E’ una sala piena quella che accoglie l’arrivo dell’ormai ex assessore alla sanità della Regione Umbria, Luca Barberini. I consiglieri “dell’ala”, Andrea Smacchi e Marco Vinicio Guasticchi, seduti in prima fila in una sala gremita di cronisti, supporter e curiosi. Al loro fianco anche il consigliere Claudio Ricci di centro destra. Le parole di Barberini non sembrano un messaggio di dimissioni, di congedo. Assomigliano più a un bilancio di chi è pronto a rilanciarsi, da parte di chi, nonostante il passo “sofferto e arrivato dopo alcuni giorni di riflessione”, voglia continuare a mettersi in gioco e a proseguire con il lavoro iniziato. E anche se dice non essere propenso a “mettere sul piatto i numeri e i risultati alle urne che mi hanno condotto ad essere eletto alle ultime due tornate”, il messaggio sembra pesare ancora di più, se si ascolta Barberini snocciolare la sua versione di quanto è avvenuto nelle ore che hanno preceduto le sue dimissioni. Ancora di più, se lo si ascolta parlare di “nomine dei direttori sanitari fatte come se si estraessero da un bussolotto“, di “arroganza” della giunta Marini, di un progetto di legge per unificare il sistema sanitario umbro.
Giunta nomina direttori sanità Umbria | Barberini assente
(Mala) tempora currunt – Se si fosse di fronte a un caso di cronaca nera, forse i giudici del tribunale chiamato a pronunciarsi avrebbero qualche problema a ricostruire la vicenda, e con essa tutti i passi che hanno condotto al “casus belli” delle dimissioni. Sin dai passi precedenti avanzati prima della “giunta della discordia di lunedì”, alla nomina del direttore Walter Orlandi avvenuta, secondo quanto dichiarato da Barberini, in sua assenza. Alle dimissioni presunte, poi smentite di martedì e al colloquio con la presidente Marini del pomeriggio di due giorni fa, prima della giunta delle 19, dove le nomine dei direttori per le Aziende Sanitarie della Regione Umbria sono state definitivamente deliberate a Palazzo Donini, sempre con la grande assenza di Barberini. Un atto che quest’ultimo ha inteso come il venir meno di un “rapporto fiduciario, come se la presenza dell’assessore al ramo non fosse importante“.
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Le motivazioni – Una “decisione sofferta“, come detto, quella di Barberini, arrivata, ha detto oggi in conferenza stampa, dopo “sette mesi entusiasmanti che mi hanno visto impegnato in un ruolo istituzionale e che mi hanno dato tanto. Un incarico che all’atto della nomina mi ha spaventato, in particolare perché dopo tanti anni la delega su sanità, personale e welfare era unificata in uno stesso assessorato, raccogliendo così l’80% del bilancio regionale, pari a 1.7 miliardi. La mia volontà era quella di lasciare il segno. Nell’assessorato ho trovato una macchina pubblica preparata, ma un po’ sopita perché i dipendenti non erano più abituate a lavorare in team. Ma in sette mesi siamo riusciti a rimetterci in pista. Non appena firmate le dimissioni ho convocato i dipendenti dell’assessorato, affermando di non voler abbandonare la nave”.
I messaggi – Nel bilancio della sua attività, Barberini dice: “abbiamo provato a dire di voler rimettere al centro i bisogni dei cittadini. Abbiamo provato a dire che conta quello rispetto al modello istituzionale, senza chiudersi negli uffici dell’assessorato. E’ stato difficile dare delle risposte. Eravamo i primi della classe, ma non lo siamo più. Le altre regioni hanno camminato a volte più veloce di noi. Il nostro è stato un passo meno deciso“. Un messaggio votato al cambiamento quello di Barberini, “inteso come valore“.
