Cinghiali, Arci Caccia: problema fuori controllo, unità dei cacciatori di fronte all'attacco del mondo agricolo

Cinghiali, Arci Caccia: problema fuori controllo, ma unità dei cacciatori di fronte all’attacco del mondo agricolo

Redazione

Cinghiali, Arci Caccia: problema fuori controllo, ma unità dei cacciatori di fronte all’attacco del mondo agricolo

Verso il nuovo piano: errori nei mancati accordi tra Regioni limitrofe | E quella filiera che rischia di creare allevamenti a cielo aperto
Mar, 21/07/2020 - 07:52

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“Problema cinghiali ormai da tempo fuori controllo, la questione va affrontata con responsabilità”. Questo l’appello di Arci Caccia dopo l’incontro con la II e III Commissioni consiliari regionali.

L’audizione in Regione

In quell’audizione il presidente di Coldiretti, Agabiti, in presenza anche dei referenti degli Atc, aveva lamentato una gestione finora troppo attenta alle solo esigenze dei cacciatori.

Arci Caccia non ci sta: “L’attacco al mondo venatorio che si sta delineando in questo periodo ci preoccupa in maniera profonda, perché all’orizzonte si delineano le solite strategie folcloristiche volte più che a risolvere le vere questioni, a evitare confronti concreti e soluzioni condivise”.

Arci Caccia concorda sul fatto che il problema cinghiali sia mettendo a dura prova il mondo agricolo. Di fronte al quale, al posto degli “slogan inutili”, invita tutti i portatori d’interessi ad assumersi la responsabilità delle proprie scelte.

“Le colpe e i fallimenti – prosegue Arci Caccia – non possono ricadere tutte sul mondo venatorio, che troppo spesso è stato additato, forse per comodità o forse per nascondere i fallimenti delle scelte volute, come unico colpevole del problema cinghiale.

Arci Caccia ricorda che in molte zone dell’Umbria “c’è un impegno costante e leale a supporto degli agricoltori da parte di molte squadre responsabili che si adoperano per prevenire i danni alle colture, con strumenti spesso propri e metodi che nella maggior parte dei casi non sono sufficienti e nemmeno idonei a contrastare tale fenomeno”.

E poi, ricorda che quello dei cinghiali è un problema che non riguarda solamente l’Umbria, ma riguarda ormai l’Europa e tutta la penisola. “E se vogliamo individuare possibili soluzioni – prosegue – dobbiamo analizzare il problema in tutte le sue varie sfaccettature tenendo conto delle moltissime variabili che possono intervenire”.

L’abbandono dei campi

Tra le cause del proliferare dei cinghiali, Arci Caccia ricorda l’abbandono dei terreni agricoli (per oltre 10 milioni di ettari) in favore di un aumento di circa 4 milioni di ettari di boschi. Fattori estremamente favorevoli, che hanno profondamente contribuito ad una espansione di tutti gli ungulati, cinghiale, capriolo, daino e cervo, a scapito di tutte le altre specie di fauna. E poi la creazione di aree protette o di conservazione, che limitano qualsiasi tipo di intervento. Ma anche, denunciano i cacciatori, l’incuria totale in cui vertono, le modalità d’intervento dettate da leggi e norme o pareri espressi da Ispra decisamente discutibili e molto spesso espressi anche dagli uffici regionali che mettono lacci e lacciuoli alle azioni che si possono mettere in campo.

Oltre questo, la mancanza di competitori naturali che si contendono lo stesso habitat, la grande capacità adattiva della specie, l’ibridazione della specie frutto di errori fatti nel passato, l’abbandono delle zone collinari, immense aree protette dove la gestione è completamente iniqua, i cambiamenti climatici che incidono sulla riproduzione della specie, come dimostrato da studi scientifici. “Sono anche queste colpe dei cacciatori?” si chiede Arci Caccia.

