Che il Ministro Alessandro Giuli avesse un debole per i tattoo lo si sapeva da tempo: un’aquila sul petto e un cerchio a spirale sul gomito destro, sono quelli fin qui conosciuti nelle rare foto in cui il neo titolare del dicastero della Cultura – difficile vederlo senza giacca e cravatta – si è fatto fotografare con camicia aperta e maniche tirate all’insù. Uno scatto, però, tornato alla ribalta dei social dopo la nomina al Mic, ha sollevato più di una curiosità e una speranza.
Il Ministro Giuli infatti, sul braccio sinistro, ha tatuato lo stemma del potere del Re degli Umbri, il tattoo dell’antico popolo italico di cui ancora poco si sa, effige rinvenuta su uno degli scettri scoperti a piazza d’Armi di Spoleto intorno al 2010. Da allora poco o niente è stato fatto per proseguire gli scavi, per realizzare quel parco archeologico, come quello di Cerveteri e Fossa, pensato dall’allora sindaco Daniele Benedetti, avviato dal compianto sindaco Fabrizio Cardarelli (che firmò un protocollo con l’associazione Astra dell’archeologo tedesco Joachim Weidig e coinvolse la Bim per finanziare ulteriori studi) ma definitivamente abbandonato dal 2018 nei polverosi cassetti delle consiliature successive.
Chissà che, al di là della scelta “estetica” di riprodurre sul proprio corpo un tattoo con lo stemma del Re degli Umbri, il Ministro Giuli non intenda dare impulso a una nuova campagna di scavi, per fare piena luce su quella che è stata una civiltà talmente importante da incidere profondamente sulla cultura della stessa Roma precristiana. Impossibile contattare il n. 1 del dicastero di via del Collegio romano anche se qualche suo amico che vive tra Terni e Perugia è certo di una sua prossima visita a Spoleto.
Magari per affrontare anche il dossier del “Festival dei 2 Mondi”, tra Statuto da aggiornare e nomina della direttrice artistica, Monique Veatue, da confermare (su cui pesa il placet del civico-grillino-piddino sindaco Sisti). Giuli visiterà il Museo archeologico e il Deposito di opere di Santo Chiodo che la Regione dell’Umbria, con in testa l’assessora Agabiti, ha fatto ampliare contestualmente alla ristrutturazione dell’ex mattatoio (che ospiterà laboratori di diagnostica e restauro), per consentire la crescita di quella che è già una eccellenza europea nella salvaguardia del patrimonio italiano.
In attesa di capire se e come il nuovo percorso del Mic potrà dare impulso all’area archeologica di piazza d’armi, ci sono delle importanti novità sul fronte degli investimenti e degli studi sui reperti rinvenuti a Spoleto. Ma ripercorriamo brevemente la storia.
E’ il 1982 quando, per lo scavo propedeutico alla costruzione di una abitazione, viene rinvenuta una tomba ricca di reperti tra cui un tripode in bronzo. Le analisi confermeranno che si tratta di manufatto risalente al VII a.C. con i confronti stretti a Roselle in Toscana. Passeranno circa vent’anni prima che, sotto la direzione archeologica della Soprintendenza affidata a Liliana Costamagna, un gruppo di archeologi italiani farà, nel triennio 2008-2011, la più grande scoperta relativa al popolo degli Umbri: 52 tombe di uomini, donne e bambini con i relativi corredi funerari, alcune delle quali ricche di manufatti che fanno pensare alla sepoltura dei reali dell’antica popolazione. Secondo gli studi non è che il 10% di quello che l’area contiene e può quindi ancora svelare.
Due tombe in particolare sono particolarmente ricche e in un di queste vengono rinvenuti i 4 scettri in ferro e bronzo. Solo lo studio e il restauro effettuato durante il progetto italo-tedesco condotto da Joachim Weidig, consentirà di accertare che le figure realizzate in lamine di ferro a traforo su cui è colato il bronzo (un dio accompagnato da cavalli bicefali, il “Signore dei cavalli” come è stato ribattezzato) sono il simbolo del potere degli Umbri. Vicino a questi vi sono pugnali, scudi, lance, fiaschi da pellegrino. Persino un pugnale in avorio, che potrebbe giustificare i rapporti commerciali con l’Etruria e l’Oriente.
