L’istruzione italiana langue: tagli consistenti ai fondi hanno penalizzato fortemente le prospettive di crescita di un paese già frenato dalla crisi finanziaria attuale. L’Università italiana continua a risentire fortemente delle scelte governative adottate con la riforma Gelmini e con l’ultima finanziaria: si tratta di riduzioni degli investimenti che causano vere e proprie contrazioni strutturali, nonché un deterioramento della qualità dell’offerta formativa. A concludere un quadro già preoccupante è il calo delle immatricolazioni presso gli Atenei italiani. Ed è così che il Times, quotidiano d’oltre Manica, boccia le università italiane nella sua classifica “Times Higher Education”: nessuno dei nostri atenei infatti riesce a raggiungere le prime duecento posizioni. Bologna, che si conferma la prima in Italia, si attesta al 226mo posto. E Perugia? Nella lista non compare, scivolando rovinosamente indietro. La graduatoria mette in fila le prime 400 università italiane, in base alla qualità della ricerca e della docenza, al prestigio delle pubblicazioni scientifiche, all’internazionalizzazione e all’innovazione: in classifica si trovano comunque, oltre a Bologna, anche la Statale di Milano, Trento, Ferrara, Modena e Reggio Emilia, Bari, il Politecnico di Torino, Pisa e l’Università del Salento. In cima si trovano invece le straniere California Institute of Technology, Harvard e Stanford. Poi Oxford, Princeton, Cambridge, Mit, Imperial College di Londra, Chicago e Berkeley. L’editorialista del Times, Phil Baty, ha così commentato la situazione italiana: “pur avendo alcune tra le più antiche e famose università nel mondo, è evidente il fallimento dell'Italia che non ha nessuna università tra le prime 200. E' una vera vergogna – continua Baty – e dovrebbe interessare molto seriamente il governo italiano”. “Le università italiane non riescono a competere nel mercato globale, soffrono di arcaici sistemi di gestione delle risorse umane, di gravi forme di under-investment. Riforme e investimenti in denaro sono assolutamente necessari se l'Italia vuole avere un ruolo serio nell'economia della conoscenza”.
I commenti, le reazioni – Nel frattempo in Italia il malcontento si sente, seppur non in tutti gli atenei. A Roma sono state forti le proteste universitarie all’apertura dell’anno accademico, situazione che non si replica a Perugia, quantomeno non con la stessa intensità. Gli studenti perugini lamentano in parte l’inadeguatezza dell’offerta formativa, e non per la preparazione dei docenti, ma per la soppressione di alcuni esami complementari che è lo specchio della mancanza di investimenti per tenere aperte alcune cattedre. I servizi poi, dicono ancora gli universitari, non sono adeguati, ed in particolare per quanto riguarda gli orari di apertura delle biblioteche. “Bisogna fare attenzione a riconoscere la validità di queste classifiche”, ha invece precisato il Professor Salvatore Cingari, docente associato dell’Università per Stranieri di Perugia. “Sono infatti graduatorie stilate secondo principi che assomigliano molto a quelle delle agenzie di rating. Sono dunque improntate al profitto e a quanto un singolo ateneo riesce a fatturare. Ciò che è importante notare invece è che la manovra finanziaria attuale riduce la possibilità per ricercatori e professori di pubblicare, e di fornire dunque un apporto culturale ed accademico all’intero settore dell’istruzione”. L’istruzione italiana paga perciò il pegno al posto di altri servizi, rischia di perdere la sua qualifica di diritto costituzionale e manca l’appuntamento per la formazione di una futura classe dirigente qualificata.
(Ale.Chi.)