Bando al fioretto, si passa alla scimitarra. Il Prefetto Antonio Reppucci rompe gli schemi e parla come chi si arrotola le maniche della camicia per tuffarsi nel lavoro e non per il caldo: “Noi siamo in guerra con chi spaccia”. Il prefetto ha riferito di aver già stabilito, insieme al nuovo sindaco di Perugia, incontri in tutte le scuole cittadine per parlare di sicurezza e che la guardia contro lo spaccio è sempre più alta. “Rovescia” il tavolo, tralascia l’etichetta e si esprime in modo durissimo e a tratti in forma inusuale per il ruolo ricoperto. Ha convocato i giornalisti questa mattina al super vertice in prefettura con il chiaro scopo di difendere la sua città, presenti il procuratore generale Giovanni Galati e i vertici di polizia, carabinieri e guardia di finanza. “Non l’abbiamo fatto prima – spiega il Prefetto – perché in clima campagna elettorale si correva il rischio di strumentalizzazioni”. Ma lo scopo è fare chiarezza dopo la tanto criticata trasmissione AnnoUno trasmessa da La7 e dedicata al problema della droga a Perugia.
“Perugia non è la capitale della droga. La droga è un male di vivere – spiega- della società contemporanea, trasversale, che colpisce tutte le classi sociali. Ma le famiglie dove sono?”. E il prefetto tira in ballo il ruolo delle famiglie, soprattutto quelle di quasi 500 assuntori che vengono segnalati ogni anno e di cui solo un 20% sono cittadini stranieri e la cui prevalenza ha un’età compresa tra i 18 e i 27 anni: “Mio padre mi avrebbe tagliato la testa – sentenzia il Prefetto – e invece sento genitori dire ‘ma che vuole che sia uno spinello?‘. E’ tempo che le famiglie guardino negli occhi i loro figli. Una madre che ha un figlio drogato è una madre che ha fallito. Una mamma, un genitore che non si accorge che il proprio figlio fa uso di droga è una fallita, si deve solo suicidare”. E ancora “Le forze di polizia non possono fare da badante o da tutore laddove la famiglia ha fallito”. Concetti duri che mirano alla pancia della società, per togliere quel marchio che tanto pesa sulla città. “La famiglia deve riprendere il suo ruolo nella logica di uno Stato /Comunità e non di Stato/Apparato”. E’ tempo che dalle parole si passi ai fatti sottolinea il prefetto usando un’efficace metafora “Diarrea di parole e stitichezza di fatti”. Sottolinea anche che le forze dell’ordine fanno il loro lavoro al massimo e i risultati iniziano a vedersi con il drastico calo delle morti per overdose. Perché “non esistono città a consumo droga zero il problema della droga esiste a Perugia come nel resto d’Italia, da nord a sud, ma non con le dimensioni apocalittiche che vengono rappresentate”.
“Sono orgoglioso di sentirmi perugino – spiega il procuratore generale – e dico basta a questa denigrazione. Una trasmissione che definiscono impegnata, ma il cui impegno ho visto solo nell’offendere Perugia. Mi chiedo se l’illuminata giornalista sappia cosa sia il narcotraffico o lo confonda con lo spaccio al minuto”. Toni diversi certo quelli del procuratore ma con la stessa forte intensità tanto da spingerlo alla similitudine pascoliana; “Avete presente – dice rivolgendosi alla stampa – ‘il frullo dei bofonchi parea parole’ questo l’effetto del deputato che in trasmissione ha parlato dell’omicidio Meredith (Giovanardi ndr). In quel processo, di cui tanto si parla, ci sono al massimo due spinelli”, per spiegare come invece l’impatto mediatico lo abbia trasformato, per chi non conosce i fatti, nell’emblema della droga a Perugia. E poi ancora sul programma “Il parco con siringhe messe in fila, un ubriaco che barcolla, lo sbandato che urina sul muro, le ragazzine eccitate per la ripresa. Un film dalla scenografia e dalla sceneggiatura squallida, creato ad arte con luoghi e oggetti come le siringhe in primo piano che si troverebbero facilmente in ogni città”.
E poi l’appello ai giornalisti “che hanno più potere dei politici” affinché venga restituita la giusta immagine di Perugia perché: “Il fenomeno della droga esiste ma le statistiche sono ingannevoli – ha affermato il prefetto – altrove molte morti sono classificate come naturali, qui voi con l’efficienza della vostra sanità risalite sempre alle cause e allora il dato delle overdose sembra maggiore che altrove. Introdurre metodologie uniformi di rilevazione soprattutto dei decessi per overdose eviterebbe molte distorsioni”. E rispetto al tipo di criminalità “a Perugia prende piede quella straniera perché a differenza di altre città non ve ne era una autoctona” prefetto e procuratore hanno anche negato che in Umbria ci siano infiltrazioni della criminalità organizzata e rimarcano il fatto che “Ci sono dei tentativi di infiltrazione – ha sottolineato il procuratore Galati – ma le operazioni dimostrano che vengono bloccate sul nascere, le stronchiamo prima. Vengono individuate e bloccate”. Anche Reppucci ammette di avvertire dei tentativi: “La crisi ha provocato anche questo, la criminalità che ha soldi da investire trova terreno facile nelle aziende in difficoltà, dobbiamo fare attenzione”.
E sul consumo indigeno il prefetto punta molto. Per far capire una volta per tutte che gran parte dei consumatori della droga in circolazione “sono i nostri figli, i nostri vicini di casa, i professionisti a cui quotidianamente ci rivolgiamo”. Conclusione: Il nemico non viene da fuori, ma è al servizio di un bisogno interno e da questo bisogna partire per risolvere il problema, per la legge della domanda offerta. Non una frittata rigirata, piuttosto un punto di vista sul problema che vorrebbe spingere ad una diversa presa di coscienza e la minor facilità di scrollarselo di dosso come se provenisse dall’esterno. Il problema è endogeno e chiedendo alle famiglie di guardare negli occhi i propri figli il prefetto ha fatto molto più che una provocazione. Certo è che se il ruolo ricoperto dalla figura istituzionale, di solito, prevede un linguaggio politicamente corretto, in questo caso quello usato a Perugia ha il sapore della vera e propria Crociata, o se volete, una “Sfida all’O.K. Corral”. Difficile che dichiarazioni del genere non suscitino reazioni.
Ha collaborato Carlo Vantaggioli