La 33enne di Città di Castello da 3 anni lavora come ricercatrice e scienziata per il Seattle Children’s Hospital con una importantissima missione “Un vaccino per l’Africa” | Ecco chi è la tifernate cercata e ingaggiata dagli Usa
“Coraggiosa”, “consistente a livello mentale” e “pazza”. Si definisce così Lucia Pazzagli (nomen omen) – tifernate doc classe ’91 – oggi scienziata e ricercatrice nel settore biomedico a Seattle (Usa), dove in laboratorio studia e crea addirittura vaccini contro la malaria. Un fulgido e lampante esempio di quella fuga di cervelli che sta impoverendo l’Italia (e la stessa Città di Castello) e arricchendo al contempo gli altri paesi.
Dalla filosofia alla scienza
E pensare che Lucia non voleva neanche farlo questo mestiere. Nata filosofa – “ispirata dal prof. Franco Nestri – dopo la maturità classica decide di “scegliere qualcosa di più aderente alla realtà”, proprio nell’ambito della medicina, “volendo dare un contributo direttamente da dietro le quinte, partendo dalla ricerca”. Dal liceo, dunque, vira su Biologia all’Università di Perugia, nello specifico Scienze biomolecolari applicate, che con Kant o Hegel poco ci azzecca. A lei però piace da matti la genetica e, da qui in poi, non si fermerà più, imboccando pure la via del dottorato in ‘Medicina sperimentale’, con le “benedizioni” della prof.ssa Barbara Camilloni e della capo dipartimento Ursula Grohmann – che in diverse occasioni le dissero: “Lucia, tu potresti essere un’ottima scienziata!” – convincendo del tutto la giovane a intraprendere definitivamente questa strada.
2021, l’anno della svolta
L’anno d‘oro di Lucia è il 2021, quando chiude magnificamente il dottorato sotto la guida della prof.ssa Roberta Spaccapelo – “mia mentore a Perugia” – con un lavoro di ricerca proprio sulla malaria nel topo (in Italia non si può lavorare sul modello umano), che presenta ad Heidelberg (Germania): “Si tratta di un’innovativa strategia per creare un nuovo vaccino, bloccando il parassita nel fegato del topo dove la malaria è asintomatica. In Germania mi notarono professori americani che lavorano nello stesso ambito strategico, traslato però sull’essere umano. Decisi quindi di contattarli con una lettera di referenze a luglio 2021. Ad agosto mi fecero un’intervista da Seattle, proponendomi di unire insieme le forze. A settembre, mi è stato proposto il lavoro. E’ stato sicuramente più difficile dire ai miei genitori che a dicembre sarei dovuta partire per Seattle…”.
Il 16 dicembre 2021 Lucia entra dunque a far parte di un gruppo di ricerca, finanziato dalla NIH (National Institutes of Health), che coinvolge Seattle Children’s Hospital – dove lavora la tifernate – e Sanaria (colosso dello sviluppo di cure contro la malaria), per creare un nuovo vaccino da introdurre in Africa, basato sui parassiti “moderni” che oggi circolano nel continente.
La dura vita negli Usa
Con sorpresa, però, Lucia confessa che la vita negli Usa è molto più complicata del suo lavoro: “Vivere qui è un’esperienza di grande crescita ma tanto complessa. Professionalmente è superstimolante, si lavora con gruppi di ricerca internazionali e ci si confronta con tante culture diverse. Su questo fronte rifarei tutto 150mila volte e consiglierei a tutti un’esperienza in America. Tuttavia qui una donna (da sola) trova tantissime difficoltà, perché l’impostazione culturale è del tutto diversa dalla nostra. A Seattle non c’è una società inclusiva, tutti hanno obiettivi lavorativi e ignorano gli altri. Da questo lato ho infatti incontrato enormi ostacoli, perché l’aspetto ‘umano’ fa parte di me e qui non esiste. Purtroppo sono immersa in un sistema freddo e basato esclusivamente sul dollaro, dove regnano solo arrivismo e competizione”.
