Cinque su sei degli indagati nell’ambito della vicenda che riguarda presunti abusi e violenze ai danni di ospiti della struttura hanno risposto alle domande del Gip Carla Giangamboni nell’ambito dell’interrogatorio di garanzia che si è tenuto questa mattina dopo l’emissione delle misure cautelari che li vedono ristretti agli arresti domiciliari. Il giudice si è riservato la decisione e solo nei prossimi giorni sarà noto se è stata accolta la richiesta delle difese di misure meno inflittive o della revoca delle stesse.
Hanno parlato in cinque, tra gli operatori e il responsabile della Onlus di Torchiagina di Assisi, e solo uno, quello che nell’ordinanza è stato letto essere chiamato con il soprannome di “bulldog” ha scelto la via del silenzio. La sua è infatti una delle posizioni più serie visto la costante ricorrenza di episodi che nell’ordinanza gli vengono attribuiti e che raccontano anche l’uso della violenza, fisica e psicologica nei confronti dei ragazzi ospiti.
Chi ha parlato lo ha fatto per chiarire la propria posizione restituendo una interpretazione degli episodi attribuiti completamente diversa da quella dell’accusa. Spiegazioni alternative dunque che vorrebbero descrivere l’uso della forza ma limitato alle necessità del caso, come ad esempio quando un ragazzo viene bloccato, nel quadro accusatorio imponendogli di stare in ginocchio e con violenza, mentre secondo quanto riferito oggi, solo nell’ambito di un momento di rischio visto che si stava allontanando in direzione del fiume e che il fatto di mettersi in ginocchio sarebbe una sua caratteristica. Oppure nel omento in cui nelle accuse una delle testimoni racconta di un ragazzo messo a terra e bloccato con forza, il diretto interessato avrebbe spiegato che quel gesto si era reso necessario perchè l’abitudine dell’ospite, affetto da numerosi disturbi del comportamento, sarebbe quella di saltare addosso alle persone con il rischio di farle cadere. Insomma, atti di forza necessari e non violenze gratuite. Queste le versioni degli indagati fornite al Gip che come detto si pronuncerà nei prossimi giorni.
Al momento restano ancora fortemente impresse le situazioni ricostruite dal pm e che hanno portato il giudice ad emettere l’ordinanza. Nelle circa 40 pagine sono descritti metodi da lager con cui gli operatori trattavano gli ospiti. Non c’erano solo le botte, le umiliazioni e le vessazioni quotidiane, perchè “i pazienti maggiormente presi di mira erano quelli con problemi psichiatrici, particolarmente indifesi e vulnerabili. A costoro talvolta erano stati somministrati farmaci psicotropi con il solo scopo di farli dormire, evitando così anche la somministrazioni dei pasti”.
Sonniferi per risparmiare sul cibo, insomma e per far dormire piuttosto che mangiare, racconta una ex operatrice. Non solo, “in tutto il periodo in cui aveva lavorato lì (dal giugno 2015, ndr) mai aveva riscontrato la presenza di medici a colloquio o in visita ai pazienti”. Ma per contenere le spese c’erano anche altri metodi, da far venire la pelle d’oca i racconti che li descrivono, “per esempio – è scritto ancora nell’atto – agli ospiti era prescritto di lavarsi i denti alla fontana esterna, tranne che nei giorni di pioggia, per non sporcare i bagni”.
E sempre per spendere il meno possibile a discapito dei malati il responsabile – è riportato nell’ordinanza come ricostruzione di una delle testimoni – “aveva negato un’assistenza particolare ad una paziente che aveva gravi difficoltà nella deambulazione, nonostante gli operatori gli avevano più volte fatto presente le difficoltà della situazione in cui versava la donna”. La stessa donna che “qualche tempo dopo, era caduta dalle scale ed era stata in seguito trovata morta nella sua camera senza essere mai stata ricoverata in ospedale”.