NORCIA FESTEGGIA IL SUO PATRONO, MONS. CHIARETTI: "I BARBARI DI S. BENEDETTO SONO GLI IMMIGRATI DEI NOSTRI GIORNI" (FOTO) - Tuttoggi.info

NORCIA FESTEGGIA IL SUO PATRONO, MONS. CHIARETTI: “I BARBARI DI S. BENEDETTO SONO GLI IMMIGRATI DEI NOSTRI GIORNI” (FOTO)

Redazione

NORCIA FESTEGGIA IL SUO PATRONO, MONS. CHIARETTI: “I BARBARI DI S. BENEDETTO SONO GLI IMMIGRATI DEI NOSTRI GIORNI” (FOTO)

Ven, 11/07/2008 - 15:56

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Celebrazioni solenni a Norcia per la festa di San Benedetto quest'oggi. Il Patrono d'Europa è stato celebrato questa mattina con la messa solenne nella basilica a lui intitolata, presieduta dall'arcivescovo di Perugia – Città della Pieve, nonché vicepresidente della Cei (conferenza episcopale italiana) mons. Giuseppe Chiaretti.

Presente questa mattina a Norcia anche la governatrice dell'Umbria Maria Rita Lorenzetti, mentre ieri, ad accogliere l'arrivo della Fiaccola Benedettina, c'era il Prefetto di Perugia Enrico Laudanna. La Fiaccola per la prima volta è stata scortata, oltre che dai tedofori, dai tamburini e dai balestrieri della Compagnia Balestrieri di Norcia. Presenti per l'occasione, e accolti dal commissario straordinario del Comune di Norcia Giancarlo de Filippis, gli ambasciatori della Repubblica Slovena Andrej Capuder e della Repubblica Slovacca presso lo Stato Italiano Stanislav Vallo. Quest'oggi, invece, hanno onorato la città della loro presenza la presidente della Regione, l'arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve, l'archimandrita dell'abbazia di Santa Maria in Grottaferrata Emiliano Fabbricatore (che lo scorso lunedì ha acceso la Fiaccola Benedettina), oltre a numerosi sindaci e rappresentanti dei Comuni dell'Umbria, del Lazio e delle Marche e tante altre autorità civili, religiose e militari.

“La Regione Umbria non poteva non essere qui oggi a celebrare uno dei nostri più grandi Santi”, ha detto la presidente Lorenzetti. “Ci considerano una Regione contraddistinta da un grande senso di comunità e di appartenenza, soprattutto oggi in cui il rischio dell'incertezza ci attanaglia. Siamo da sempre un popolo capace di ascoltare il respiro profondo della nostra terra, di comprendere lo spessore e il peso dei nostri valori spirituali e religiosi. E per noi tutti, anche per noi istituzioni – ha aggiunto – è una grande responsabilità, sia da un punto di vista religioso che civile, difendere e far valere il grande patrimonio spirituale che grandi Santi come Benedetto e Francesco ci hanno lasciato in eredità”. Un concetto, questo, che è stato più volte ribadito sia da monsignor Chiaretti che dall'arcivescovo di Spoleto-Norcia, monsignor Riccardo Fontana. “San Benedetto – ha detto il presule perugino – è un grande monaco ed evangelizzatore, un gigante della civilizzazione italiana ed europea che operò tra i barbari del suo tempo: immigrati regolari ed irregolari del nostro presente. L'epopea benedettina – ha aggiunto nel corso della sua omelia in basilica – è una radice non ignorabile nel nostro tempo perché senza i valori del Santo di Norcia non si può andare molto lontano. E' tempo di rivalutare l'avventura di questo grande monaco – ha esortato – e di rimettere al centro della nostra vita il motto ‘ora et labora', una formula mirabile che ha impregnato la spiritualità dell'intera Chiesa e i laici ma anche una formula rivoluzionaria che ha ribaltato la visione del lavoro: non più per soli schiavi ma per nobilitare l'anima di tutti. ‘Ora et labora' – ha proseguito – non sono due alternative ma due aspetti inscindibili che si completano e si armonizzano”. “San Benedetto – ha sottolineato in più di un'occasione anche l'arcivescovo Fontana – è un colosso che ci ha aperto all'età moderna, un uomo dell'inclusione che ci esorta a non aver paura del mondo. Se la Chiesa guarda a questo grande Patriarca – ha spiegato – non deve aver timore di misurarsi con la modernità. Il cammino spirituale intrapreso da San Benedetto appartiene a tutti noi: questo ci indirizza verso percorsi di pace, di riconciliazione e di rispetto, senza alterigia e presunzione ma con serena coscienza”.

