DIOCESI SPOLETO NORCIA: CELEBRATA LA PASQUA IN DUOMO. L'OMELIA DI MONS. FONTANA - Tuttoggi.info

DIOCESI SPOLETO NORCIA: CELEBRATA LA PASQUA IN DUOMO. L'OMELIA DI MONS. FONTANA

Redazione

DIOCESI SPOLETO NORCIA: CELEBRATA LA PASQUA IN DUOMO. L'OMELIA DI MONS. FONTANA

Lun, 13/04/2009 - 09:35

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“Pasqua, se riscopri la fraternità e la voglia di collaborare per il bene comune, è credere nella speranza alternativa possibile alle esperienze di male che ci hanno pesato sull'anima. E' accorgersi che non c'è nessun male inevitabile: neppure la morte”. E' un passaggio dell'omelia che l'arcivescovo di Spoleto-Norcia, mons. Riccardo Fontana ha tenuto il giorno di Pasqua nella chiesa cattedrale di Spoleto, gremita di fedeli.

L'arcivescovo ha ricordato ai cristiani come l'incontro con il Risorto faccia riprendere coraggio, faccia tornare ciascuno alle proprie occupazioni con una qualità nuova e insperata. “Il Signore risorto, ha detto mons. Fontana, ci chiede di essere testimoni della speranza. Ai cristiani del nostro tempo è chiesto di praticare soprattutto la virtù della fortezza, che è non lasciarsi sopraffare dalla difficoltà delle prove della vita. Anche di fronte al terremoto che ci è passato accanto e ha sconvolto famiglie e storie che ci sono vicine occorre guardare al da farsi, non ripiegarsi sulla tentazione sterile della polemica. Non abbiamo bisogno di catturare l'attenzione dell'opinione pubblica, ma di alleviare le sofferenze altrui con la nostra carità e la cultura della condivisione”.

Il presule, che nel pomeriggio di Pasqua si è recato a celebrare le messa nella Casa di Reclusione di Spoleto, ha invitato i fedeli a ritrovare il senso di ricostruire una rete nuova di solidarietà, “non solo sulle cose, sui beni materiali, ma principalmente sui valori, sulle scelte che danno senso alla vita. Ai Cristiani, ha continuato, in questa Pasqua è chiesto ancora una volta di fare servizio alla società. Occorre costruire ponti, non allargare i fossati. E' nostro compito favorire il dialogo e la collaborazione tra tutti, mentre ancora tende a prevalere la cultura dello scontro e della contrapposizione intollerante”.

Poi, un richiamo ad essere sempre più animatori di carità. “Chi ha il senso della responsabilità, ha affermato il vescovo, non sta a guardare o a dir male degli altri, ma si attiva a fare tutto quello che favorisce il bene. Sa aspettare il momento giusto, senza perdere coraggio, senza rimanere inerte. Nel frattempo, che è parola cristianissima e pasquale, cioè il tempo che sta in mezzo tra la resurrezione del Signore e il suo ritorno, ci è chiesto di essere animatori di carità: la concretezza è virtù cara agli umbri”.

L'Omelia di Mons. Arcivescovo:

Fratelli e sorelle:

il Signore vi dia pace!

In questa mattina di Pasqua hai ascoltato l'Apostolo che parla anche di te. Non ti dice cosa fare, non dà né compiti né divieti: ti chiede di accorgerti della cosa bella che Dio ha fatto per te: ti ha fatto nuovo. “Togliete via il lievito vecchio, per essere pasta nuova, poiché siete azzimi”. (I Cor 5,6-8).

La fede non ti sottrae alla fatica della vita di ogni giorno, con le sue prove, i dolori e le sofferenze. Ti dà la chiave per dominare il male che ti si para dinanzi e per non lasciarti sopraffare. Credere nella resurrezione è respirare il profumo di questa novità che viene da Dio, che vuole toglierti i pesi che ti porti dietro. Chi si affida al Signore non resta deluso.

Pasqua vuol dire passaggio. Non hai attraversato il Mar Rosso, ma se ti guardi dentro, ti accorgi che come l'antico Israele, anche tu sei stato affrancato dalle paure del nostro tempo e hai recuperato la voglia di costruire un futuro migliore. Dio riesce a fare questo dono prezioso. Dio ci libera, per dirlo con l'immagine di San Paolo, dal lievito vecchio, che è la logica con cui il mondo cammina, la cattiveria che sta sotto le tue preoccupazioni, la ricerca forzosa di dare sempre la colpa agli altri e di fare scandalo per crearti attenzione.