Cosa mi manca di Città di Castello…
“Quando sono a Seattle poi mi manca il cibo italiano e umbro (quello americano è incommentabile). Quel poco di ‘made in Italy’ che trovo costa un patrimonio e lo vendono in due soli market. Mancano pure le piccole distanze dell’Alta Valle del Tevere, dove le città sono raggiungibili in pochi minuti mentre da Seattle servono 2 ore di volo o 6 di auto per arrivare alla città più vicina. Ovviamente si sente tanto il vuoto lasciato dagli amici, che conoscono la vera Lucia, chi ti guarda in faccia e ti capisce al volo”.
…e di Seattle
Ma quando Lucia torna a Città di Castello ammette comunque di aver nostalgia di alcune (seppur poche) “peculiarità” di Seattle, “a partire dalla musica. In quella metropoli 7 giorni su 7 trovi concerti rock ovunque, da godersi gustando una birra a soli 10 dollari. E poi di bello c’è il clima, secco nonostante la pioggia, e hanno un’estate favolosa, con temperature meravigliose. Confesso però che mancano anche i colleghi, che fin da subito mi hanno accolta benissimo”.
La missione di Lucia
L’unica certezza di Lucia per il futuro, ad oggi, è quella di rimanere a Seattle per almeno un altro anno e mezzo e portare a termine il suo promettente progetto sulla malaria – premiato lo scorso maggio in Germania al ‘BioMalPar 2024’ come “best talk” (per presentazione e contenuti scientifici) – e al quale è stato riconosciuto un grandissimo futuro: “Pensano infatti – ci ha rivelato emozionata – che possa essere uno dei prossimi vaccini ad essere introdotto in Africa. Ecco perché – anche se la vita è difficile – voglio e devo finire questo progetto, che considero una mia ‘creatura’, Pertanto resterò a Seattle fino a fine 2025”.
“Più avanti, portata a termine questa mia ‘missione’ – aggiunge – mi piacerebbe esplorare la East Coast, dove ci sono tante opportunità lavorative a livello accademico e di compagnie farmaceutiche. Sogno anche il rinomato campus di Bethesda, sede della NIH. Tra 5-6 anni, invece, potrei e vorrei rientrare anche in Europa, magari in Svizzera, dove tante company fanno proprio ricerca traslazionale su target umano. Potrei tornare anche in Italia, però con collaborazioni di respiro internazionale e americane (rispetto al nostro paese le sovvenzioni pubbliche degli States rendono tutto più facile…)”.
Lucia descrive Lucia
Lucia Pazzagli, tolto il camice da laboratorio, resta comunque la ragazza vitale e spensierata che, con accento “castelano” (nemmeno gli Usa lo hanno scalfito), chiede di fare bisboccia o una cena col tartufo: “L’esperienza americana è un grande investimento su me stessa, mi prova tanto a livello personale. Ecco perché mi ritengo coraggiosa: non è facile partire da sola in una città lontana e sconosciuta, reinventarsi senza perdere sé stessi e connettersi con una nuova società. Mi ritengo pure consistente nella mentalità: anche quando penso di non farcela mi convinco sempre del contrario e ogni giorno penso a lottare per il mio obiettivo. Poi sono pazza, folle e ribelle ma soprattutto libera, come la famiglia mi ha insegnato. Trovo felicità nella continua evoluzione che ho mettendomi alla prova e quando arrivano momenti di sofferenza, in quelle crepe dolorose cerco sempre di far entrare luce. La lealtà, infine, è per me il valore più importante. La mia parola è la garanzia più solida che posso dare ad una persona”.
Il messaggio (e il consiglio) di Lucia
Lucia, a fine intervista, ha voluto anche lanciare un importante messaggio a chi voglia intraprendere la sua stessa strada: “Non abbiate paura di lottare per i vostri sogni. Anche una donna può affermarsi nel mondo scientifico, dire la sua e avere una leadership. Purtroppo questo settore è ancora carente di donne, che secondo me, invece, possono fare la differenza! Mi rivolgo proprio a loro: non fatevi limitare da condizioni sociali e preconcetti, combattete e siate bellissime, tanto da poter anche essere considerate intelligentissime! Bisogna ormai cercare di abbattere il ‘modello Einstein’, per il quale uno scienziato deve avere capelli bianchi ed essere brutto! L’America, in questo senso, è molto più avanti dell’Italia, la meritocrazia femminile è sempre premiata…”. “E poi – conclude – fate come me: Non esitate a mandare lettere di referenze e curriculum negli Usa, loro non vedono l’ora di assumere italiani!”.