Morte clochard, Papa Francesco avrebbe fatto di più / Su FB foto degli amici / Chi penserà agli altri? - Tuttoggi.info

Morte clochard, Papa Francesco avrebbe fatto di più / Su FB foto degli amici / Chi penserà agli altri?

Redazione

Morte clochard, Papa Francesco avrebbe fatto di più / Su FB foto degli amici / Chi penserà agli altri?

Lettera degli amici di “Mauro” scatena la bufera su istituzioni civili e diocesane che rispondono puntualmente. Quando la legge arriva ad uccidere
Gio, 12/03/2015 - 18:48

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di Sara Cipriani e Carlo Ceraso

Probabilmente Papa Francesco avrebbe fatto di più, per come almeno ci ha abituati in questa prima parte del suo pontificato: perché la morte del clochard Mladjen Milanovic, ritrovato privo di vita in una gelida stanza dell’ex Caserma Minervio, nel cuore di Spoleto, ha scosso la coscienza dell’intera comunità e persino delle istituzioni, specie quelle civili, che hanno sfidato anche la dura lex (sed lex…ahinoi) per cercare una soluzione ai problemi del bosniaco. E’ evidente che quanto è stato fatto non è stato sufficiente, se Mladjen, Mauro per i più, è stato ritrovato privo di vita, ucciso probabilmente dal freddo (sarà comunque l’autopsia disposta dal pm Petrini ad accertare le cause). Di chi le responsabilità? Di tutti, nessuno escluso. Giustificate, per ognuno, dal non poter dare riparo a un clandestino, quale era diventato Mauro nonostante i 23 anni di permanenza nella città del festival, nonostante la sua presenza fosse tollerata persino dalle forze dell’ordine. Perché, a dispetto del brutto male da cui era affetto (l’alcoolismo), non dava fastidio a nessuno, anzi era stato capace di conquistare i cuori di alcuni residenti e commercianti del centro storico che lo hanno aiutato per quel che hanno potuto e sentito. Chi offrendogli un pasto caldo (quando non consumava quelli offerti dalla Mensa della Caritas), chi la colazione mattutina, chi ancora qualche lavoretto per potergli dignitosamente allungare qualche euro: ecco perchè non voleva allontanarsi dal centro storico. Che fosse benvoluto lo dimostrano le foto che abbiamo rintracciato sul profilo Facebook di alcuni esercenti.

Ma quel tetto che lo avrebbe salvato da morte certa non glielo ha offerto nessuno, meglio, non glielo poteva offrire nessuno – che fosse una istituzione o un privato cittadino – che non avesse voluto rischiare una denuncia penale, quella di favoreggiamento della clandestinità. Ecco perché siamo tutti responsabili, perché la mancanza di coraggio nello sfidare la “Legge” ha avuto la peggio sulla vita. Una tragedia kafkiana (sarebbe riduttivo definirla ‘situazione’). Annunciata con largo anticipo.

Fa ancora più male che neanche la Caritas, nonostante qualche sforzo, sia riuscita a salvarlo, a trovargli un riparo a Spoleto, dove oramai Mauro sapeva di poter in qualche vivere integrato alla comunità. Ovviamente non è in discussione l’istituzione diocesana, quanto quei suoi attori principali, i religiosi, che non dovrebbero avere paura di sfidare neanche il codice penale. Certo, più facile a dirsi che a farsi. Ma in ben più tragiche pagine della storia italiana, vescovi e parroci hanno saputo dimostrare cosa significa il termine ‘accoglienza’. Anche sfidando gli spaventosi mitra nazisti.

Vengono in mente le parole che suole spesso dire il senatore Giancarlo Comastri, una vita passata al servizio dei cittadini quale primario del laboratorio analisi di Spoleto: “Sogno un mondo senza Caritas”; frase che non evoca il mondo ideale, bensì la colpa sociale! L’utopia (il luogo che non c’è) è legata al momento: ma diventa menefreghismo, vigliaccheria allo stato puro se nessuno  prova mai a creare il  ‘luogo’, a cercare soluzioni. Anche a costo di pagarne amare conseguenze. Fa male pertanto sapere che la diocesi vanti posti letto abbandonati e appartamenti vuoti: quelli che monsignor Riccardo Fontana volle ristrutturare (anche ricorrendo ai fondi pubblici per il terremoto del ’97) proprio per venire incontro ai più deboli, ma che, sotto la guida dell’attuale arcivescovo Renato Boccardo, non vengono ancora utilizzati. E sì che a Spoleto non c’è, pardon, ormai c’era, da pensare solo a Milanovic.