Le soluzioni parziali

Per Arci Caccia, a fronte di tutto questo, “non si può relegare il problema solo alla gestione dei distretti, al numero dei capi abbattuti durante il periodo di caccia che dura solamente tre mesi e viene esercitata nei mesi in cui le culture sono a termine o a regolamenti non al passo con i tempi, inoltre c’è una stragrande maggioranza di territorio dove il cinghiale imperversa ma non esiste gestione”.

Il mancato confronto con la Toscana

In Umbria esistono realtà di confine, come il Comune di Castiglione del Lago dove si registrano i maggiori danni dell’ATC 1, le aree dell’Orvietano o del Ternano, dove il cinghiale non può essere solo un problema umbro. Le aree protette di confine delle regioni limitrofe sono serbatoi immensi di cinghiali che causano danni in Umbria e si rifugiano al di là del confine, ma i danni gravano sui bilanci degli ATC Umbri, queste sono problematiche che non possono essere affrontate guardando solamente all’interno del confine amministrativo regionale, non ci sembra che possa essere considerata una soluzione adeguare il calendario venatorio alle regione limitrofe.

Arci Caccia ricorda di aver invitato già tre anni fa i dirigenti della Regione Toscana ad un incontro con l’assessore regionale per affrontare il problema. Ma non ci fu risposta.

Questi i temi che per Arci Caccia devono essere affrontati nelle audizioni. Per essere affrontati, valutando le soluzioni, senza “spot politico-dottrinali”.

Le proposte di Arci Caccia

“Nelle occasioni che ci sono state date di ascolto da parte delle Istituzioni – prosegue Arci Caccia – abbiamo ribadito più volte che la soluzione al problema non può essere solamente la possibilità di abbattere indiscriminatamente il cinghiale, a meno che (come già detto) questo non sia il modo per nascondere le mancanze altrui, ma servono anche interventi di tipo ambientale per limitare le zone di rifugia nelle aree di maggior presenza”.

Per l’associazione venatoria “servono azioni congiunte su più fronti, gli interventi di contenimento anche quando effettuati con la massima responsabilità non sono sufficienti perché limitati nel tempo e nello spazio e nella maggioranza dei casi non sono risolutivi ma risultano un palliativo al problema, perché si interviene sempre a danno avvenuto”.

Arci caccia negli anni scorsi è stata molto critica sulle decisioni assunte dalla Regione sulla gestione del problema cinghiale. E sulle modalità di caccia varate dalla Regione. “Ritrovandosi sempre in minoranza e isolata – lamentano i responsabili – anche all’interno del mondo venatorio. Abbiamo offerto la massima collaborazione a istituzione e mondo agricolo, sia nel suggerire norme più efficaci a tutela del mondo agricolo, con documenti a disposizione di tutti, dimostrando senso di responsabilità e rispetto nei confronti degli agricoltori, che non vorremmo vengano strumentalizzati, in quanto solo in una fattiva collaborazione di tutti i portatori d’interesse si può per certo individuare soluzioni valide al problema”.

Le accuse a parte del mondo venatorio

“Sappiamo perfettamente – accusa Arci Caccia – che parte del mondo venatorio non sempre ha risposto con senso di responsabilità di fronte al problema. Ma non è il caso di Arci Caccia: sono anni che stiamo chiedendo alla Regione Umbria, un regolamento per gestire la specie e un regolamento per esercitare la caccia al cinghiale, nell’ottica di rispondere alle esigenze che sono maturate all’interno del mondo venatorio e agricolo. Ed allora le associazioni agricole che oggi gridano al lupo.. al lupo… dove erano?”.

La richiesta di Coldiretti di modificare la normativa, perché non risponde più alle esigenze di gestione, viene considerata legittima. Ma allora perché, lamentano i cacciatori, anche Coldiretti non ha sostenuto le stesse richieste fatte in passato da Arci Caccia? In gioco, insomma, c’è la visibilità delle associazioni.

