“È necessario che la Regione intervenga urgentemente a sostegno delle lavoratrici e dei lavoratori dei call center Cepu di Città di Castello”. Così il capogruppo regionale del Partito della Rifondazione comunista per la Federazione della sinistra, Damiano Stufara, che ha presentato una interrogazione con la quale chiede all'Esecutivo di Palazzo Donini di “affiancarsi ai lavoratori, al sindacato e al Comune di Città di Castello nella richiesta di un incontro con la proprietà affinché la Cepu possa recedere dalla sua posizione e rinnovare i contratti, e di attivarsi per una eventuale ricollocazione di questi lavoratori rimasti senza lavoro e senza alcuna forma di ammortizzatore sociale”. Stufara ricorda che il sindacato NidiL Cgil Perugia e la Cgil Alta Umbria hanno denunciato il licenziamento, senza motivi oggettivi, di circa trenta lavoratori dei call center Cesd e Accademia del Lusso del gruppo CEPU nelle sedi di Città di Castello e che successivamente (conferenza stampa del 22 marzo 2012 davanti alla sede Cepu) hanno reso noto che l'azienda non ha ancora risposto alla richiesta d'incontro avanzata dal sindacato per aprire un tavolo di confronto per scongiurare i licenziamenti. Anche il sindaco di Città di Castello, Luciano Bacchetta – fa sapere il capogruppo del Prc-Fds -, ha richiesto a fine marzo un incontro alla proprietà per verificare la possibilità di salvare i posti di lavoro, richiesta che ad oggi non ha avuto alcun riscontro positivo, a dimostrazione di come la proprietà intenda le relazioni con sindacato ed istituzioni”.
Il caso – “Alla base del mancato rinnovo del contratto per i trenta lavoratori, alcuni dei quali impiegati da cinque anni con contratti di collaborazione a progetto – spiega Stufara nel suo atto ispettivo -, non ci sarebbe un problema di produttività e di mercato, ma la volontà da parte della proprietà di continuare ad utilizzare contratti a progetto al posto della stabilizzazione dei lavoratori con contratti già in essere. A seguito della lettera di recessione anticipata del contratto per i trenta lavoratori – continua -, la proprietà sta assumendo lavoratori-collaboratori con contratti trimestrali. Questo avvalora la tesi che alla base della mancata stabilizzazione non sussistono motivi oggettivi, ma solo la volontà della Cepu di mantenere nella propria organizzazione aziendale aree estese di precariato, come forma di pressione e di ricatto nei confronti dei dipendenti”. Per Stufara “il mancato rinnovo contrattuale per questi lavoratori, soprattutto giovani e donne che per anni hanno prestato servizio in un’azienda leader nel settore della conoscenza e dell’alta formazione, rappresenta un ulteriore colpo alla già drammatica situazione economica e sociale dell'Alto Tevere. Quanto sta succedendo nei call center Cesd e Accademia del Lusso del gruppo Cepu di Città di Castello è l'ulteriore dimostrazione di quanto oggi ai lavoratori vengono negati diritti e dignità, una giungla di contratti precari che consente alle aziende una libertà pressoché assoluta di licenziare e che lascia i lavoratori e le lavoratrici non solo senza lavoro, ma anche senza ammortizzatori sociali”.
Aiuti d'emergenza – Stufara ricorda quindi che, “proprio per rispondere a questa emergenza sociale la Regione Umbria ha stanziato ed utilizzato, proprio in questo periodo, oltre 3 milioni di euro per stabilizzare i contratti di 1.200 persone. Mentre a Roma Governo e parti sociali stanno discutendo di come porre un freno agli abusi dei finti contratti a progetto in sostituzione di lavoro dipendente – rimarca il capogruppo di Rifondazione comunista – Cepu ricorre ancora una volta a questo stratagemma per risparmiare sul costo del lavoro, negando quindi diritti a tante ragazze e ragazzi del nostro territorio. La vertenza aperta con l’Azienda – scrive ancora Stufara nella sua interrogazione -, riconferma ulteriormente sia l'urgenza di interventi legislativi che limitino l'utilizzo del lavoro precario in favore della stabilizzazione, sia la necessità della difesa dell'articolo 18 dello Statuto dei Lavoratori come strumento di garanzia dei lavoratori nei rapporti con le imprese, che la necessità da parte delle istituzioni e della società regionale di una netta e chiara presa di distanza rispetto questi comportamenti”.