Nel corso della mattina, dopo il saluto di benvenuto di tutti gli intervenuti presso la sede municipale, come da tradizione si è assistito alla sfilata del corteo storico medievale che, traendo le sue origini dagli Antichi Statuti e dalle successive riformanze, ha visto partecipare, con i loro meravigliosi costumi d'epoca, le rappresentanze delle sei guaite (oggi rioni) della città (Porta Meggiana; Porta Massari; Porta Orientale; Porta Palatina; Porta Valledonna e Porta Narenula) e rinnovare la solenne cerimonia dell'offerta del Pallio da parte dei rappresentanti dei Castelli: un tripudio di colori, di costumi, di suoni, di bandiere, nel rigore di una precisa ricostruzione storica. Al corteo ha quindi fatto seguito la celebrazione eucaristica in basilica, presieduta da monsignor Giuseppe Chiaretti.

Ecco quindi il testo completo dell'omelia del presule perugino.

“È un onore poter celebrare con voi la memoria di san Benedetto, un grande monaco ed evangelizzatore, ma anche un gigante della civiltà italiana ed europea, dinanzi al quale, come diceva Bernardo di Chartres, “nos esse quasi nanos gigantium humeris insidentes”, e cioè “siamo come dei nani che stanno sulle spalle di giganti perché possiamo vedere di più e più lontano di loro, non per l'acutezza della nostra vista o per la statura del corpo, ma perché siamo portati in alto e sollevati dalla grandezza dei giganti”.

E gigante è Benedetto sul piano religioso con la intensa evangelizzazione cristiana sua e dei suoi monaci tra i cosiddetti “barbari” del tempo (paragonabili per molti aspetti agli immigrati regolari e irregolari dei nostri giorni), e cioè le grandi tribù nomadi che invasero i territori dell'Impero Romano. Quei territori erano ricchi di monumenti, veri segni di civiltà, ma non di virtù e di saggezza; c'era ormai troppo vizio e troppa corruzione, e per questo l'Impero crollò. Certamente non è questo il tempo e il luogo per parlare d'una civiltà salvata e potenziata dall'ispirazione benedettina e delle istituzioni monastiche che ne sono derivate, però bisogna pur dirlo per ricordarlo agli smemorati.

Prima ancora dei bisogni sociali e culturali, Benedetto intercettò i bisogni religiosi dei “cercatori di Dio” del suo tempo, lui che aveva cercato a lungo Dio nella solitudine dell'eremo di Subiaco. Aveva trovato Dio nel silenzio, nell'incontro mistico della preghiera, dell'ascolto prolungato della Parola di Dio. Non a caso la prima parola della sua Regula monasteriorum comincia con il biblico “Obsculta, o fili”, cosi come fa Dio stesso con l'uomo loquace che parla senza rendersi conto della vanità delle sue parole. Lo Spirito dice ancor oggi a tutti: “Uomo che pretendi di sapere, prima taci e ascolta! Troverai Dio e la sua volontà non – come pretendeva Elia profeta – nel turbinio rovinoso del vento, o del terremoto, o del fuoco, ma nella sottile voce del silenzio” (1Re 19,13). La bellissima espressione biblica è di perenne attualità: è soprattutto nel silenzio che Dio si fa conoscere e si rivela.

Accanto a questo “ascolto d'un silenzio pieno di Dio” c'è anche un altro ascolto, quello del silenzio pensoso del lavoro, che sta ad indicare la consapevolezza del proprio dovere nel guadagnare il pane quotidiano. Di qui l'altra profonda intuizione di Benedetto, ora et labora, rivolta ai monaci “soli con Dio” anche nel lavoro, ma in un contesto di preghiera permanente.

È stata una formula fortunata, perché ha impregnato di sé la spiritualità dell'intera Chiesa, ed oggi in particolar modo interessa la spiritualità dei laici, chiamati a consacrare a Dio il mondo quale culto spirituale a lui gradito (Rom 12,1). Ma anche formula rivoluzionaria perché ha ribaltato la visione del lavoro, non più attività degli schiavi, ma titolo nobiliare per tutti gli uomini, al punto da poter mettere sullo stesso piano preghiera e lavoro, intendendo per lavoro una molteplicità di attività anche spirituali. Scrive giustamente uno studioso: “Ora et labora non è solo un motto o un ideale di vita. È la vita stessa che deve incarnarsi in quelle due parole, tenute insieme da una congiunzione che esprime la stringente reciprocità dei due termini. Non si tratta di due alternative, ma di due aspetti inscindibili, ognuno dei quali finisce per dare il vero senso all'altro” (Pezzimenti).

