E alla fine, anche Spoleto si decide a riconoscere come tale, uno dei suoi figli più conosciuti ed illustri, che tanto ha fatto per il mondo della cultura e universitario e per schiere adoranti (è proprio il caso di dirlo) di studenti, oramai stimati professionisti in tutta Italia. Stiamo parlando del Prof. Architetto Gian Carlo Leoncilli Massi, scomparso il 4 gennaio del 2007, a cui verrà dedicato dall’Amministrazione comunale un “Belvedere”.
Leoncilli Massi, era nato a Spoleto il 10 gennaio del 1938, e si era laureato a Roma nel 1969 con Ludovico Quaroni. Dedicherà la sua vita alla scuola insegnando Composizione Architettonica allo IUAV di Venezia, dal 1975, in qualità di Professore Associato e all’Università di Firenze, dal 1987, in qualità di Professore Ordinario. Grande appassionato ed esperto di musica (epica la sua passione per Mozart), è stato anche autore di numerosi libri, tra i quali ricordiamo il celebre “La leggenda del comporre” (Alinea 2002) ormai introvabile e l’ultimo, pubblicato nel 2005, ed intitolato “Rocca albornoziana di Spoleto – studi e riflessioni sul restauro”, considerato un vero e proprio testamento spirituale dedicato al monumento principale della sua città.
Precedentemente Leoncilli Massi aveva messo mano ad un formidabile saggio, raccolta di articoli e riflessioni, dal titolo evocativo di “L’Etrusco torna a scrivere” (Alinea 1996). Lo scritto del professore nasceva da un epiteto “Etrusco” che gli attribuì il celebre Architetto e Designer Carlo Scarpa.
Si legge nella prefazione del saggio, “Solo una spietata e dolorosa coerenza può permettere a Gian Carlo Leoncilli Massi di presentarsi con questo titolo al pubblico universitario. Il definirsi Etrusco, secondo l’epiteto attribuitogli dal maestro veneziano Carlo Scarpa, non è soltanto una grande provocazione rivolta a coloro che hanno contribuito alla scoperta dei valori in un “oggi” malato.
E’ il richiamo ad una condizione lontana della coscienza che fonda le proprie radici nel passato e che ritesse quel filo rosso della Storia, mai dimenticata, alla quale appartiene.
E’ questo stesso sentimento del tempo a costruire un luogo dal quale poter solitariamente “tornare a scrivere”, potendo osservare con sguardo sereno il divenire dei fatti, lontano da una prospettiva falsamente consolatrice. E’ la fatica di chi ha lottato e lotta per restituire un senso all’operare.
La figura dell’Etrusco è ben lontana dall’essere un’immagine da poter affiancare a quella degli Adoni della carta patinata.
E’ la cruda sintesi della vita culturale di un individuo, Etrusco come nascita, e quindi patrimonio, ed Etrusco come fine della propria personale ricerca.”
Una illuminante descrizione del Professore (che abbiamo preso in prestito per il nostro titolo) e che bene si lega al riconoscimento, seppure tardivo, da parte della sua città, dei meriti e delle sue qualità già noti ovunque e che ne facevano un punto di riferimento accademico e culturale. Quella Spoleto e l’Umbria, amori e dispiaceri, da cui non è mai fuggito e che più volte lo avevano osteggiato su interventi fondamentali come, ad esempio, il rifacimento della Piazza del Duomo o come quando non fu sufficientemente sostenuto nel piano di recupero del complesso conventuale adiacente alla chiesa di San Pietro in Spoleto. Il progetto fu bocciato dalla Soprintendenza nel 1993 perché non conforme negli elaborati alla prassi del Piano di recupero ex L. 457/78, e perché “irrispettoso” del complesso pre-esistente. Quel complesso ottocentesco che Leoncilli Massi apostrofava per la sua inconsistenza culturale, “La scatola di scarpe”.
Chi scrive ne ricorda la feroce delusione per la totale incomprensione di entrambi i progetti, ma anche la inequivocabile superiorità intellettuale che lo portava a superare rapidamente il fatto, grazie anche alla vicinanza dei suoi studenti, appellati uno ad uno come “Figli dello Sceicco” o anche più amorevolmente “Figlio mio”.
Di Leoncilli Massi rimangono in città numerose tracce della sua visione del “comporre”, come la Farmacia Amici di Piazza Garibaldi o il negozio di abbigliamento Zucchero in C.so Mazzini, già storico luogo della cappelleria Borsalino Silvi.
Indimenticabili, per chi lo ha conosciuto personalmente, i suoi cappotti e le sue mantelle elegantissime e il suo incedere lento e trasognato per Corso Mazzini, mentre risaliva dalla sua casa-museo in Via S. Giovanni e Paolo verso la libreria di C. so Mazzini per il consueto acquisto di decine di libri, dispensando saluti a voce altissima in modo che le sue intenzioni fossero chiare a chiunque ed ovunque.
La città di Spoleto compie dunque un gesto riparatore verso un uomo che l’ha amata invece fino in fondo. Sarebbe auspicabile, ora non fermarsi ad un solo “belvedere” ma magari fare un passo in più verso la creazione della desiderata Fondazione a suo nome, per recuperare e far conoscere a chi non ne ha avuto la possibilità, tutto il suo enorme ed apprezzato lavoro.
Per la cronaca con una analoga delibera la Giunta ha anche approvato il cambio di denominazione di un tratto del Viale denominato oggi “Viale Giacomo Matteotti” in “Largo Giovanni Toscano”, nel ricordo dell’amato sindaco spoletino dei primi anni ’50, autore di un importante piano regolatore orientato alla salvaguardia del territorio e della sua integrità paesaggistica.
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