La sensazione è che sia una vittoria di Pirro. Nel senso che, nell’immediato, la situazione sembra in qualche modo salvabile: l’ad Morselli ha sbloccato gli stipendi, è disponibile a trattare sui numeri degli esuberi e mette sul piatto un piccolo benefit sugli investimenti per l’azienda.
Ma il vero problema è che questo non è un piano industriale per lo sviluppo di una fabbrica come Ast, ma un tampone che serve solo a calmare la situazione di tensione che si è creata nella vertenza.
L’impressione è che la Morselli avesse una strategia ben precisa; sparare alto fin dall’inizio sul ridimensionamento del sito siderurgico ternano per creare disorientamento, per poi diluire le sue condizioni nel tempo. Lei stessa sapeva bene che tutte le condizioni non sarebbero state accettate tutte nell’immediato, ma intanto, così facendo, ha spaccato il fronte del Governo-sindacati-lavoratori, approfittando anche della delicata congiuntura della politica nazionale che vede il premier Renzi in rotta con i sindacati stessi.
La questione, la vera questione, è quella legata al futuro di volumi produttivi e livelli occupazionali della fabbrica. Il rischio, concreto, è quello che di anno in anno, pur di mantenere lo stabilimento aperto vengano fatti ‘piccoli sacrifici’, fino ad arrivare alle condizioni per le quali un polo come quello ternano, non può ‘mantenersi’; nello specifico chiusura della linea a freddo e spegnimento di un forno.
Gli operai forse avvertono la stessa sensazione; e forse è questa la ragione per la quale anche i sindacati cominciano ad essere contestati. Nella lunga storia delle lotte che hanno accompagnato la presenza delle acciaierie in città, mai come oggi si avverte l’imminenza di un effettivo drastico ridimensionamento dei livelli occupazionali. E qui si aprirebbe un altro problema fondamentale per la città. La questione della ‘riconversione’. Terni è una città a vocazione operaia, e, negli anni, non ha saputo creare un’alternativa valida nell’offerta in fatto di occupazione per le nuove generazioni.
Il tutto va ovviamente inquadrato nel periodo nero che stanno vivendo l’economia e il mercato del lavoro in Italia, con indici di disoccupazione giovanile tra i più alti in Europa, e con una crescita pressoché nulla.