Un “comitato d’affari”che avrebbe gestito l’assegnazione, previo pagamento di tangenti, degli appalti della Provincia di Perugia. Questo è “Appaltopoli” il maxi processo di Perugia che come spiegato dal pm Manuela Comodi ha portato alla luce l’organizzazione che gestiva le gare e che ha visto imputate a vario titolo 39 persone per i reati di associazione a delinquere, corruzione, turbativa d’asta, abuso d’ufficio, truffa e falso ideologico. Di questi, 14 hanno ricevuto condanne e altri 25 sono stati assolti.
Nelle motivazioni. Questi alcuni passaggi cruciali delle 176 pagine di motivazioni firmate dal giudice presidente del Collegio Daniele Cenci, “…la dipendente della Provincia era coinvolta nel così detto “sistema” nella gestione degli appalti, lei stessa nel corso del suo interrogatorio aveva infatti riferito pure negando la commissione di reati di corruzione a lei ascritti, di aver concorso sistematicamente nella turbativa delle aste. Ha infatti affermato che l’elenco in cui erano state riportate le ditte non era predisposto dai pubblici funzionari incaricati, ma esclusivamente da un privato imprenditore che solitamente lo spediva presso gli uffici della Provincia a mezzo fax o lo comunicava telefonicamente. Tale elenco, secondo quanto affermato dalla stessa Barabieri, nel rispetto della procedura veniva firmato dal suo dirigente Patumi e dal responsabile dell’area Maraziti. Ancora, Mariotti e Broganelli non sono gli unici imprenditori a parlare della previa “programmazione a tavolino” della individuazione degli imprenditori che, nell’ambito di un sistema correttivo, avrebbero, a turno, vinto le gare di appalto avendo su tale specifico argomento riferito molti degli imprenditori che di tale sistema hanno beneficiato…”.
Un sistema personalizzato. Determinante è , poi, secondo il Collegio, la disamina di tutta la documentazione inclusa in atti e concernente le procedure amministrative relative alle aggiudicazioni di quelle gare “truccate”, di cui si ripete hanno parlato nei loro interrogatori Mariotti, Broganelli, Barbieri e gli imprenditori che hanno ammesso gli addebiti, che hanno dato conto di quali fossero i pubblici funzionari incaricati, “…così da inferirne, anche mediante la prova logica il reiterato coinvolgimento di Patumi, di Maraziti e di Gervasi nel “sistema personalizzato”, che pur essendo, come sottolineato dal Mariotti e come ampiamente emerso, “una persona capace”, con una spiccata ed indiscussa capacità organizzativa nel “settore”, era pur sempre, almeno formalmente, un privato imprenditore, laddove alle aggiudicazioni delle gare pubbliche, quelle appunto “truccate” dovevano necessariamente provvedere i dipendenti della Provincia di Perugia addetti a quello specifico settore…”.
Un sistema per vincere le gare. Ebbene, secondo la sentenza, “…l’analisi dei provvedimenti amministrativi, in uno con gli apporti conoscitivi offerti da tutte le prove già esposte con i relativi riscontri, conduce univocamente nella direzione del necessario coinvolgimento dei funzionari pubblici nel “sistema” da rispettare per “vincere le gare…”. Barbieri, Patumi, Maraziti e Lupini (oltre che il defunto Mariotti) avevano costituito per i giudici “…una vera e propria associazione per delinquere finalizzata alla commissione “seriale” di plurimi reati di corruzione e di turbativa d’asta con araziti, Patumi e Barbieri addetti al controllo della indizione delle gare e degli svolgimenti procedimentaliconnessi e con il privato concorrente (Lupini, in contatto anche con Mariotti) deputato a concertare gli accordi costituenti turbativa d’asta tra gli imprenditori privati interessati a partecipare alle gare della pubblica amministrazione e disposti a pagare, a stabilire le offerte e i ribassi che ciascuno doveva presentare o meno per orientare in un certo senso le gare, il cui esito positivo era in grado di annunciare preventivamente ai futuri vincitori, per poi comunicare il sintetico esito degli accordi alla Barbieri e a Maraziti e Patumi di nuovo presenti nelle commissioni di aggiudicazione delle gare dagli stessi indette e che volevano vittoriosiproprio quei concorrenti cui era stato assicurato il buon esito e che consegnavano somme di denaro al privato che fungeva da “tramite”… “.
