Il letto del lago di Pilato, i due laghetti a forma di occhiale in pieno Parco nazionale dei monti Sibillini, si è alzato di un metro. Lo ha confermato il sopralluogo del gruppo dell’associazione Geomorfologi italiani (Aigeo), che in questi giorni ha visitato l’area interessata dal terremoto del centro Italia dello scorso anno, tenendo degli incontri itineranti in loco. Con attenzione particolare al doppio lago, che si temeva essere scomparso per colpa del terremoto e che invece in primavera ha mostrato di aver ancora acqua nel proprio bacino. Acqua però sparita con la siccità estiva, un fenomeno già apparso qualche anno fa e che non dovrebbe mettere a repentaglio il chirocefalo del Marchesoni. Cambiamenti dovuti al terremoto, però, ce ne sono stati, come emerso in questi giorni.
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Il presidente nazionale dei Geomorfologi, Gilberto Pambianchi, dopo il sopralluogo compiuto nelle ultime ore che ha toccato anche Norcia, i piani di Castelluccio ed appunto la zona del lago di Pilato, conferma che “i laghi glaciali, gli unici dell’Appennino Centrale, si sono completamente asciugati”. Il docente dell’Università di Camerino, evidenzia che “dopo il terremoto del 2016, i Laghi di Pilato hanno subito un depauperamento della risorsa idrica. Sono laghi di origine glaciale che si trovano a circa 1900 metri sul livello del mare e sono gli unici laghi glaciali dell’Italia Peninsulare. Attualmente i Laghi sono addirittura completamente asciutti per la grande siccità estiva – ha proseguito Pambianchi – ed hanno subito un deficit idrico pari al 60 per cento rispetto agli anni precedenti. Gli scuotimenti di questa crisi sismica hanno prodotto una serie di frane di crollo, con grossi massi e detriti, che arrivando al fondo asciutto dei laghi lo hanno innalzato circa 1 metro rispetto a prima”.
I geomorfologi hanno condotto i giornalisti lungo i versanti in frana ma anche su nuove sorgenti ed ancora in luoghi dove le sorgenti non ci sono più. Ora bisogna monitorare il territorio. “In Italia abbiamo il rischio legato ai terremoti, alle alluvioni, ai vulcani. I terremoti nella zona del cratere di Umbria e Marche, del sisma 2016, hanno deformato molto i versanti – ha continuato Pambianchi – hanno deformato i fondovalle e noi dobbiamo creare una rete di monitoraggio costante. Solo attraverso il monitoraggio possiamo fare prevenzione e prevenire i disastri. A distanza di un anno i monitoraggi non sono stati per nulla fatti nella zona del cratere. Siamo a rischio perché le falde acquifere sono cresciute, non si sa come si è compattato il materiale, notizie importanti invece per la ricostruzione. Creare una rete di monitoraggio è fondamentale. Non si ha idea di come si siano compattati i terreni, di come è cresciuta la falda acquifera e le conseguenze potrebbero essere molto ma molto rischiose. Per la ricostruzione occorre fare una rete di monitoraggio della zona del cratere”.
Tra i fenomeni analizzati dall’Aigeo c’è anche quello delle sorgenti d’acqua emerse dopo il sisma. La situazione più significativa è quella del torrente Torbidone, a Norcia.