Mai come in questo ultimo periodo su Acea si accendono riflettori utili a comprendere la complessità degli interessi in gioco nel settore dei rifiuti, soprattutto nel caso di una delle quattro maggiori multiutility italiane.
In queste settimane il Comitato “No Inceneritori Terni” ha appreso da un trafiletto de L’Espresso infatti che ACEA non avrebbe né ricevuto, ma nemmeno chiesto, gli incentivi per la produzione di energia elettrica dalle così dette fonti rinnovabili di energia, che nel suo caso sarebbe il pulper di cartiera (composto al 70% di plastiche miste!), fatto che se confermato aprirebbe interrogativi giganteschi sulla reale volontà di ACEA in merito all’uso dell’inceneritore di Terni; il tutto, secondo il Comitato ternano, va letto ovviamente alla luce del decreto Sblocca Italia e della contestuale richiesta di bruciare rifiuti urbani presentata dall’azienda (con la consulenza dello Studio di Ingegneria Corradi, proprio quello candidato col Pd e nominato da poco ai vertici di ATC), decreto che si preparava nei fatti a partire dal censimento nazionale degli inceneritori voluta durante il governo Letta. Già da allora noi #nonstavamotranquilli.
Come è infatti sostenibile l’investimento di 25 milioni euro del recente rewamping senza i generosi incentivi pubblici chiamati certificati verdi per la produzione di energia? Non è certo il solo conferimento dei rifiuti industriali bruciati oggi nell’impianto a garantire un rientro certo dei denari, peraltro in parte pubblici, investiti. Ma tant’è.
Sempre dalla stampa, questa volta locale, la magistratura ternana sta svolgendo in questi giorni accertamenti sulla vicenda dell’appalto per il rewamping dell’inceneritore che si aggiudicò l’ormai noto Riccardo Mancini, all’epoca dei fatti manager pubblico dell’EUR Spa, e ricco imprenditore del settore dei rifiuti e delle bonifiche, secondo dopo Caminati. Eppure quando uscì l’articolo di Repubblica.it proprio sul caso il 27 gennaio del 2013, rimbalzato poi da noi due giorni dopo con la presentazione della nostra inchiesta, il sindaco Di Girolamo non si degnò nemmeno di chiedere spiegazioni, o emettere una qualunque dichiarazione di perplessità o preoccupazione; il silenzio ignavo della politica, che non ha il coraggio di assumere alcuna posizione, lasciando ai magistrati il compito di svelare, condannare, comunicare, sempre a patto che questi non indaghino o si esprimano su di loro.
Insomma, oggi ci si accorge che forse Mafia Capitale è passata per Terni e guarda caso avrebbe messo le mani su uno degli affari più remunerativi e tipicamente infiltrato dal crimine organizzato, la monnezza. Bene, staremo a vedere.
“Eppure riteniamo – conclude il Comitato No Inceneritori – che sia necessario a questo punto porre un altro problema, e magari indicare agli inquirenti la strada dell’ASM sempre a Maratta, per capire in questi anni quali siano stati i rapporti con ACEA, già socia nel settore dei servizi, e se magari per Terni qualcuno dei personaggi del “Mondo di Mezzo” sia passato e abbia interloquito con la classe dirigente locale; sappiamo infatti che si fanno accertamenti anche sulla socia ternana di Buzzi, la Cosp Tecnosevices, che si è aggiudicata proprio con ASm l’appalto per 15 anni della accolta dei rifiuti nell’intera provincia ternana. Sappiamo poi come Acea non abbia disdegnato rimanere in società con l’AMA di Panzironi e con Cerroni (tutti e due agli arresti) nel consorzio COEMA che voleva l’inceneritore ad Albano Laziale, nel cui CdA sedeva anche l’illustrissimo Professor Cotana dell’Unipg. Insomma, la scena si riempie di incredibili personaggi, pluri inquisiti se non già pluricondannati, ai vertici di importanti società, a braccetto con altri personaggi di rilievo della vita pubblica, politica e amministrativa. Affrontare questo diventa urgente anche e soprattutto in vista della quotazione di ASM, la gallina dalle uova d’oro, e la probabile conquista di questa da parte proprio della romana ACEA. Forse se ne è discusso durante la festa con spogliarello negli studios di Papigno?“.