Appaltopoli, la sentenza / Condannato “comitato d’affari Provincia” / Aggiornamenti
Le condanne. Oggi le motivazioni della sentenza chiariscono perché, dopo nove anni dall’inizio dell’inchiesta sono stati condannati: Adriano Maraziti (in qualità di direttore dell’area Viabilità della Provincia all’epoca dei fatti contestati) a 5 anni e quattro mesi di reclusione, Fabio Patumi (responsabile dell’area Affari generali della Provincia) a cinque anni, Maria Antonietta Barbieri (istruttore amministrativo dell’ufficio Appalti della Provincia) a 4 anni, Lucio Gervasi (direttore area Ambiente e territorio della Provincia) a 3 anni e 10 mesi: per loro, oltre alle spese, c’è anche l’interdizione dai pubblici uffici; quattro anni e dieci mesi, poi, per Massimo Lupini (direttore tecnico della Seas spa, parte della contestata associazione per delinquere insieme a Barbieri, Patumi, Maraziti), due anni a Giustiniano Baldelli (rappresentante della Cogife srl), un anno e otto mesi a Corrado Bocci (rappresentante della Pavi srl) e a Fabrizio Mezzasoma (rappresentante della Emmegi), ancora, due anni e due mesi a Marcello Betti (rappresentante della F.lli Betti snc), due anni a Francesco Pagnotta (Pagnotta Almero srl), un anno e otto mesi a Ilario Pelliccia (rappresentante dell’omonima ditta individuale), due anni e due mesi a Giovanni Rinalducci (rappresentante dell’Agricola Giovanni Rinalducci sas), due anni e sei mesi a Maurizio Nanni (legale rappresentante della Nanni & figli snc) e sei mesi ad Amleto Pasquini (capo compartimento Anas). Pena sospesa per chi ha avuto condanne inferiori a tre anni, ma tutti devono risarcire i danni alla Provincia di Perugia (parte civile con l’avvocato Zaganelli) da valutarsi in un altro procedimento, più rifondere le spese processuali per 6.210 euro. Pasquini, poi, deve risarcire l’Anas (parte civile con l’avvocato Chiara Lazzari) e pagare le spese per 4.200 euro. Condannate, infine, due delle cinque imprese coinvolte: Appalti Lazio srl, che deve pagare una sanzione amministrativa da 10.329 euro, e Seas spa, 51.600.
Le assoluzioni. Tecnostrade srl, Ediltevere spa e Costruzioni edili srl, sono state invece assolte insieme a 25 dei 39 imputati: Carlo Carini (presidente del consiglio di amministrazione di Tecnostrade), Paolo Piselli (legale rappresentante di Ecocave), Dino Bico (legale rappresentante di Ediltevere), Riccardo Pompili (responsabile dell’ufficio Bilancio della Provincia), Venera Giallongo (responsabile Affari generali e amministrativi della Regione Umbria), Ettore Marcucci (dipendente della Costruttori edili srl), Silvio Topo (rappresentante della Topo Silvio e Topo Fausto snc), Francesco Commodi (direttore tecnico della Brunelli costruzioni), Luigi Sensini (direttore tecnico della Glicos), Adriano Gigli (direttore tecnico di Tecnostrade), Ermanno Piccionne (socio della Piccionne Renzo & Feliciano snc), Orfeo Brunelli (rappresentante della Brunelli costruzioni), Stefano Ricci (rappresentante della Ricci Roberto & figlio sas), Roberto Corbo (rappresentante della Corbo Roberto & C. sas), Marco Bondini (legale rappresentante e direttore tecnico della Bondini srl), Massimo Mariani (esecutore del progetto di consolidamento della rupe di Massa Martana per conto di Tecnostrade), Giampiero Gellini (rappresentante della Gellini Giovanni & figlio), Brenno Aglini (rappresentante dell’omonima ditta individuale), Alessandro Pecci (legale rappresentante della Pecci edilizia), Massimo Mazzocchi (maresciallo capo della guardia di finanza), Carlo Terzoli (comandante regionale della guardia di finanza), Gianfranco Garritano (dirigente dell’ufficio Bilancio della Provincia), Gianni Pecci (dipendente dell’area Viabilità della Provincia), Riccardo Fioriti (assessore provinciale alla Viabilità) e l’imprenditore Mario Fagotti.
Appaltopoli, “un comitato d’affari per gestire le gare” / Il processo
Determinante nel procedimento è stata l’emissione dell’ordinanza con cui il tribunale ha dichiarato inutilizzabili le intercettazioni telefoniche, punto cardine di tutta l’inchiesta. Ma la Procura ha tirato dritto chiedendo anche la revoca dell’ordinanza. Un processo “monco” di fatto senza la possibilità di leggere in aula il contenuto di quelle telefonate “compromettenti” nelle quali, secondo l’accusa, imprenditori, intermediario e funzionari pubblici si accordavano per decidere chi dovesse aggiudicarsi i lavori. In merito le motivazioni: “…Nell’assenza di utilizzabili risultati delle captazioni telefoniche, nessun elemento prova la contestata corruzione…”. Lo stesso pm Comodi durante in processo aveva spiegato: “Continuavo a ripetermi ma io senza intercettazioni come faccio a fare una requisitoria che abbia un filo logico. Mi sono resa conto con stupore che per ciascun capitolo ci sono degli elementi, che io non so se voi riterrete o meno sufficienti, ma ci sono degli elementi già così gravi da farmi dire che effettivamente questa istruttoria non è stata fatta totalmente invano”. Con questa frase tratta dalla lunghissima requisitoria, del pm Manuela Comodi, viene riassunta “Appaltopoli”, la maxi inchiesta che nel 2008 ha minato la serenità dei pubblici uffici perugini.