Il piano saltato

Arci Caccia ricorda alcuni anni fa di aver lavorato per mesi fianco a fianco di Coldiretti e Cia, con il contributo fondamentale del compianto prof. Bernardino Ragni, per la redazione di un piano di gestione dei conflitti faunistici. Che però le associazioni agricole stesse, ed in primis Coldiretti, al termine del lavoro svolto, si rifiutarono di sottoscrivere e inviare alla Regione “per dictat dei propri dirigenti”.

La filiera delle carni e il rischio allevamento a cielo aperto

“Da anni sosteniamo la necessità di creare una filiera controllata per la valorizzazione delle carni di cinghiale, dove vengano conferiti i capi abbattuti dagli interventi di contenimento autorizzati dalla Regione e che il ricavato sia destinato come previsto dal R.R. n.5 del 2010” afferma Arci Caccia. Avverteno, però, che è doveroso che la filiera rispetti requisiti stringenti, “altrimenti il rischio è che per poi mantenerla, l’Umbria diventi un grande allevamento a cielo aperto”.

L’attacco ai cacciatori

Arci Caccia contesta le affermazioni fatte da Agabiti in audizione circa il “sostegno univoco” che sarebbe stato concesso in questi anni alle associazioni venatorie. Parole che “lasciano ,’amaro in bocca”. “E che ci fanno presagire – avverte Arci Caccia – anche solo il pensiero di un estromissione del mondo venatorio dalla discussione. Il che sarebbe una sconfitta intellettuale e sociale, e non vorremmo mai pensare che dietro nasconda altro…”.

Tutto questo poi, viene ricordato, in contrasto netto con le dichiarazioni che l’assessore Morroni ha più volte dichiarato ovvero di voler un confronto costante con il mondo venatorio. 

Il nuovo piano di gestione del cinghiale

Quanto al nuovo piano di gestione della specie cinghiale, a cui stanno lavorando i funzionari della Regione, Arci Caccia chiede che prima della stesura completa ci sia un confronto tra gli uffici e le associazioni venatorie “per portare un contributo fattivo nella stesura dello stesso, portando elementi di discussione nuovi al tavolo”.

Arci Caccia si dice disponibile alla più ampia e fattiva collaborazione, con tutte le associazioni, sia con gli agricoltori, che con l’amministrazione regionale. “Ma non è più disponibile – avverte – ad accettare scelte dettate da interessi univoci e personalistici da chiunque essi siano proposti, ed è certa che una eventuale esclusione del mondo venatorio dalla discussione non sarebbe utile ha nessuno, anzi caso mai, sarebbe dannosa per tutti”.

Appello all’unione a cacciatori e squadre

Arci Caccia pone i cacciatori e le squadre di fronte al fatto dell’inevitabilità di certe scelte per affrontare il tema cinghiale. E invita pertanto all’unione, “perché fallire sulla gestione del cinghiale significa decretare la fine del modello di caccia sociale che oggi conosciamo, non ci possiamo più permettere il lusso di far prevalere l’interesse di pochi anzi che l’interesse collettivo”.

Di fronte “all’attacco massiccio che sta venendo avanti da parte del mondo agricolo, serve responsabilità e capacità di fare massa critica, senza divisioni o prevaricazioni nei confronti di altri cacciatori che esercitano la caccia al cinghiale o altre forme di caccia. Non ci possiamo permettere più – l’appello di Arci Caccia – divisioni all’interno del nostro mondo. Molto spesso create ad arte, anche da alcune associazioni venatorie – accusa -per il favore della tessera o della politica”.

Da qui l’appello”al senso di responsabilità” dei cacciatori. Che si trovano additati come unici responsabili del problema. “Il cacciatore moderno – conclude Arci Caccia – deve essere consapevole che la sua opera sia utile per ripristinare velocemente gli squilibri che si sono determinati in natura e non solo sulla specie cinghiale, diventando un modello utile per la collettività, solo cosi ci guadagneremo il rispetto che merita la nostra categoria”.

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