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Inchiesta ceneri Valnestore, il “caso” approda in Parlamento

Redazione

Inchiesta ceneri Valnestore, il “caso” approda in Parlamento

Interrogazione al Ministro presentata dagli onorevoli 5 Stelle, Ciprini e Gallinella
Sab, 30/04/2016 - 13:22

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Le ceneri arrivano in parlamento. I parlamentari del Movimento 5 Stelle Tiziana Ciprini e Filippo Gallinella hanno depositato un’interrogazione a risposta scritta indirizzata al Ministro dell’ambiente per chiedere che venga promosso un accertamento sulle matrici ambientali della zona della Valnestore e Fabro che furono interessate dall’interramento di ceneri di risulta dalla combustione del carbone della centrale Enel di La Spezia. Chiedono specifiche ispezioni da parte del comando dei carabinieri perla tutela dell’ambiente al fine di verificare lo stato dei luoghi, con particolare riferimento alla situazione della falda e alla presenza di metalli pesanti.

I parlamentari pentastellati fanno presente che in tema di specifici flussi di rifiuti con elevato impatto ambientale con specifiche possibilità di recupero, sarebbe opportuno effettuare un’indagine ministeriale affinchè gli esiti siano resi facilmente consultabili dal pubblico, compiendo una ricognizione degli impianti a carbone chiusi o ancora in esercizio in Italia, individuando così le regioni, e all’interno di esse le aree ed i singoli impianti destinatari, ove le ceneri di carbone prodotte dagli impianti predetti (sia classificate come rifiuto speciale non pericoloso che come rifiuto speciale pericoloso) siano state conferite sia per essere reimpiegate (in tal caso specificandone anche la tipologia di riutilizzo), che smaltite definitivamente.

Un’istanza che parte dalla Valnestore e da Fabro per estendersi a livello nazionale. “Il nostro Paese si è dotato di una disciplina normativa a tutela dell’ambiente di rango primario solo nel 1997 attraverso l’emanazione del decreto legislativo 22 febbraio 1997, n. 22 cosiddetto decreto Ronchi dal nome dell’allora Ministro dell’ambiente Edo Ronchi; invero, l’Italia giungeva con oltre vent’anni di ritardo rispetto a quanto già previsto dalla direttiva del 1975 sui rifiuti;  prima del predetto «decreto Ronchi», che oggi è stato interamente abrogato dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, cosiddetto testo unico ambientale, l’unica tutela nei confronti della corretta gestione dei residui urbani così come di quelli industriali era rappresentata dal decreto del Presidente della Repubblica del 10 settembre 1982, n. 915;  tale premessa di carattere normativo spiega la carenza, quando non addirittura l’assenza, di standard ambientali minimi di riferimento in campo ambientale, segnatamente sul fronte rifiuti e inquinamento del suolo; non meraviglia dunque – si legge nell’interrogazione – che gli impatti ambientali generati in siti contaminati, già di per sé sempre di difficile eliminazione o attenuazione (come ben evidenziato dall’affermato principio della prevenzione ovvero riduzione a monte dei danni ambientali contenuto nel trattato sul funzionamento dell’Unione europea), siano stati nel corso della nostra fase industriale precedente agli anni ’80 e ’90 pressoché ignorati. Non è un caso che in interventi normativi successivi, determinate fonti di contaminazione siano state definite «storiche» per indicarne o l’impossibile individuazione del responsabile dell’inquinamento oppure la non configurabilità di una responsabilità giuridica in capo ad un soggetto in ordine ad una condotta non prevista dalla legge come illecita; la situazione ambientale di Fabro (TR), in località Colonnetta, in Umbria appare sotto tale profilo emblematica;  qui infatti nel periodo 1986-1990, sono state depositate 1 milione e 300 mila tonnellate di ceneri di carbone, provenienti dalla centrale termoelettrica ENEL di La Spezia;
come noto l’area interessata è quella della zona industriale di Fabro Scalo, oltre 11 ettari di terreno che fu «rialzata» all’epoca, fino a 6 metri, attraverso operazioni di ricolmatazione per via di una depressione naturale del terreno su cui successivamente è stata costruita una zona artigianale-espositiva oggi pressoché in disuso;  il predetto stoccaggio delle ceneri di carbone sarebbe avvenuto, in tre momenti distinti: negli anni 1986-1987, negli anni 1988-1989 ed infine nel periodo 1989-1990;
come sopra premesso, tali predette attività (avvenute prima dell’adozione di legislazione primaria, sebbene fossero in vigore il decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982 e leggi regionali di adeguamento ad esso – nel caso dell’Umbria, la legge regionale n. 44 del 24 agosto 1987–) erano state consentite nella misura in cui le ceneri derivanti dalla combustione di carbone, alla stregua di rifiuti speciali, venivano reimpiegate per la realizzazione di rilevati edilizi e civili;  le ceneri in questione venivano dunque sostanzialmente considerate semplici «inerti» seppur notevoli fossero gli adempimenti da osservare in ordine al trasporto e alla posa in opera di esse come rilevato (si vedano i numerosi molti accorgimenti per evitare lo spolvero o il dilavamento delle ceneri stesse, ad esempio laddove venivano usate come rilevato, dovevano poi essere ricoperte con uno strato di terra di almeno 70 centimetri);
il vigente codice Cer di cui all’allegato D alla parte quarta del richiamato decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, include tra i rifiuti speciali non pericolosi le «ceneri leggeri di carbone» attraverso il codice Cer 10 01 02 mentre le «ceneri pesanti e scorie, contenenti sostanze pericolose» identificate con codice Cer 19 01 11* sono classificate pericolose attraverso l’asterisco; come avvenuto in Umbria, oltre a Fabro anche nella valle del Nestore, ma anche in altre realtà del nostro Paese, negli anni ’80 e ’90, il traffico delle ceneri da impianti a carbone verso destinazioni sparse sul territorio nazionale, anche quando autorizzato, a fini di smaltimento o recupero, ha rappresentato un allarme ambientale di dimensioni tutt’altro che trascurabili tale da indurre, come nel caso esposto, a forti preoccupazioni nella popolazione in ordine alla possibile ricorrenza di un danno ambientale o almeno al rischio di esso dovuto alla ritenuta presenza di materiale pericoloso in rifiuti classificati non pericolosi oppure all’assenza di analisi preventive; non è ad oggi possibile stabilire con sufficiente certezza se su tali grandi quantità di cenere depositate negli anni siano state specificatamente condotte analisi per accertarne la sostanziale caratteristica «inerte» delle ceneri leggere, anche in considerazione di un regime autorizzativo semplificato che consente che rifiuti non pericolosi, a determinate condizioni, siano agevolmente reimpiegati a valle di sole denunce di inizio attività;

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