Caso Falcinelli, "torno in Usa per una battaglia di giustizia” | Video - Tuttoggi.info

Caso Falcinelli, “torno in Usa per una battaglia di giustizia” | Video

Redazione

Caso Falcinelli, “torno in Usa per una battaglia di giustizia” | Video

Mar, 14/01/2025 - 12:52

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Un racconto al limite della realtà. “Sono molto provato ma ho deciso di portare avanti questa battaglia legale"

Non si spengono i riflettori sul caso di Matteo Falcinelli, lo studente spoletino che lo scorso febbraio è stato vittima di quella che, a guardare report della polizia e soprattutto i video di bodycam e telecamere di sicurezza, è stata una violenza inaudita da parte di alcuni agenti della Polizia di Miami.

Un caso che, sotto il profilo giudiziario, si è risolto positivamente per il giovane, ancora residente a Perugia e che da sei anni studia in America. Lui è stato scagionato da ogni accusa.

Ma la cui vicenda mette in luce i limiti della stessa America e di quella democrazia di cui gli Usa si vantano, tanto da volerla “esportare” altrove. Ne è prova il fatto che il Governo americano non sta certo facilitando il rientro di Falcinelli in Florida anche per terminare gli studi.

A raccontare quei terribili giorni è stato lo stesso giovane ospite dei microfoni di Michele Petroni e Erik Anderlini, ideatori del podcast Tal Mi(x)er, durante l’intervista girata sotto la regia di Niccolò Perini proprio nella città del festival e che è possibile seguire qui:

Matteo, rientrato in Italia a fine novembre, ha precisato di essersi già rivolto al Consolato americano di Firenze per riottenere il visto ma finora senza risultato. Una questione su cui Falcinelli rinnova l’appello alla Farnesina di intervenire per vedere riconosciuti i propri diritti.

Il drammatico racconto

Il giovane, ai microfoni di Talk Mi(x)er ha ripercorso la notte del 24 febbraio scorso: dalla scelta del locale, il più vicino al campus, che solo una volta dentro comprenderà essere un night club fino all’uscita dallo stesso quando si accorge di non avere i due cellulari, indispensabili per potersi “muovere” da quel luogo isolato e distante dall’università, ma anche per riottenere ciò che è custodito negli smartphone: dalle carte di credito al proprio fascicolo universitario.

“Sentirsi negare dagli agenti che i miei cellulari non erano lì dentro mi ha sicuramente innervosito, ho chiesto per quale dipartimento lavoravano; non ho aggredito nessuno, dai video non si capisce se ho toccato il badge dell’agente per capire la matricola o se è stato lui ad avvicinarsi troppo a me, ma da lì è cominciata la violenza”.

Una violenza inaudita come hanno confermato le bodycam degli agenti e quelle nel distretto di polizia che solo grazie all’ostinata determinazione di Matteo e dei famigliari è stato possibile ottenere per ricostruire i fatti. “Ero convinto che lì sarei morto”.

Un racconto al limite della realtà dove anche salire sul letto a castello del carcere, senza una scala, senza possibilità di appoggiare il piede sul letto sotto, con il corpo dolorante per le violenze ricevute, diventa una impresa. “Sono molto provato ma ho deciso di portare avanti questa battaglia legale, non giudico la polizia di Miami ma chi ha agito senza seguire i protocolli. Una battaglia perché cose di questo genere non devono più succedere a nessuno, a nessun italiano, a nessun essere umano che non ha fatto nulla di illegale”.

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