UJ 2010: TONY BENNETT E HERBIE HANCOCK TRIONFANO AL SANTA GIULIANA (foto Tuttoggi.info) - Tuttoggi.info

UJ 2010: TONY BENNETT E HERBIE HANCOCK TRIONFANO AL SANTA GIULIANA (foto Tuttoggi.info)

Redazione

UJ 2010: TONY BENNETT E HERBIE HANCOCK TRIONFANO AL SANTA GIULIANA (foto Tuttoggi.info)

Dom, 18/07/2010 - 13:54

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di Carlo Vantaggioli

Annullare l'età è il sogno di tutti gli uomini, cercare l'elisir di lunga vita è stato per secoli l'obiettivo di tanti. Ma forse nessuno si è mai fermato abbastanza a pensare come la musica, da sola, riesca in questa sorta di miracolo trasformando gli uomini che gli hanno dedicato la maggior parte del loro tempo in qualcosa di intangibile dalla naturale fine di tutte le cose.

Il concerto di ieri sera a UJ è stato dunque una sorta di grande rito collettivo dove due artisti entrambi oltre la soglia dei 70 anni, sembravano miracolosamente trasformati in piccoli virgulti con intatta la loro voglia di stupire il pubblico.

Herbie Hancock e Tony Bennett, due stregoni alle prese con un Santa Giuliana al completo sia in platea che nelle gradinate, che non ha mancato di manifestare il suo gradimento ai due “ragazzini” ogni qualvolta questi lanciavano “messaggi” sullo stato fisico e mentale di artisti ormai immortali. Ovazioni per Hancock in uno di quei duelli di maestria tra l'artista aggrappato ad un Synth e la sua giovanissima bassista, una vera ragazzina stavolta. Oppure gli “Ohhh” di meraviglia della platea ogni qualvolta il piccolino Tony Bennett -solo 83 anni- si lancia in piroette o passettini di danza, a seguire la sua voce dal timbro assolutamente rotondo e senza tentennamenti.

Non un concerto ma un “sabba”.

Herbie Hancock presenta al pubblico europeo il suo nuovo lavoro “The Imagine Project”, un progetto completamente nuovo e soprattutto di grande personalità visto che prevede la collaborazione tra il musicista e altri grandi artisti di ogni parte del mondo. Pace e responsabilità globale sono i temi chiave di questo lavoro che prevede brani registrati e filmati nei luoghi di provenienza dei vari artisti. Le immagini saranno incluse in un film documentario che sarà disponibile sul web. Un lavoro strettamente legato ai principi del buddismo che Hancock pratica da molti anni e che l'artista racconta spesso ha cambiato molto del suo approccio alla vita.

Musicalmente però l'artista è quello di sempre, il precursore della Funky-Jazz, ma con solide radici nel classico. Hancock è già con Miles Davis nel 1963, nello storico quintetto di Seven steps to Heaven, con Ron Carter, Wayne Shorter e Tony Williams. Dopo la separazione da Davis nel '68 inizia il percorso di ricerca musicale e strumentale con una forte predisposizione per tutto ciò che di elettronico arriva sul mercato. Lo stesso Davis in effetti prenderà quella via e per Hancock è il primo passo verso il Funk.

Per tutti gli anni ottanta poi sarà un continuo zigzagare alla ricerca di nuove idee che mai però lo distoglieranno dalla via maestra del funky-jazz.

Nel concerto di UJ, Hancock, sorretto da una sezione ritmica stupefacente con un gigante come Vinnie Colaiuta, non rinuncia ad un cavallo di battaglia come Cantaloupe Island, o a una raffinata versione di Round Midnight di Thelonius Monk, la cui colonna sonora per il film di Bertrand Tavernier gli valse un Oscar nel 1986. Splendida la cover di Don't Give up, cantata in origine da due mostri sacri come Peter Gabriel e Kate Bush, impreziosita da un arrangiamento che ha fatto sognare il Santa Giuliana. Insomma un artista che a 70anni – è nato il 12 Aprile del 1940- sa cosa vuol dire cambiare strada e ricominciare a sperimentare come se nulla fosse successo prima.

Ma la cronaca del concerto diventa difficile da narrare, quando sul palco fa il suo ingresso Anthony Dominick Benedetto, in arte Tony Bennett classe 1926.

Dopo un rapido cambio di palco, sembrava di essere entrati in quelle incredibili sale da concerto dei casinò di Las Vegas, come il The Sands, dove Frank Sinatra, Sammy Davis Jr., Dean Martin, Perry Como hanno fatto grande la storia musicale americana degli anni '60.

Era il tempo in cui i crooner erano idolatrati come divinità, il tempo in cui per cantare prima di tutto occorreva saper recitare e scandire bene i testi e così tutti andavano a scuola di dizione. Il tempo in cui ogni piccola sfumatura delle corde vocali era conosciuta e curata dai cantanti come il più prezioso degli strumenti.

Non che questi personaggi non fossero “umani” fino in fondo. Se di Sinatra e Martin ad esempio si conosce l'amore per il bere e le donne, di Bennett si conosce un pericoloso episodio di droga che quasi gli costò la vita nel 1979. E come tutte le cose al bivio, la scelta di una strada piuttosto che un altra fanno si che il personaggio si trasformi in mito. E Bennett è un mito. C'è qualcosa nella sua voce di ottantenne che è così vitale e coinvolgente che chi lo ascolta tenta inutilmente di carpire per vedere se davvero si tratti dell'elisir di lunga vita.

Negli ultimi anni e concerti di Sinatra, ad esempio, il timbro vocale di The Voice, era decisamente rovinato tanto che in alcuni concerti si notava la continua ricerca delle note basse per evitare cadute di tensione sulle alte.

Bennett no, lui dal basso dei suoi 83 anni, ti sbatte in faccia i suoi vocalizzi come se si stesse solo scaldando la voce. Il pubblico di UJ lo adora e gli chiederà almeno 4 bis, mentre in platea coppie di innamorati si mettono a ballare voluttuosamente al suono di I left my heart in San Francisco o Flying to the Moon. Strepitosi, ed è dire poco, i musicisti che accompagnano Bennett, che nell'occasione di Perugia presenta al grande pubblico la figlia-cantante Antonia, che duetterà con lui in un paio di pezzi.

Di Bennett si è scritto di tutto e di più e vale ricordare tra le tante cose, gli ultimi due Grammy vinti nel 2006 con l'album Duets: an American classic e gli eccezionali anni di lavoro con l'orchestra di Count Basie e con il grande Bill Evans.

Nota di colore per il concerto di Bennett, quando un elettrizzato Stefano Bollani, letteralmente coinvolto dal grande crooner si è messo a sbracciare a ritmo di musica e ad applaudire copiosamente questo ragazzino dalla lunga carriera davanti.

Nota di rammarico invece per una parte di “pubblico” un pò maleducato che ha continuato a entrare e uscire dalla platea per tutto il tempo dei due concerti, segno che l'antico crisma del “saccoapelismo” dei primi anni di UJ, non si è trasformato definitivamente per questa parte di jazzofili in qualcosa di evoluto anche dal punto di vista del rispetto per chi la musica la vuole ascoltare e non va ai concerti solo per farsi vedere.


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