Il metodo e la rottura – La bordata è dunque tutta nei confronti delle scelte della presidente Marini. “Doveva eserci un lavoro di squadra. E invece ci siamo trovati a dover ratificare qualcosa che era stato già deciso, come in un lavoro notarile. Non me l’aspettavo, e forse è stata la mia ingenuità perché faccio politica per passione. Non pensavo che si arrivasse così a decisioni già prese”. Nella scelta dei direttori sanitari, “dovevo essere solamente la persona diceva che le decisioni già prese mi stavano bene”. Eppure, dice Barberini, il tempo c’era, fino al 29 febbraio. “Queste scelte, che erano già costruite, le ho percepite come una sorta di sgarbo politico e personale, anche nei confronti dei cittadini. E’ stata messa in campo un’arroganza mai vista. Un assessore al ramo che non è mai stato sentito e interpellato. Si è trasformato tutto in una lotta tra bande e rappresentanti di aree politiche“. Dalla presidente Marini nessuna telefonata dopo le dimissioni: “io neanche l’ho chiamata”. Da Leonelli invece si sarebbe aspettato un passo in più nelle scorse settimane: “eppure ha provato a convincermi a tornare sui miei passi, quando la lettera di dimissioni era già scritta ma non firmata“.
Le nomine – Eppure non è di nomi che Barberini vuole discutere. Non è, dice, la coppia Fiaschini-Valorosi che per lui contava. “Ai nostri direttori generali chiediamo competenza e esperienza. Chiediamo di interpretare i bisogni dei cittadini nelle aziende in cui operano. I direttori generali non si estraggono dal bussolotto come nella tombola. Io non discuto sul valore delle persone, non discuto sul valore delle nomine, non discuto neppure su Del Maso che io non conosco. Ma se vogliamo provare a cambiare la Regione dobbiamo lanciare un messaggio. Avrei preferito che Emilio Duca restasse all’assessorato“. Barberini si è dunque sentito delegittimato, in un tourbillon di tensione la cui goccia che ha fatto traboccare il vaso ha riguardato proprio le nomine delle direzioni. Sulle nomine però specifica di non voler discutere sull’analisi dei curricula giunti in Regione: un percorso lungo, il cui epilogo non è però la costituzione di una graduatoria. “Sta alla politica – chiosa – comprendere quali sono le persone più adatte, non necessariamente le più brave”.
“L’amico Walter” – Il nome di Orlandi spunta come da copione. Quello sì, dice Barberini, è da mettere in discussione: “non discuto la qualità della persona. Ma quando si è al governo da oltre 30 anni, è ora di cambiare settore. Perché manca la spinta”. E parte l’applauso. “Io cosa facevo 20 anni fa? Ero in Albania e nel ’97 terremoto. L’amico Walter dove era? Dove stava? Sempre in sanità. E’ una regione troppo piccola per far bene cambiando sì zona, ma non settore”. Frasi che chiariscono il punto riguardo alla nomina del direttore Orlandi fatta quando Barberini, nella sera di lunedì, era già andato via da Palazzo Donini “per questioni personali“.
L’agenda futura – “Cosa farò adesso? Questo pomeriggio andrò a Gualdo Tadino, al cimitero dove c’è mio nonno, a cui andrò a chiedere scusa. Poi starò con la famiglia, prima di tornare a lavorare per la nostra comunità regionale. Stiamo lavorando ad una nuova legge, per la costituzione di un’unica azienda ospedaliera. Vogliamo così tagliare costi e dirigenti“. Qualcuno gli chiede se sia pronto a ritirare le dimissioni: un passo che non è contemplato, dice, a meno che non ci sia la voglia di tornare davvero indietro. Nel frattempo questa mattina è stato firmato, dalla presidente Marini, il decreto per separare le deleghe una volta nelle mani di Barberini: sanità, welfare e personale saranno divise, ed è probabile che sia la stessa Marini a voler tenere per sé la sanità. Di certo non parteciperà questo pomeriggio alla riunione del gruppo Pd, un partito che lui definisce “grande, fatto di pluralismi, visioni e idee diverse“. Andrà dunque al cimitero dal nonno. Intanto, fuori da Palazzo Cerasoni, ad aspettare l’ex assessore, c’è il cane Nelson, ignaro protagonista di un botta e risposta sarcastico cominciato già prima delle sue dimissioni.
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