Le accuse – a rompere il muro di silenzio intorno alla tragica scomparsa sono stati gli amici di Mauro con una mail inviata dal giornalista Francesco De Augustinis. Una nota durissima, scritta probabilmente affidandosi più al dolore nel cuore che alla ragione della terribile realtà (e della legge umana). “Scriviamo queste righe per raccontare la verità sulla morte annunciata di Mladjen Milanovic. Lo facciamo per rispetto di una persona morta di freddo; lo facciamo per rispetto della verità; lo facciamo perché non possiamo tollerare che si racconti che Milanovic abbia rifiutato dei presunti aiuti di Caritas e delle istituzioni, mentre altre persone rischiano di fare la stessa fine. Negli ultimi anni Milanovic aveva trovato riparo nei bagni pubblici del centro di Spoleto. Quando nel settembre 2014 il Comune di Spoleto e l’Ase hanno deciso di sigillare questi locali, diedero una sola notte di ospitalità al senza tetto in un albergo di Monteluco, l’unico del circondario disposto ad ospitarlo. Il giorno dopo, l’assistente sociale del Comune prese Milanovic e lo lasciò in mezzo ad una strada. In diversi residenti e commercianti del centro ci siamo mobilitati con estrema urgenza in quei giorni, perché sapevamo che sarebbe morto di freddo se avesse passato le notti sulle panchine, tanto più che negli stessi giorni (fine 2014) disgraziatamente era stata presa la decisione di chiudere e sigillare con cancelli e inferriate la Stazione Ferroviaria di Spoleto, unico ricovero dal freddo per gli altri 3 o 4 clochard abituali della città. Ingenuamente non credevamo possibile che una città come Spoleto non potesse offrire un tetto ad una persona che non lo aveva, e che viveva qui da oltre 20 anni. Pensavamo che questa gente vivesse per strada per una scelta, ma ci sbagliavamo. Subito dopo la chiusura dei bagni, uno di noi ha accompagnato personalmente Milanovic ai servizi sociali e soprattutto alla Caritas, e per questo possiamo testimoniare come sia una menzogna che lui abbia rifiutato qualsiasi tipo di aiuto. Funzionari e operatori dei servizi sociali di Spoleto hanno fatto una sola proposta a Milanovic, quella di un biglietto di sola andata per qualsiasi destinazione. Non potevano aiutarlo, dissero in nostra presenza, perché era “clandestino” . Peccato che Milanovic non aveva nessun posto dove andare, essendo sempre vissuto a Spoleto, ed avendo qui diversi lavori di piccola entità e chi lo aiutava con i pasti. In quei giorni (primi dicembre 2014), sempre presi dall’urgenza di intervenire per salvare una vita, trovammo una sistemazione temporanea in una rimessa nella piazzetta principale di Eggi. Si trattava del garage usato dalla chiesa di Eggi per fare il presepe, che fu messo a disposizione dalla buona volontà di un vigile e del Parroco del borgo. La sistemazione fu immediatamente accettata dal senzatetto, ma durò solo due giorni. Tanto ci volle perché si formassero capannelli di abitanti di Eggi indignati di fronte alla chiesa e perché addirittura iniziassero ad arrivare telefonate minatorie all’anziana madre del Parroco, che fu costretto dalla paura a ritirare la sua disponibilità, lasciando nuovamente Milanovic in mezzo ad una strada. Negli stessi giorni perse un lavoretto che faceva nella chiesa di San Pietro, a Spoleto, perché il nuovo parroco decise di allontanarlo. Sempre nello stesso periodo, Milanovic passò due notti ai Cappuccini, ben felice di accettare qualsiasi tipo di aiuto”. Poi l’affondo al direttore della Caritas, l’avvocato Giorgio Pallucco: “siamo stati presenti in ogni incontro di Milanovic con la Caritas e sappiamo che nessun tipo di proposta è mai stata trovata, e possiamo dimostrarlo. Si è sostenuto che Milanovic in quei giorni (ancora dicembre 2014) abbia trascorso dieci notti a Santa Maria degli Angeli. Falso. Noi stessi lo abbiano accompagnato nel ricovero in questione dove fu respinto immediatamente perché non aveva documenti. Anche in quel caso, però, Milanovic si mostrò del tutto disponibile a farsi aiutare, anche se lasciò Spoleto in lacrime. Pallucco sostiene sui giornali che Milanovic “da ultimo” rifiutò di andare ad abitare in una struttura Caritas a Foligno. Falso. Siamo testimoni che nessuna proposta del genere fu fatta a Milanovic. Pallucco sostiene di aver aiutato in molti modi Milanovic. Falso anche questo. La Caritas non si interessò neanche a cercare di far riacquisire documenti e quindi diritti al senzatetto, chiedendo a noi di rivolgerci ad un avvocato e fare da soli. Inoltre, quando Comune e Protezione Civile furono disponibili di fronte a questa emergenza umanitaria a consegnare una container per provvedere, almeno in via temporanea, alla sistemazione di Milanovic, la Caritas rifiutò di farne richiesta in via ufficiale. “Non possiamo prenderci la responsabilità di un clandestino”, ci disse lo stesso Pallucco. D’altronde la Caritas – scoprimmo – aveva già ed ha tutt’ora due container della Protezione Civile nei cortili di Santa Rita. Due container, di cui uno ancora oggi è vuoto ed inutilizzato. A nostro avviso – ma questa è solo opinione – la mancanza più grave della Caritas è quella di avere, oltre al container inutilizzato, ben due appartamenti sopra la mensa dei poveri, si dice ristrutturati con soldi pubblici, pensati proprio per ospitare i senzatetto. Entrambi gli appartamenti sono però chiusi da anni, Pallucco ci disse per volontà dell’Arcivescovo in persona. Allo stesso tempo è noto come almeno tre persone, tra cui una donna e un anziano, tutte in precarie condizioni di salute, abbiano passato l’inverno tra le rovine dell’Anfiteatro, nella “stanza” a fianco a quella dove Milanovic ha trovato la sua morte. Se scriviamo queste righe è perché crediamo che, dopo questa morte annunciata, invece di fingere di aver fatto tutto il possibile, Caritas e Comune dovrebbero urgentemente trovare il mondo di riaprire quegli appartamenti. “Sulla vicenda di Milanovic mi ci gioco la faccia”, disse ad uno di noi Giorgio Pallucco durante un incontro. Crediamo che quanto successo parli da solo, e che le bugie raccontate sui giornali non facciano che aggravare la situazione. Ora possiamo togliere i catenacci dai bagni pubblici del centro, nessuno andrà più ad occuparli. (Una raccolta fondi per provvedere alle spese funebri per la morta di Milanovic è stata istituita presso il Forno Santini, in via dell’Arco di Druso, e presso il Bar Collicola, in piazza Collicola)”. 

