Marocco, il viaggio della scoperta oggi nei luoghi del dolore

Marocco, il viaggio della scoperta oggi nei luoghi del dolore

Massimo Sbardella

Marocco, il viaggio della scoperta oggi nei luoghi del dolore

Dom, 10/09/2023 - 13:04

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Le immagini di devastazione che arrivano dalle zone colpite dal terremoto e quelle ancora vive nella memoria

Scorro sulla mappa del cellulare le immagini di un viaggio nel cuore del Marocco, dal deserto del Sahara al confine con l’Algeria sino all’oceano, attraversando la catena montuosa dell’Atlante. Un viaggio che solo un mese fa per me è stato di scoperta e stupore e che oggi è un percorso, nella memoria e nell’anima, di dolore tra le zone devastate da una scossa sismica di magnitudo 6.8. E dalle altre che si stanno succedendo, con migliaia di morti e feriti e persone disperse sotto le macerie.

Lungo la strada RN 17, toccando Alnif, dove le ultime palme attendono l’arrivo delle dune del Sahara. Aarab Sebbah Ziz, sede dell’Università del deserto. Rissani, attraversata giusto il tempo di vedere gli uomini riuniti al bar e le donne più in là, per lo più completamente coperte da abiti che lasciano intravedere solo i loro occhi, anch’essi neri. Le oasi di palme lungo la RN12 che segue il corso del Toudgha, sulle cui sorgenti le famiglie portano i bambini a cercare sollievo dal caldo estivo.

E ancora sulla RN 10 che solca la Valle delle Rose. E attraverso il possente Atlante dove le rocce cambiano colore, lungo la RN9 dove gli operai sono ancora al lavoro: Ouarzazate, con la sua preziosa Kasbah da poco restaurata. Tarmigt, la Hollywood del Marocco, dove tante pellicole immortali sono state girate utilizzando quel set naturale che è il villaggio di Ait Zineb, dove sono state raccontate le gesta del Gladiatore, di Lawrance d’Arabia, di Indiana Jones, del Principe di Persia. E poi Chichaoua.

E villaggi di cui solo il cellulare mi ricorda i nomi, tra venditori di frutta e verdura, gli innumerevoli meccanici di auto e motorini, le piante di Argania Spinosa da cui si ricava l’olio che ridona giovinezza, dei cui frutti sono golose le capre volanti. Sino a Essaouira, nella cui casbah, protetti dal vento dell’Atlantico, ogni giorno commercianti offrono i loro prodotti artigianali ai turisti e carne e pesce alle famiglie del posto.

In mezzo c’è Marrakech, luogo simbolo di questo devastante terremoto, che ha avuto il suo epicentro a meno di 70 km da quella che, nell’immaginario degli occidentali, è la città che rappresenta il Marocco, con il suo fascino e le sue contraddizioni. Un immenso bazar, che ha il suo fulcro a Jamaa el Fna, tutt’ora la piazza più frequentata dell’Africa. Le immagini colte da cellulare e macchina fotografica non corrispondono più a quelle inviate dai turisti che qui si trovavano al momento della scossa. Crollate parti delle possenti mura. Crollati alcuni minareti. Crollati tanti edifici che compongono i cunicoli della medina.

Ho sentito Yassim, la nostra guida, che ha casa a Marrakesh. Sta bene, come tutta la sua famiglia. Loro vivono nella parte nuova della città, dove gli edifici sono costruiti in cemento armato. Non così le mura e la medina, con gli edifici realizzati con paglia e fango, secondo il metodo tramandato da secoli nelle città imperiali e ancora oggi utilizzato nei villaggi rurali. Dove una casa, deteriorata dal tempo, si lascia andare in rovina, senza demolirla, per rispettare gli antenati che l’hanno costruita.

Quello che solitamente demoliscono decenni di sole, pioggia e vento, il terremoto ha impiegato 30 secondi. Terribili, interminabili, secondo i racconti che arrivano dai sopravvissuti.

E non puoi non pensare a come saresti stato, trovandoti in quei 30 secondi nella piazza aperta di Jamaa el Fna, tra gente che urla e mura che intorno tremano e crollano. O peggio ancora nel dedalo di cunicoli della medina.

Pensi alla casa di Youssef, nel cuore di Ait Zineb, proprio accanto all’arena del Gladiatore. Lui, in quel film, ha lavorato come comparsa, insieme ad altre persone del posto. E a ricordarlo, oltre al poster sulla parete dove mostra i tappeti tessuti dalla madre, c’è ancora l’elmetto da soldato romano sul davanzale della finestra. E ai bambini che giocavano felici nelle acque del Toudgha. Al musicista che suona per i turisti accanto al Palazzo Bahia di Marrakech. Agli ammaestratori di rettili e scimmie. Agli artigiani e ai venditori rinchiusi tra scaffali e merce appesa. E alle tante persone con cui hai incrociato lo sguardo, solo per un istante, nei villaggi lungo le strade che attraversano l’Atlantico.

Luoghi sempre più spesso attraversati da viaggiatori e turisti italiani, che nell’ultimo anno hanno superato quelli statunitensi. Luoghi che, chissà tra quanto tempo, potranno tornare a ciò che erano prima del 9 settembre 2023.

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