Terremoto in Appennino, picchi di anidride carbonica durante le scosse - Tuttoggi.info

Terremoto in Appennino, picchi di anidride carbonica durante le scosse

Sara Cipriani

Terremoto in Appennino, picchi di anidride carbonica durante le scosse

I risultati di una studio INGV e UniPg mettono in evidenza un aumento di CO2 nelle zone e nei periodi interessati da eventi sismici
Gio, 27/08/2020 - 12:22

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C’è relazione tra le scosse di terremoto che con ricorrenza si ripetono sull’Appennino e l’emissione di anidride carbonica? A quanto attesta uno studio dell’INGV pubblicato ieri – 26 agosto -, sulla base di dati raccolti negli ultimi 10 anni, sembra proprio che un nesso ci sia.

CO2 e scosse

Nello studio “Correlation between tectonic CO2 Earth degassing and seismicity is revealed by a ten-year record in the Apennines, Italy” condotto da un team di ricercatori dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV) e dell’Università di Perugia (UNIPG) si parla di emissione di CO2 di origine profonda in correlazione alle sequenze sismiche dell’ultimo decennio

“Per la prima volta è stata condotta un’analisi dei dati geochimici e geofisici raccolti dal 2009 al 2018”, spiega Giovanni Chiodini, ricercatore dell’INGV e coordinatore dello studio. “Gli esiti di questa ricerca hanno evidenziato una corrispondenza tra le emissioni di CO2 profonda e la sismicità mostrando come, in periodi di elevata attività sismica, si registrino picchi nel flusso di CO2 profonda che man mano diminuiscono al diminuire dell’energia sismica e del numero di terremoti”.

Anidride carbonica e vulcani

Da quanto si apprende dal report pubblicato su Science Advances, il nostro pianeta rilascia CO2 di origine profonda prevalentemente dai vulcani; tuttavia tali emissioni avvengono anche in aree sismiche in cui non sono presenti vulcani attivi, soprattutto in aree geografiche “in movimento” come quella dell’Appennino.

“La stretta relazione tra il rilascio di CO2 e l’entità dei terremoti, unitamente ai risultati di precedenti indagini sismologiche, indica che i terremoti dell’Appennino registrati nel decennio analizzato sono associati alla risalita di CO2 profonda. È interessante rimarcare il fatto che le quantità di CO2 coinvolte sono dello stesso ordine di quelle emesse durante le eruzioni vulcaniche (circa 1,8 milioni di tonnellate)”, sostiene Chiodini.

I serbatoi sotterranei

“La sismicità nelle catene montuose”, aggiungono i ricercatori dell’INGV Francesca Di Luccio e Guido Ventura, co-autori dello studio, “potrebbe essere correlata alla depressurizzazione di questi serbatoi e al conseguente rilascio di fluidi che, a loro volta, attivano le faglie responsabili dei terremoti”.

L’ipotesi descritta nello studio è che la CO2, in continua produzione in profondità, si accumulerebbe in serbatoi della crosta terrestre e una volta superata una certa pressione cerchi una via di “risalita”.

CO2 e falde acquifere

Lo studio è stato condotto attraverso il campionamento di sorgenti ad alta portata (decine di migliaia di litri al secondo) situate nelle vicinanze degli epicentri dei terremoti verificatisi in Italia centrale tra il 2009 e il 2018.

I campionamenti raccolti da sorgenti di acqua ad alta portata (decine di migliaia di litri al secondo) situate nelle vicinanze degli epicentri dei terremoti verificatisi in Italia centrale tra il 2009 e il 2018 “hanno permesso di caratterizzare l’origine della CO2 disciolta nell’acqua delle falde acquifere e di quantificare l’entità della CO2 profonda”, spiega Carlo Cardellini, ricercatore del Dipartimento di Fisica e Geologia dell’Università di Perugia, anche lui nel team di ricercatori coinvolti nella scoperta.

La mappa delle emissioni

Le principali linee di flusso delle acque sotterranee sono segnalate con le frecce.”

Nell’immagine, pubblicata su Science Advances, sono evidenziate le falde acquifere e le sorgenti studiate nella sismicità post-2007.

Le indagini geochimiche hanno avuto lo scopo di rilevare e quantificare la possibile emissione sismica di CO2 profonda iniziata subito dopo il mainshock dell’aprile 2009; in particolare, le ricerche si sono focalizzate sulla CO2 disciolta in due grandi falde in prossimità degli epicentri: le falde acquifere del Gran Sasso e del Velino.

Lo studio del Velino

Da quanto riportato nello sudio dell’INGV con il supporto di UniPg, lungo la catena appenninica, i serbatoi di CO2 crostale come quello situato sotto alla falda acquifera di Velino, il principale affluente del fiume Nera che dà origine alla cascata delle Marmore, sono alimentati dall’ascesa di fluidi arricchiti di CO2, un processo che implica un meccanismo continuo di produzione e accumulo di CO2 nella crosta. (rif. foto)

Questo movimento incessante di CO2 dalla profondità provoca pressurizzazione nel serbatoio e conseguente trasferimento di gas agli strati più elevati della crosta e, in ultima analisi, saturazione e sovrasaturazione di CO2 della falda acquifera sovrastante.

La presenza di acque sature di CO2 nel bacino di Velino è testimoniata dalle sorgenti delle Terme di Cotilia, che scaricano centinaia di litri per secondo di acque e dalle emissioni dirette di una stato gassoso ricche entrambe di anidride carbonica.

Le conclusioni

I risultati dello studio forniscono, dunque, delle evidenze su come i fluidi derivati dalla fusione di placca nel mantello svolgano un ruolo importante nella genesi dei terremoti, aprendo nuovi orizzonti nella valutazione delle emissioni di CO2 a scala globale.

Questo lavoro conferma che un moderno studio dei terremoti necessita di un approccio multidisciplinare in cui integrare dati geochimici, geofisici e geodinamici.

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