La replica del Comune – Immediata la replica del comune: “in relazione alla triste vicenda del clochard Mladjen Milanovic, che ha profondamente colpito l’intera comunità cittadina, il Comune di Spoleto specifica che il personale dei servizi sociali dell’Ente si è attivato, fin dal settembre scorso, per risolvere le problematiche legate alla dimora, potendo allora fornire esclusivamente sistemazioni momentanee presso alberghi della città. Successivamente, anche in accordo con i cittadini che si erano mobilitati per aiutarlo, il Comune di Spoleto ha messo a disposizione i propri assistenti sociali sia per individuare soluzioni più idonee, pur nella consapevolezza di non poter decidere nulla senza l’assenso del diretto interessato, sia per fornirgli un riferimento stabile a cui rivolgersi in caso di necessità. Nonostante la disponibilità comunicata e i contatti avuti a settembre, nessuno degli assistenti sociali ha più ricevuto comunicazioni. Per correttezza il Comune di Spoleto deve anche far menzione delle difficoltà incontrate, avendo più volte lo stesso Milanovic manifestato la propria volontà di non accettare soluzioni alternative“. Fin qui la nota, pacata, del municipio i cui uffici confermano a TuttOggi che a Mauro era stata offerta la possibilità di una alternativa sicuramente difficile (a cominciare dall’iniziare un percorso che lo portasse a rinunciare al vizio dell’alcool) ma che in breve tempo avrebbe potuto dare i suoi frutti. “Le accuse che ci vengono rivolte sono ingiuste – ci dice al telefono un impiegato –, abbiamo rischiato tutti in prima persona per i noti problemi del suo essere diventato, di certo immeritatamente, clandestino”. 

