Dopo il "caso Terni", il Coordinamento donne Cgil mette nel mirino le ordinanze di Romizi nel capoluogo regionale dove sono in vigore dall'era Boccali
Dopo il “caso” dell’ordinanza anti prostituzione emessa in estate dal Comune di Terni, sul modello di altre presenti in vari comuni italiani, anche a Perugia ci si interroga sull’efficacia di tali strumenti per combattere la prostituzione. Tanto più che a Perugia tali ordinanze sono state introdotte dall’allora sindaco di centrosinistra Boccali e poi reiterate, con qualche aggiustamento, dalle varie amministrazioni Romizi.
E che proprio i drammatici sviluppi di un caso di cronaca avvenuto a Perugia portarono nel 2011 la Corte Costituzionale alla sentenza in base alla quale i regolamenti comunali anti prostituzione, consentiti dal 2008, devono avere “carattere di urgenza e limitato nel tempo”.
Il Coordinamento donne Cgil contro Romizi
Ora il Coordinamento donne Cgil Perugia se la prende con l’ultima ordinanza del sindaco Romizi, quella rimasta in vigore dall’8 luglio al 31 ottobre scorsi. “Anche questa – attaccano – si colloca a pieno titolo nel filone delle politiche securitarie e retrograde, perché tratta il fenomeno della prostituzione come un mero problema di ordine pubblico e interviene solo in alcune zone della città, scelte perché da quei luoghi vengono fatte ‘segnalazioni al comando della polizia municipale da parte dei residenti di crescenti episodi di inciviltà”.
“Riteniamo che il fenomeno della prostituzione, il mestiere più antico del mondo – così lo definiscono le donne Cgil – sia da affrontare per le ricadute che si possono manifestare sulla collettività, con molteplici azioni. Azioni di prevenzione e di accoglienza, di riduzione del danno per chi si trova spesso costretta ad esercitare la prostituzione, di repressione contro chi invece sfrutta le donne (spesso giovanissime) e impone loro condizioni di vero schiavismo e ancora penalizzazioni verso chi utilizza le sex workers”.
Quante multe?
Da qui la richiesta di verificare se le ordinanze sono servite e in che misura. “Vorremmo capire ad esempio – scrivono ancora dal coordinamento donne – se e quante multe sono state emesse, quale è il fruitore medio delle sex workers, se e come il fenomeno della prostituzione è cambiato nella nostra città, se e come i servizi di prevenzione, di accoglienza e di riduzione del danno siano messi nelle condizioni di lavorare al meglio. Capire per agire – concludono le donne della Cgil di Perugia – non solo sull’onda dell’emergenza e delle politiche securitarie, ma piuttosto per sanzionare chi agisce nell’illegalità, chi riduce in schiavitù, chi impone lo sfruttamento, e non certo invece per ridurre libertà e diritti”.
Le ordinanze sono servite?
Sull’onda dell’emotività del “caso Terni” si è detto e si continua a dire di tutto. Dalle accuse di “limitare” la libertà delle donne, al “degrado” urbano legato alla prostituzione a danno dei residenti di certe zone. Ma non si è affrontato il tema se e quando le prostitute che troviamo sulle strade siano lì liberamente o perché costrette da qualcuno. E soprattutto se, all’atto pratico, al di là delle norme penali già esistenti, queste ordinanze che i sindaci ripropongono con un copia e incolla su e giù per l’Italia, indipendentemente dal coloro politico delle loro Giunte, abbiamo qualche effetto per limitare da un lato lo sfruttamento, dall’altro per garantire l’ordine pubblico.