Sarà per questo che ancora quattro secoli dal loro insediamento nella valle spoletana, ovvero nel III a.C., eremiti siriani raggiunsero la montagna sacra di Monte Luco, anche questa ben poco valorizzata.
Non meno preziosi i corredi funerari femminili con fibule costituite da una sfinge alata realizzate in argento (in restauro in Germania), bronzo, cinture e collane d’ambra.
A compensare gli sforzi dell’epoca ci fu anche il contributo della locale Fondazione CaRiSpo, impegnata però anche sul fronte del sito Unesco dei Longobardi, del Festival dei 2 Mondi, etc., insomma non in grado di poter provvedere a tutto.
Un interessante libro, scritto da Simone Verde per i tipi Marsilio Editori, “Cultura senza Capitale – storia e tradimento di un’idea italiana” (2014), chiarisce come quella che è la più importante “infrastruttura” per l’economia e lo sviluppo del Paese, il patrimonio culturale, sia abbandonata a se stessa. 350 pagine che ogni amministratore, locale e governativo, dovrebbe leggere.
Dopo l’iniziale euforia, l’ostinata azione di un sindaco e la pubblicazione dello splendido volume “Gli scettri de re” (stampato da GraficArte Severini), nulla si è più mosso.
Nonostante lo scettro del Re degli Umbri sia stato utilizzato per tattoo fatti da privati cittadini orgogliosi del propri territorio (a cui oggi si aggiunge il ministro Giuli) ma anche dall’alta moda (lo stilista Doriano lo utilizzò per una sua creazione).
Gli studi finanziati dalla Germania, anche l’Italia fa la sua parte (tardiva)
Nell’assordante silenzio e interesse delle istituzioni locali, c’è fortunatamente chi continua ad andare avanti, come Joachim Weidig, ormai spoletino di adozione e che Tuttoggi ha contattato. Ci racconta che mentre i primi restauri e studi venivano finanziati dalla Germania (fondazione Fritz-Thyssen, DAI Roma, già RGZM Magonza) solo al 2021 risalgono gli ultimi restauri finanziati con fondi statali dal Museo Archeologico Nazionale e Teatro Romano di Spoleto (la direttrice regionale è la dottoressa Silvia Casciarri).
“Ci sono due novità di rilievo” dice l’archeologo Weidig “una prima consiste in un progetto universitario PRIN avviato nel 2024 con i fondi del PNRR, che coinvolgono le università di Tor Vergata Roma, Viterbo, Urbino, il Museo Archeologico di Spoleto e la mia stessa Università di Friburgo in Brisgovia sul rapporto tra studio archeologico e analisi biomolecolari, che prevede tra altro gli esami del DNA di tutti i resti scheletrici ritrovati durante gli scavi. Analisi dalle quali ci attendiamo di ricevere risposte importanti sulla qualità di vita che gli Umbri tenevano, cosa mangiavano, da quali malattie erano colpiti e che rapporti avevano con gli altri popoli”.
Ma non è tutto. “Per i tanti ornamenti realizzati in ambra, Piazza d’Armi è coinvolto in un grande progetto avviato dai colleghi della repubblica Ceka su ‘Le vie dell’ambra’”.
“Ci sarebbe ancora molto da fare, l’area interessata complessivamente copre 24 ettari, anche se in diversi punti sono stati costruiti edifici civili, siamo sicuri di poter rinvenire ancora molte testimonianze” conclude il professor Weidig.
Esclusivo, le Rx dei pani di terra
Gli scavi avviati nel 2008 furono cosiddetti “di emergenza”, per i quali gli archeologi, con il poco tempo a disposizione, ad un certo punto preferirono prelevare dei pani di terra (blocchi) così da assicurarne la conservazione e rimandarne lo studio ad un momento successivo.
Ed è ancora una volta la tecnologia a correre in soccorso: le lastre radiografiche scattate sui blocchi di terra, immagini finora mai mostrate e che Tuttoggi può anticipare, rivelano come gli stessi pani siano ricchi di preziosi manufatti. Collane, anelli, cinturoni a cerchio (tipici di Spoleto). Solo per citarne alcuni.
Chissà che non sia arrivato il momento di riprendere in mano studi, scavi e restauri. Lo stesso neo Ministro lo dovrebbe al proprio tattoo.
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