“Porcile”, in scena al Festival i vizi borghesi che ancora uccidono - Tuttoggi.info

“Porcile”, in scena al Festival i vizi borghesi che ancora uccidono

Carlo Ceraso

“Porcile”, in scena al Festival i vizi borghesi che ancora uccidono

Cast straordinario interpreta l’inquietante opera di Pasolini / Spettacolo da non perdere al San Simone
Lun, 29/06/2015 - 17:33

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Cinque minuti di applausi hanno salutato la Prima di “Porcile” di Pier Paolo Pasolini, andata in scena domenica sera al San Simone per la regia di Valerio Binasco (una coproduzione del Teatro Stabile Metastasio della Toscana e del Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia realizzata per i 40 anni dalla morte dello scrittore). Un dramma dai risvolti inquietanti, inumani, una denuncia sui vizi della borghesia che ancora oggi sanno uccidere, fagocitandoli, i loro stessi protagonisti.  Nel silenzio tipico di chi ha il potere e i mezzi di nascondere anche le più squallide nefandezze. I più ricorderanno la versione cinematografica, uscita nel 1969, tre anni dopo la scrittura del testo. Bene, dimenticatela, perché Binasco porta in scena uno spettacolo più fedele al testo riuscendo a coinvolgere il pubblico, a farlo diventare ora protagonista, ora vittima, anche chi  si poteva essere prefissato di entrare a teatro con l’intento di ‘distruggere’ l’opera. Perché Porcile o lo si ama o lo si odia.

Bella nella sua semplicità la scenografia (Lorenzo Banci), i costumi di Sandra Cardini (allieva di Piero Tosi, ha lavorato per Gomorra), intensa la musica di Arturo Annechino, preziose le luci di Roberto Innocenzi ad amplificare il pathos che regna lungo tutta la trama del romanzo tragico.

Forse non è un caso che Pasolini lo abbia scritto proprio nel 1966, quando fu costretto a rimanere a letto per più di un mese (come lo sarà Julian, il protagonista del dramma) durante il quale ebbe modo di rileggere e approfondire i Dialoghi di Platone e, forse, di ripensare al viaggio fatto 24 anni prima nella Germania nazista. Il testo narra il dramma di Julian, figlio 25enne  “né ubbidiente né disubbidiente” del ricco Klotz, è la sua stessa vita, lontana dai richiami e dagli spunti che offre la società, capace di ‘sentire’ solo all’interno della porcilaia dove il ragazzo scopre e coltiva l’amore ‘diverso’, quello innaturale (meglio, bestiale). Tenendolo nascosto a tutti. Anche all’innamoratissima e giovanissima Ida, che sogna un mondo migliore per il quale è pronta a rischiare il suo futuro, a manifestare in prima linea, provando in ogni modo a coinvolgere il glaciale e apparentemente apatico Julian. L’arrivo sulla scena di Herdhitze, concorrente industriale di Klotz, non è per Pasolini che l’occasione per denunciare le nefandezze della borghesia: Herdhitze conosce, a dispetto persino dei genitori, il segreto di Julian e con questo convince il padre del ragazzo a mettersi in società con lui. A Klotz non basta sapere che Herdhitze altri non è che il suo vecchio compagno di scuola Hirt, assassino nazista, arricchitosi con i denti d’oro presi dai corpi degli ebrei mandati ai forni crematori. Coprire il segreto del figlio diventa prioritario su tutto, anche nel fare affari con un criminale.  Almeno fino al giorno in cui i maiali sbraneranno Julian mangiandone anche l’ultima ciocca di capelli.

Porcile non fa prigionieri. Condanna tutti, dal primo all’ultimo – scrive Binasco – non c’è redenzione, non c’è possibilità di salvezza in questo mondo soggiogato in modo, oramai, antropolog ico. Non c’è speranza in questo porcile dove tutti mangiano tutto, dove il solo deve essere il tutto”.

Davvero bravo. Straordinario il cast con Mauro Malinverno (padre), Alvia reale (madre), Francesco Borchi (Julian), Elisa Cecilia Langone (Ida), Franco raver (Hans Guenther), Fabio Mascagni (Maracchione), Pietro d’Elia (servitore). Una nota a parte merita l’interpretazione di Fulvio Cauteruccio, il malvagio Herdhitze, capace di scuotere il pubblico al punto che verrebbe quasi l’intenzione di scendere sul palco e fermare il personaggio. Ma forse non ne vale la pena, in fondo anche il nazista verrà prima o poi fagocitato da se stesso.

Carlo Ceraso

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