La straordinaria regia di Emma Dante regala al pubblico del Festival dei due Mondi di Spoleto una delle favole più belle della produzione di Giambattista Basile, liberamente tratta da Lo cunto de li cunti overo lo trattenimiento de peccerille.
Con una scenografia ridotta al nulla – due sedie, una porta e un piccolo scalandrino dove è sistemato un castello di color azzurro – la regista siciliana riesce nella difficile impresa di raccontare, rivisitandola, la novella seicentesca napoletana.
La conclusione non è proprio a lieto fine, necessario però a denunciare gli eccessi in cui cadono quelle donne (vale sempre più anche per gli uomini) alla continua e affannata ricerca dell’eterna bellezza e giovinezza. Vizio della nostra società in cui si è alla continua ricerca dell’apparire, più che dell’essere.
Basta guardare come siamo capaci di gestire i profili Facebook, solo per fare un esempio. La disperata rincorsa alla chirurgia plastica, alla iniezione di acido ialuronico o alla immissione di fili di sospensione: tutto pur di nascondere il tempo che passa, a costo anche di atroci dolori e risultati spesso dubbi. Specie dopo una certa età.
Sul palcoscenico ci sono due giganti del teatro italiano, Salvatore d’Onofrio e Carmine Maringola, capaci di regalare al pubblico emozioni e risate, grazie ad una interpretazione a dir poco straordinaria. Fatta di una gestualità, di una mimica, di una recitazione che cattura lo spettatore tenendolo incollato alla poltrona.
Da far invidia ad un altro regista amante della perfezione scenica, Robert Bob Wilson.
La fiaba… – bisogna ripercorrere la novella di Basile per comprendere meglio il grande lavoro compiuto dalla regista palermitana.
Basile crea la storia di un re che s’innamora della voce di una vecchia, che vive in una baracca con la sorella più anziana di lei, e del suo dito mignolo, unica parte del corpo che l’ottuagenaria mostra al sovrano attraverso la porta.
La voce di giovinetta, la pelle liscia del suo dito, sono sufficienti a far perdere la testa al re che si accompagna alla anziana, con il buio a coprire tutto il resto. Scoperto il raggiro, il sovrano getta dalla finestra la donna che si salva grazie ad un albero: è qui che la trova una fata che la trasforma in una giovane bellissima, che il re poi sposerà.
…secondo la Dante – la rappresentazione al Caio Melisso vede i due attori, nel rispetto della tradizione teatrale settecentesca, interpretare i ruoli femminili delle due sorelle, alternandosi invece in quello del re. Le due seggiulelle descrivono la catapecchia, ‘a porta l’inganno, il minuscolo castello evoca il sogno.
Le luci di Cristian Zucaro fanno il resto, creando atmosfere ora reali, ora fiabesche. Per ingannare il tempo le due anziane sorelle inscenano così la favola, ricca di ironiche battute e modi di dire del dialetto napoletano.
Il finale è pronto, grazie all’incantesimo la novantenne si scopre straordinariamente bella. Non manca che il fatidico “e vissero felici e contenti…”.
Ma è una favola, un sogno, appunto, dal quale la vecchia non vuole uscire, qualunque sia il prezzo. Così invita la sorella più grande a scorticarla, perché la pelle vecchia lasci spazio a quella nuova.
La morale la spiega la stessa Dante: “se merita biasimo una fanciulla che si da a queste civetterie, quanto è più degna di castigo una vecchia che, volende competere con le figliole, si causa l’allucco (rimprovero, n.d.r.) della gente e la rovina di sé stessa”. Una straordinaria rappresentazione, in replica fino al 13 luglio.
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