Il silenzio orante dei monasteri si riempiva perciò della lode a Dio nella divina liturgia, – l'opus Dei per eccellenza -; della lectio divina della Sacra Scrittura; dello studio dei santi Padri. “All'opera di Dio – scriveva Benedetto nella Regola (cap. 43); nulla si deve anteporre”. L'opus Dei poi, si travasava necessariamente nella carità verso i poveri, i miserabili, gli ammalati, accolti nei monasteri e negli xenodochi “tamquam Christus”. Era tale ogni ospite, “un altro Cristo”, ad accogliere il quale scendeva il priore o l'abate, che doveva lavargli i piedi, come prescriveva la Regola al cap. 53. In quel suo vedere sempre Cristo negli altri, lo guidava un'ottica tipicamente evangelica: “Qualunque cosa avrete fatto a uno di questi fratelli più piccoli, l'avrete fatta a me” (Mt 25,40). Ma lo guidava anche quell'equilibrio umano che gli consentiva di introdurre nella vita della comunità monastica forme di responsabilizzazione sempre più impegnative. Ad esempio, sul capitolo del monastero, riunito per discutere gli affari più importanti, dovevano essere convocati tutti, anche i monaci più giovani, “quia saepe iuniori Dominum revelat quod melius est” (cap. 3). Sfido a trovare nella cultura democratica dei tempi moderni affermazioni così provocatorie.

Non parliamo poi né della cultura, né delle riforme e delle bonifiche agrarie, né dell'economia di comunione o economia carismatica dei monasteri. Sono argomenti che attengono alla dimensione culturale, sociale, economica, politica, proprie dell'umanesimo cristiano iniziato da Benedetto.

L'epopea benedettina è una radice non ignorabile della civiltà italiana ed europea. Valga a questo proposito il giudizio d'un accreditato storico umbro non sospetto: In un'epoca buia per l'Italia e per l'Europa, “in mezzo alla putrefazione del basso impero avviluppante l'Italia, Benedetto rappresenta la vita nuova: si può ben dire, anzi, l'unico principio di vita nuova” (Salvatorelli).

La matrice di tutto però rimane la fede coriacea d'un protagonista della storia che non ha mai anteposto alcuna considerazione umana a Cristo. Un evangelizzatore ed un educatore all'umana e cristiana saggezza, che ha sempre preso sul serio la parola di Gesù, ripetutaci dal Vangelo di oggi: “Senza di me non potete fare nulla!”. “L'evangelico unum necessarium – scrive il Lentini – non ha trovato un più deciso e gigantesco spirito che lo abbia penetrato a fondo, assumendolo interamente a sua norma e ispirazione. Benedetto vede che l'unica cosa necessaria è Dio; tutto il resto vale solo in quanto glorifica Dio e porta alla conquista di Lui”. Il monaco è colui che “veramente e sempre cerca Dio” e il monastero è “la scuola del servizio di Dio”. Valga perciò il ricordo d'un creatore di civiltà quale Benedetto da Norcia a dirci, – come papa Benedetto XVI spesso ripete -, che senza Dio e senza Cristo non si creano convivenze e culture in cui trovino spazio adeguato la ricerca sapienziale della verità, della giustizia, dell'amore reciproco, della pace. Senza questi valori non si va molto lontano perché mancano motivazioni convinte e forze interiori per vincere la insidiosa continua battaglia contro il male e il Maligno. Molto opportuno mi sembra allora il pellegrinaggio annuale d'una reliquia insigne del Santo attraverso la nostra terra italiana ed europea, a ricordare con il suo passaggio la grande epopea benedettina che ha segnato in modo indelebile la storia e la geografia d'Italia e d'Europa. Pregiudizi ideologici antichi e recenti impediscono a molti di riconoscere questa elementare verità e parlano come se dai tempi passati giungesse a noi solo buio e ignoranza. Per nostra fortuna non è così. È tempo perciò di rivalutare con gli aspetti religiosi anche questi aspetti culturali e sociali, che nobilitano ulteriormente la figura di Benedetto e la terra umbra che gli ha dato i natali”.

+ Mons. Giuseppe Chiaretti – Arcivescovo metropolita di Perugia – Città della Pieve


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