di Sara Minciaroni
Che ci fosse un “basista” a Perugia coinvolto nel duplice omicidio di Cenerente era chiaro agli inquirenti, ma fino a poche ore fa, quando lo si è letto nell’ordinanza del Gip Lidia Brutti, il suo profilo era stato mantenuto nel più stretto riserbo per garantirne l’incolumità. Adesso è chiaro il perché. si tratta di una prostituta albanese, che frequentava la “Piazza” del Pantano e che nei mesi precedenti la rapina sfociata in tragedia, aveva avuto rapporti di amicizia con l'orafo Scoscia, che le aveva probabilmente confidato l’esistenza del laboratorio a casa Scoscia. Facile pensare che a sua volta la donna lo aveva raccontato al fidanzato ora accusato di essere uno degli assassini di Cenerente. Adesso alla donna, ufficialmente indagata per l’associazione a delinquere finalizzata alla rapina (non c’è quindi per lei l’accusa di partecipazione agli omicidi) è stato intimato il divieto di espatrio ed è già stata sentita più volte dal Pm Claudio Cicchella. Dopo mesi di interrogatori la donna, trovatasi alle strette sembra essersi decisa a dire quanto sa della notte in cui Sergio Scoscia e la madre Maria Raffaelli sono stati barbaramente trucidati.
Le dichiarazioni della prostituta – Dagli interrogatori sarebbero emerse delle prime ammissioni, sarebbe stata lei a raccontare a Gioka, con cui era sentimentalmente legata (uno dei due albanesi adesso detenuti nel loro paese e per i quali si è in attesa dell’estradizione) dove si trovava la casa dell’orafo e che nel casale vi era una certa quantità d’oro. Avrebbe anche ospitato a casa sua il Laska nei giorni precedenti il crimine a anche lo stesso Gjergji arrivato da Roma per il “colpo” la notte immediatamente precedente. Ha anche raccontato che la notte della rapina lei sarebbe rimasta a casa per poi apprendere della repentina partenza dei tre subito dopo il crimine. Da li una fitta rete di comunicazione tra lei e il fidanzato arrivato in Albania, fatta di comunicazioni via Skype e sms, non inviati bensì fatti leggere attraverso il video nella speranza (vana) di eludere i controlli.
Stava per lasciare l’Italia – La donna era stata ufficialmente fermata dalle forze dell’ordine il 21 aprile scorso, esattamente quindici giorni dopo i delitti, all’aeroporto di Sant’Egidio. Anche lei, spaventata, stava evidentemente cercando di lasciare l’Italia e raggiungere il fidanzato. Privata del passaporto per impedirle di superare il confine, la donna iniziò a contattare il compagno per avere rassicurazioni. Lui tranquillizzandola e le ribadì di mantenere la linea del silenzio. Si sentivano braccati.
Le minacce – Dalle intercettazioni emerge chiaramente il pressing psicologico che il Gioka ha tenuto nei confronti della ragazza. Dapprima bonariamente faceva leva sul sentimento che li univa pregandola di mantenere la calma e non parlare con nessuno poi via via, compreso che le indagini si concentrano sulla ragazza, gli ammonimenti divengono minacce, “Tu non hai più vestiti bianchi, ce li hai neri”, facendole intendere che non è più “pulita” nemmeno lei e che parlare le sarebbe controproducente, “Loro sanno tutto, loro hanno prove”, dice la ragazza al fidanzato mentre più avanti sarà lui stesso a pronunciare una frase significativa “Hanno trovato le impronte digitali di Andrea?”, Andrea era il modo con cui i due si riferivano al Laska.
Gjergji non risponde al Gip – Come noto, dei tre arrestati, due si trovano detenuti in Alabania in attesa di estradizione , mentre il terzo, arrestato a Roma, ancora in possesso della Ford Focus che un testimone ha dichiarato di aver visto di fronte al casale della rapina, è detenuto a Capanne. Ieri all’interrogatorio di garanzia del Gip Lidia Brutti, l’uomo si è avvalso della facoltà di non rispondere.