Ricostruzione beffa, "costretti a spendere 100mila euro oltre al contributo per edificio che ne varrà 60mila" - Tuttoggi.info

Ricostruzione beffa, “costretti a spendere 100mila euro oltre al contributo per edificio che ne varrà 60mila”

Sara Fratepietro

Ricostruzione beffa, “costretti a spendere 100mila euro oltre al contributo per edificio che ne varrà 60mila”

Lun, 13/12/2021 - 15:25

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Ricostruzione post sisma 2016 in Valnerina, tra scadenze ed il contributo che non basta. Il caso limite di Lorenzo e Ilaria e del loro Bosco Torto

Prime scadenze “definitive” per la ricostruzione del centro Italia dopo il terremoto del 2016. Entro il 15 dicembre 2021, infatti, va presentata la “manifestazione di volontà” a richiedere il contributo di ricostruzione, pena la sua decadenza. Mentre il termine per le domande che finora era fissato al 31 dicembre sarà prorogato con scadenze differenziate che riguarderanno in primo luogo i percettori del Contributo di autonoma sistemazione ed i beneficiari delle Soluzioni abitative di emergenza.

Ma tutti vogliono ricostruire? Tutti potranno realmente farlo? E la ricostruzione sarà economicamente sostenibile per tutti? Sembra proprio di no. A inizio novembre, infatti, mancavano all’appello il 37% degli edifici danneggiati dal sisma in Umbria.


Edifici danneggiati dal sisma, in Umbria 1 su 3 non vuole ricostruirli. La mappa


Anche se tra questi ci sono immobili collabenti già prima del terremoto che non hanno diritto a contributi pubblici. Molti, insomma, non ricostruiranno.

Ricostruzione tra contributo pubblico e spese aggiuntive

Ma c’è un’altra questione molto significativa di cui si parla poco: ricostruire – oltre ai problemi burocratici – costa, nonostante il contributo previsto. Le lungaggini degli uffici hanno portato ad aprire cantieri (o a prevederne) ora che il costo dei materiali è salito alle stelle. E dunque quanto viene riconosciuto dagli Uffici speciali per la ricostruzione non è poi la cifra reale che servirà ai privati per ricostruire. Anzi, se si parla di attività produttive, il contributo è stato addirittura ridotto di recente.

In tanti si chiedono se ha senso investire soldi (chi li ha, ovviamente, perché non è una cosa scontata) per continuare a vivere o lavorare in aree interne, disagiate, come la Valnerina ed in particolare i centri più periferici. In diversi se ne sono già andati. Per chi rimane, in alcuni casi è una lotta contro i mulini a vento.

L’assurda storia di Lorenzo e Ilaria

In un contesto già complicato, balzano agli occhi dei casi limite che purtroppo sono tutt’altro che isolati. Vale allora la pena raccontare la storia di Lorenzo Battistini e Ilaria Amici, giovane coppia che proprio poco prima del terremoto aveva scelto San Pellegrino di Norcia per porre le basi del proprio futuro. Cioè trasferirsi a vivere qui ed aprirvi un’azienda agricola. La storia di “Bosco torto”, iniziativa economica nata pochissimi mesi prima del terremoto, è stata raccontata più volte, anche dalla stampa nazionale, come simbolo della ripartenza. Con tanto sacrificio, la giovane coppia ha affrontato questi 5 anni tirandosi su le maniche, senza mai arrendersi. Almeno finora. Perché ora i dubbi su cosa fare, se ricostruire o no, purtroppo ci sono.

L’iter per il contributo pubblico per ricostruire l’attività produttiva, infatti, era stato avviato. Per la pratica veniva ipotizzato un contributo di 302mila euro; ma una recente ordinanza del commissario straordinario alla ricostruzione ha cambiato alcuni parametri per i quali ora i fondi spettanti sarebbero circa 187mila euro. Con la pubblicazione dell’ordinanza commissariale 121 del 2021, infatti, è stata effettuata la revisione dei costi parametrici che potevano essere adottati per gli edifici produttivi che avevano caratteristiche assimilabili a quelli residenziali. Un taglio veramente pesante in questo caso, di quasi 120mila euro. Con la differenza che dovrebbe essere messa dunque dai privati.

Costretti a tirar fuori o parte dei soldi per ricostruire o quelli per le macerie

Considerando anche le spese tecniche, salite al 18%, – ci racconta Lorenzo – con questa ipotesi avremo circa 100mila euro di accollo, il tutto solo per ricostruire al grezzo, cioè tetto, pareti e porte”. Insomma, mano al portafogli (e chi è che non ha 100mila euro a disposizione così su due piedi dopo aver affrontato un terremoto unito ad una pandemia?!?, ndr)

Se valesse la pena fare un investimento del genere, ovviamente non ci sarebbe da pensarci su. Ma l’assurdo della situazione è che “considerando il tariffario regionale, dei capannoni come quelli, una volta ricostruiti valgono circa 60mila euro. Vale la pena ricostruire – si chiede Lorenzo – se quello che io spendo è superiore a quello che varrà l’immobile successivamente?”. Abbandonare tutto e costruire ex novo? Di fatto avrebbe un costo esorbitante anche quello. “Se decidessi di non ricostruire perché non posso permettermelo, prosegue il giovane imprenditore prima o poi dovrò trovare i soldi per togliere le macerie“. La stima è di 50mila euro.

© Riproduzione riservata

(foto di repertorio)

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