 “La faccia l’ho messa” – ugualmente pacata la risposta dell’avvocato Pallucco. “Andando con ordine e appellando d’ora in avanti il Sig. Milanovic con il nome di Mauro, perché così lo conoscevamo anche noi – scrive il direttore della Caritas – è vero che Mauro trascorse due notti al convento dei Cappuccini (fu la Caritas diocesana a contattare i frati e ad ottenere la disponibilità di una camera) come è vero che Mauro non fu accolto a Santa Maria degli Angeli, nonostante la disponibilità ottenuta dalla Caritas diocesana: trattandosi di ospitalità di tipo alberghiero, comprendente vitto ed alloggio, i responsabili della struttura sono tenuti per legge ad annotare i nomi degli ospiti su un apposito registro ed avere copia di documento di identità per ognuno di loro in caso di controlli da parte dell’Autorità di P.S. Mauro, purtroppo, non aveva nemmeno una copia di un documento di identità e non è stato possibile farlo restare”. Verrebbe da chiedersi, sapendo la Caritas la sua posizione, perché fu allora proposta una soluzione di tipo alberghiero. Ma proseguiamo la lettura: “Circa il rifiuto delle proposte abitative: quando una persona senza fissa dimora o sprovvista di alloggio ci chiede di essere aiutata ad avere un pasto ed un letto, noi sempre proponiamo le nostre comunità di accoglienza solidale: si tratta di case nelle quali si puo essere accolti senza limiti di permanenza; ognuno contribuisce alla gestione secondo le proprie capacità e possibilità. Noi avevamo due comunità nelle vicinanze, una ad Eggi (niente a che fare con il garage della chiesa di Eggi di cui si parla nella lettera) ed una a Foligno. Eggi non era disponibile; Mauro non accettò la soluzione di Foligno per vari motivi, uno in particolare: l’impossibilità di uscire liberamente dalla comunità, senza orari e motivazioni concordate, durante le ore diurne; aveva infatti la possibilità di svolgere alcuni lavori in giro per la città, opportunità questa a cui non intendeva rinunciare. Anche il precedente Direttore della Caritas diocesana, Don Vito Stramaccia, ricorda che in più di una occasione si era tentato di inserire Mauro nella comunità Caritas di Eggi: sempre aveva rifiutato per due motivi: il primo, quello anzidetto, il secondo legato alla impossibilità di consumare bevande alcoliche in quanto vietato dal regolamento della comunità”.

Pallucco chiama ora in causa chi aiutò Milanovic: “Quanto ai documenti di identità è sempre necessario recarsi alla rappresentanza diplomatica del proprio Paese per richiedere un’attestazione di identità consolare. Chi ha accompagnato Mauro in Caritas ha detto che periodicamente si recava a Roma. Perché non lo ha accompagnato anche a Roma? Tra l’altro, era stato anche suggerito di tentare la strada del permesso di soggiorno per motivi umanitari”. Quanto ai container della Prociv e del Comune, il direttore ricorda che “era stata la Caritas a suggerire tale tentativo, una volta saputo, a seguito di colloquio informativo con il Presidente della locale CISOM, che vi era la disponibilità di un modulo abitativo. Solo successivamente, informata dal Dirigente dei locali Servizi Sociali, la Caritas venne a sapere che era stata presentata una richiesta a tale proposito, a nome anche (e a sua insaputa) del Presidente della Caritas, ovvero l’Arcivescovo di Spoleto-Norcia. All’estensore della nota è stato solamente detto che non è questo il modo di coinvolgere le istituzioni“. Non convince invece molto che “per aprire un dormitorio è necessario trovare prima chi lo gestisce. I nostri volontari sono lodevolmente impegnati nell’attività della mensa, nella distribuzione degli indumenti e della spesa alimentare, nell’ascolto delle tante famiglie in difficoltà, sempre più spoletine. A loro non possiamo richiedere di farsi carico anche del servizio di guardiania notturna, che richiede grande disponibilità e particolari competenze“: sicuramente a questi ultimi non può essere chiesto di più, ma in questi anni si sarebbe potuta trovare una soluzione migliore. Magari anche affittare, a canone modico, i locali alle famiglie più bisognose.

Pallucco conferma infine di aver detto frasi come “Non possiamo prenderci la responsabilità di un clandestino” e “Sulla vicenda di Milanovic mi ci gioco la faccia” ma aggiunge che “le istituzioni cattoliche non sono esenti dal dover osservare le leggi vigenti, proprio perché la legge è uguale per tutti. Allo stesso tempo, il mandato evangelico di accoglienza verso i poveri e i bisognosi ci induce spesso a muoverci al limite della legalità: lo facciamo umilmente e nella consapevolezza che a volte il fallimento sopravanza la nostra buona volontà. Se non avessimo voluto prenderci la responsabilità di un clandestino, non avremmo chiamato i frati cappuccini di Spoleto, il centro di accoglienza Caritas di Santa Maria degli Angeli e proposto l’inserimento di Mauro nelle comunità Caritas. In ultimo, la faccia ce la mettiamo sempre, io poi, lo posso assicurare, sempre in prima persona e senza limiti di tempo e di orario. Desidero infatti ricordare le tante telefonate scambiate in tarda sera con uno di voi (spero queste non siano smentite), nel tentativo di trovare una soluzione per Mauro. Non ci siamo riusciti: io me ne assumo la mia parte di responsabilità, in base, però, ai fatti come sopra riportati”.

Che ne sarà degli altri 3? – Fin qui il botta e risposta che poco toglie alla vicenda di Milanovic e alla sua fine. Una vicenda che sarebbe potuta accadere in qualsiasi altra città italiana. Quello che invece preoccupa ora è capire cosa ne sarà degli altri 3 che vivono in condizioni disumane nell’ex caserma Minervio. Container e posti letto, a questo punto è ufficiale, ce ne sono. Papa Francesco saprebbe cosa fare.

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