Ammanchi sulle fatture per l'attività veterinaria privata dell'ospedale universitario didattico di Perugia, sentenza della Corte dei conti. E la donna è anche sotto processo penale
Avrebbe causato un ingente ammanco di denaro, relativo agli incassi dell’ospedale veterinario universitario didattico (Ovud) di Perugia. Per questo una dipendente del Dipartimento di medicina veterinaria dell’Università degli studi è finita sotto la lente dalla Corte dei conti. Che l’ha condannata al pagamento di 250mila euro, pari ad una stima di quanto avrebbe sottratto (230mila euro) oltre a 20mila euro di danni cagionati all’Unipg. La stessa veterinaria è anche sotto processo per peculato davanti al tribunale di Perugia. Le inchieste delle due Procure – penale e contabile – erano partite tre anni fa, condotte dalla Guardia di finanza, dopo un esposto del direttore della struttura e della segretaria amministrativa (finita anche lei poi sotto accusa da parte della magistratura contabile e poi scagionata).
L’ospedale veterinario universitario didattico è una struttura con funzioni di supporto alle attività didattiche del Dipartimento di medicina veterinaria, ma eroga anche al pubblico, a pagamento, servizi veterinari clinici diagnostici ed assistenziali, operando all’interno dei locali universitari. La dipendente finita sotto accusa – una delle veterinarie dell’Ovud all’epoca che aveva anche accesso alla cassaforte della struttura – avrebbe con degli escamotage incassato alcune fatture per le prestazioni professionali, almeno 220mila euro. Anche se un’indagine interna dell’Università aveva indicato un possibile ammanco di oltre 382mila euro.
Secondo quanto ricostruito nella sentenza della Corte dei conti, la professionista avrebbe nascosto gli ammanchi di denaro con un metodo ben preciso. Per alcuni pagamenti in contanti o con assegno, nonostante venisse emessa regolare fattura verso i clienti, infatti, veniva poi rimossa la relativa spunta sul sistema informatico gestionale, facendo comparire crediti nei confronti dell’Uvod mentre i soldi erano stati in realtà riscossi ma non versati nelle casse del dipartimento universitario. Sistemando poi i “buchi” di fatture coperti poi successivamente, lasciando “scoperte” prestazioni più recenti.
La veterinaria in fase difensiva ha riconosciuto di fatto le sue colpe, motivate dalla ludopatia da cui è affetta (ma è stata comunque ritenuta capace di intendere e volere), sostenendo che in realtà gli ammanchi siano inferiori a quanto stimato dall’indagine interna. Ed effettivamente la Corte dei conti ha rideterminato l’ammanco, condannando appunto l’ex dipendente del Dipartimento di medicina veterinaria dell’Unipg al pagamento di 250mila euro.