedono anche per il comparto dei servizi professionali e tecnici strettamente legati alle attività produttive e per le attività di intermediazione creditizia che potrebbero soffrire per il deterioramento dei crediti delle imprese più esposte alla crisi.
Settori a impatto non rilevante
Il settore della pubblica amministrazione è per sua natura poco sensibile a shock esterni, in termini di capacità di generazione del reddito, non a caso viene considerato un naturale ammortizzatore in situazioni di crisi. Anche le utilities, ad eccezione della fornitura di energia, potranno non subire contraccolpi particolarmente significativi, come pure i servizi collegati alle attività amministrative, che possono più naturalmente ricorrere allo smart working.
Settori a impatto positivo
In questo generalizzato stato di crisi, si distinguono alcuni comparti suscettibili di effetti positivi, collegati all’esplosione di un particolare tipo di domanda, in primis quella medico-assistenziale. Il comparto sanitario e con esso tutto l’indotto, a partire dall’industria farmaceutica, per rispondere adeguatamente a sollecitazioni senza precedenti, sono chiamate ad accrescere l’organico e il ricorso a servizi in outsourcing.
Inoltre, con la limitazione degli spostamenti fisici, il generalizzato aumento dello smart working e la crescita del consumo di prodotti culturali fruibili virtualmente generano un aumento dell’utilizzo dei servizi on line con ricadute positive su tutto il settore della informazione e comunicazione.
L’impatto sull’Umbria e sull’Italia
I settori più esposti al rischio di recessione contribuiscono a generare in Umbria, come del resto in Italia, più del 70% dei redditi.
Gli analisti di Eur hanno ipotizzato, nel breve periodo (primo semestre 2020) due scenari di impatto su ciascun settore di rischio: per quello a impatto molto negativo si va da un -10% nello scenario più ottimistico a -30% per quello più grave. Nei settori a impatto negativo la forbice stimata è tra -2% e -8%.
Nei settori a impatto non rilevante si stima di perdere al massimo un -2%.
Infine nelle attività a impatto positivo la crescita potrà essere dal 2% al 10%.
Le perdite economiche stimate
Sulla base di queste stime, la contrazione dell’attività economica in Umbria nei primi sei mesi dell’anno a causa dell’emergenza Coronavirus potrebbe oscillare tra il -2,8%, nello scenario meno grave, e il -12,2%, nello scenario peggiore. In termini monetari, ciò corrisponderebbe a un decremento del valore aggiunto tra i 280 e i 1.230 milioni di euro.