E’ il Direttore artistico del Festival dei Due Mondi, Giorgio Ferrara a fare gli onori di casa al Teatro Nuovo Gian Carlo Menotti prima dell’atteso concerto di musica Sufi in programma nella seconda giornata festivaliera, 27 giugno, e che suggella il nuovissimo gemellaggio da poco perfezionato con il Beiteddine Art Festival, in Libano.
Presenti in sala, molti giornalisti di importanti testate libanesi e gli Incaricati di Affari del governo libanese presso la Santa Sede e il Ministero degli Esteri italiano. Madrina del Beiteddine Art Festival, è Nora Jumblatt presente accanto a Giorgio Ferrara per spiegare le ragioni della manifestazione artistica libanese, nata proprio durante la guerra civile del 1985 come atto di fede nei confronti della peculiarità culturale del Libano, della sua forza creativa e della sua libertà d’espressione artistica. Nato in tempi davvero difficili, il Festival è cresciuto e lo ha fatto contro ogni previsione. Importante il passaggio del discorso di Nora Jumblatt quando chiarisce, se ce ne fosse ancora bisogno, quali sono le profonde differenze tra l’Islam tollerante e civile di alcuni popoli mediorientali e quello del fanatismo religioso usato a scopo di conquista territoriale, di cui non mancano tracce terribili proprio in queste ultime ore.
In verità questa iniziativa spoletina, sembra abbia fatto storcere qualche naso politico che evidentemente non distingue nel fiuto le due cose. Ma già essere a conoscenza di quale sia la differenza tra un Sufi ed un miliziano dell’Is, consentirebbe di non cadere in errori gravi di valutazione. Eppure entrambi sostengono di essere fedeli dell’Islam. Senza scendere in discussioni teologiche o storico-sociali, basterebbe concentrarsi sulle note suonate dall’ Asil Emsemble e sulla voce rituale e melodiosa al tempo stesso, di Mustafa Said e Karima Skalli, per comprendere come la gioia e la dolcezza di un simile concerto non provenga da cuori corrotti, seppure inneggianti ad Allah. Ed è ad una distanza siderale dal Teatro Nuovo, chi mina con l’esplosivo i resti di antiche civiltà che sono state la culla di quella fede a cui si inneggia, condannando il canto, la musica e la danza come abomini di satana.
Un concerto di musica Sufi è sempre una esperienza a metà tra ritualità religiosa e puro piacere del corpo e dell’anima. Il Sufismo è del resto, semplificando molto nelle definizione, la parte mistica dell’Islam, e nel percorso spirituale usa ciò che le antiche tradizioni consideravano mezzi utili per l’elevazione dell’animo verso Dio. Non è raro, nelle liriche dei grandi poeti Sufi, come Jalal ad-Din Rumi, decantare le virtù del vino come strumento per “addormentare” la coscienza materiale, che così può lasciare libera la spirituale. E canto, musica e danza sono altri mezzi fondamentali di questo cammino verso Dio.
Il concerto di Spoleto inizia con le liriche di Mohammad Said Al Busairi (1292)- Burdat AlBusairi utilizzate in una antica canzone marocchina del XIV-XV sec. che come nella tradizione Sufi inizia con l’affermazione di fede “La illaha illa-llah”, ovvero “non c’è Dio all’infuori di Dio”.
E sono 3 i burdas, cicli di liriche e musica, che hanno dato corpo e spessore al concerto di Spoleto58. Molto intenso il ciclo Burdah, con le parole di Tamim Al Barghouthi e la musica composta da Mustafa Said, e la cui prima rappresentazione con l’Asil Ensemble si è tenuta a Beirut il 22 maggio 2014.