Pasqua è credere nella speranza alternativa possibile alle esperienze di male che ci hanno pesato sull'anima, se riscopri la fraternità e la voglia di collaborare tra tutti, per il bene comune. E' accorgersi che non c'è nessun male inevitabile: neppure la morte.

In questa terra umbra San Francesco, pieno di Dio, riesce a cancellare la paura anche di “sora nostra morte corporale, da la quale nullo homo vivente po' scampare”. Bisogna invece temere la “morte secunda” che è abbandonarsi al male, alla cattiveria, alla calunnia: istillare soprattutto nei giovani il senso di ribellione e di disfattismo, con cui si avvelena la vita delle persone e delle città. Dalla logica della morte eterna non si esce se non lasciamo che Dio ci trasformi fino a praticare l'alternativa del vangelo nella nostra vita.

Siamo venuti in chiesa per riprendere coraggio; per ritornare poi alle nostre occupazioni con una qualità nuova e insperata. Il Signore risorto ci chiede di essere testimoni della speranza. Ai cristiani del nostro tempo è chiesto di praticare soprattutto la virtù della fortezza, che è non lasciarsi sopraffare dalla difficoltà delle prove della vita. Anche di fronte al terremoto che ci è passato accanto e ha sconvolto famiglie e storie che ci sono vicine occorre guardare al da farsi, non ripiegarsi sulla tentazione sterile della polemica. Non abbiamo bisogno di catturare l'attenzione dell'opinione pubblica, ma di alleviare le sofferenze altrui con la nostra carità e la cultura della condivisione.

Pasqua ci chiede di essere pieni di Dio in mezzo ad un mondo che ha perso il senso della vita. Occorre innanzi tutto accorgerci che anche questa generazione deve correre la sua frazione della grande staffetta della storia. San Paolo ci avverte che la vita è proprio come una grande corsa, in cui nessuna generazione è dispensata dal fare la propria parte. Crescemmo con i racconti della Seconda Guerra mondiale, poi ci accorgemmo che i mali che i padri credevano di aver sconfitto per sempre, riemergevano ancora, come le teste dell'idria della mitologia antica. I morsi dei mali che riemergono vanno curati con fortezza, senza protervia. A noi cristiani tocca la profezia: cioè, forti della parola di Dio, far sentire a tutti il dovere della responsabilità. Uno è uomo, è donna, se sa farsi carico di sé e degli altri. Ci tocca di farlo offrendo a tutti la cultura della pace e la ricerca del bene di tutti.

Ci è chiesto di costruire il nuovo educando. Giovani e adulti, ricchi e poveri, chi si sente autosufficiente e chi si lamenta di aver bisogno degli altri: tutti abbiamo bisogno di ritrovare il senso, di ricostruire una rete nuova di solidarietà, non solo sulle cose, sui beni materiali, ma principalmente sui valori, sulle scelte che danno senso alla vita.

Ai Cristiani in questa Pasqua è chiesto ancora una volta di fare servizio alla società. Occorre costruire ponti, non allargare i fossati. E' nostro compito favorire il dialogo e la collaborazione tra tutti, mentre ancora tende a prevalere la cultura dello scontro e della contrapposizione intollerante.

L'attesa del Regno é la pazienza, che è una virtù molto attiva, come quando una donna attende la venuta di un ospite illustre nella sua casa, o un incontro che è decisivo per la sua famiglia. Chi ha il senso della responsabilità, non sta a guardare o a dir male degli altri, ma si attiva a fare tutto quello che favorisce il bene. Sa aspettare il momento giusto, senza perdere coraggio, senza rimanere inerte. Nel frattempo, che è parola cristianissima e pasquale, cioè il tempo che sta in mezzo tra la resurrezione del Signore e il suo ritorno, ci è chiesto di essere animatori di carità: la concretezza è virtù cara agli umbri. Vorrei farvi gli auguri di Pasqua con due immagini che ci sono particolarmente care. Per la celebrazione del giorno di Pasqua abbiamo usato ancora una volta la croce del Barbarossa, dove al posto dell'immagine di Gesù c'è il sudario: Cristo è risorto, coraggio. Ora tocca a noi far la nostra parte, una parte che è scandita dal rosone di questa chiesa cattedrale: sulla facciata la luce di Cristo entra attraverso i quattro Vangeli. Ma attenti: ci vuole una gran fatica per far andar d'accordo il rotondo della città di Dio con la città dell'uomo, inevitabilmente quadrata. Ci vuole una gran fatica: e i due telamoni, che sorreggono la grande luce del duomo, ci mostrano, nei secoli, questa fatica. La fatica di Dio, che ha pazienza e ci dà fiducia; la fatica dell'uomo che si chiama fede e ogni generazione la passa all'altra sperando che anche nei figli si accenda il fuoco della carità.


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